di Filippo Casaccia
Il sole.
Cielo terso e aria frizzante.
Miracolo a Milano.
Prendo la digitale ed esco a fare due passi sotto casa.
Lo stadio è la presenza che incombe su tutto.
Poche centinaia di metri dividono le case dei ricchi — veramente ricchi — da chi vive da abusivo, con la costante minaccia dello sgombero.
E poi ci sono pensionati, immigrati, studenti, mamme e bimbi, tossicodipendenti, lavoratori e disoccupati.
Una signora vede che sto facendo delle foto e mi dice, senza aspettare risposta: “Giornalista, vero? Bravo! Documenti il degrado!”.
E invece, in una giornata così atipica ho trovato forza, memoria, segni di rivolta e di resistenza.
Anche degrado. Ma pure dignità di fronte a “debiti che un uomo onesto non potrebbe pagare”.
Colori, scritte, graffiti, manifesti che non vogliono essere strappati.
Muri delabrés e giardini ben curati, una persiana disassata e un bar o una sezione politica che sembrano venire da un altro secolo.
O un altro continente.
Per pudore e amore di geometria ho fotografato un quartiere metafisico.
Ma pieno di segnali di vita.