di Benito Mussolini
[Proponiamo l’intervento di un collaboratore per noi insolito, ma molto caro ad alcune componenti dell’area di governo, cui speriamo di fare cosa gradita. Risale al 1912, fu pronunciato durante un congresso socialista e si riferisce a un fallito attentato al re d’Italia Vittorio Emanuele III. Leonida Bissolati era tra i capi dell’ala riformista del PSI, poi espulsa. Ogni similitudine con recenti fatti di cronaca è puramente casuale.] (V.E.)
Il 14 marzo 1912 un muratore romano spara una revolverata contro Vittorio Savoia. C’era un precedente che indicava la linea di condotta dei socialisti. Si era già criticato aspramente lo spettacolo indescrivibile offerto dall’Italia sovversiva dopo l’attentato di Bresci a Monza. C’è un libro, che potete accettare con beneficio di inventario, del Labriola, la Storia di 10 anni, che vi dice come le classi alte dell’Austria Ungheria seppero accogliere la notizia della tragica fine di Elisabetta. Si sperava che, dopo dodici anni, non si ripetesse il veramente indescrivibile spettacolo di Camere del Lavoro che espongono bandiere abbrunate, di municipi socialisti che mandano telegrammi di condoglianze o di congratulazione, di tutta un’Italia democratica e sovversiva che a un dato momento si prosterna al trono.
Difficile scindere la questione politica dalla questione d’umanità. Arduo separare l’uomo dal re. Ad evitare equivoci perniciosi uno solo era il dovere dei socialisti dopo l’attentato del 14 marzo: tacere. Considerare cioè il fatto come un infortunio del mestiere del re. (Bravo! Applausi.)
Perché commuoversi e piangere per il re, solo per il re? Perché questa sensibilità isterica, eccessiva, quando si tratta di teste coronate? Chi è il re? È il cittadino inutile per definizione. Ci sono dei popoli che hanno mandato a spasso i loro re, quando non hanno voluto premunirsi meglio inviandoli alla ghigliottina e questi popoli sono all’avanguardia del progresso civile. Pei socialisti un attentato è un fatto di cronaca o di storia, secondo i casi. I socialisti non possono associarsi al lutto o alla deprecazione o alla festività monarchica. Quando Giolitti dà l’annuncio dello scampato pericolo reale, tutti gli onorevoli scoppiano in un applauso giubilante. Si propone un corteo dimostrativo al Quirinale e alcuni deputati socialisti s’imbrancano senz’altro nel gregge clerico-nazionalista-monarchico. (Bene.)
E si va al Quirinale. Non so se sia vero quel dialogo che le cronache hanno riferito. Non c’ero, ma non è stato neppure smentito. Si dice che quella frase, oltremodo banale, non sia stata pronunciata. Non importa. So che vi è un telegramma: «Pregovi di presentare a Sua Maestà il mio commosso e riverente saluto». E questo è il Bissolati, il quale, dodici anni fa, gridava: «A morte il re»”. (Applausi a sinistra. Rumori sugli altri banchi)
BISSOLATI: No, no! Non a morte il re. Abbasso il re. La destituzione.
MUSSOLINI: Non c’è grande differenza tra morte e destituzione. La destituzione è comunque la morte civile.