È appena stato pubblicato il libro di Francesca Boari Aldro (Ferrara, Corbo Editore, 2009, pp. 144, € 16), nel quale l’autrice ha dato forma di romanzo a un lungo dialogo con Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi. Ne pubblichiamo la Presentazione e le prime pagine. Il processo per la morte di Federico Alrovandi si è concluso con la condanna dei quattro agenti in primo grado. Gli agenti hanno presentato ricorso in appello. Anche il processo-Aldrovandi si concluderà con l’assoluzione dei poliziotti se sarà approvata la proposta di legge sul cosiddetto “processo breve” (G.D.M.)
Presentazione
La mia vita, la vita della mia famiglia, prima di quel giorno erano assolutamente normali, forse persino banali, ma assolutamente felici.
E non è sempre vero che ci si accorge di quanto sia prezioso ciò che abbiamo solo quanto lo si perde. Io ero del tutto consapevole della mia fortuna, lo ero come lo è ogni madre.
Ricordo pochi giorni prima che iniziasse la scuola, era metà settembre, un giro in centro con i miei due figli in cerca di magliette per loro.
All’uscita del parcheggio camminavano davanti a me, Stefano ormai quasi alto quanto Federico, e scherzavano fra loro prendendosi in giro. Ero quasi stordita dalla felicità di essere mamma di tutto quell’entusiasmo e quella bellezza che c’è dentro e fuori di quei due adolescenti.
Quando si è tanto ricchi si ha anche paura di perdere questa ricchezza. Quelle paure di quando i figli sono fuori la sera, la paura degli incidenti d’auto, e anche, si, la paura che potessero prendere qualcosa che gli facesse male.
Che spettacolo di giovane uomo stava diventando, mi chiedevo quale sarebbe stata la sua strada, stava pensando a quale facoltà scegliere.
Ma tutte le domande sono state bloccate, non ci potranno mai più essere le risposte. Me l’hanno portato via, gli hanno tolto la vita.
Considero Francesca, l’autrice di questo libro, uno dei miracoli che, pian piano, sono arrivati in questi anni. Sono persone che, quasi sempre, prima non conoscevo affatto.
Francesca si è avvicinata con grande delicatezza, e mi ha proposto la sua idea di questo libro.
Avevo letto il suo lavoro precedente, racconti intimisti di sentimenti e pensieri.
Come avrebbe potuto scrivere in questo modo di persone che non conosceva?
Subito abbiamo scoperto di avere in comune la meraviglia nel vedere crescere i bambini e i ragazzi, io per i figli e amici dei figli, e lei come mamma e insegnante.
I colloqui con lei sono stati molto intensi, è stato facile aprirle il cuore.
Ma la nostra conoscenza è recente.
Eppure ecco il miracolo. Mi sono davvero riconosciuta nelle sue parole, così come credo abbia colto l’essenza vera di Federico. Empatia. Si. Ma non solo.
Ha messo un po’ di se stessa in me, e molto dei suoi ragazzi in Federico, incluso il suo bambino. Tutto questo inizia dal suo talento e prosegue con il lavoro di una vita nell’approfondire l’animo umano.
I personaggi sono resi da dentro, non sono realistici nei dettagli, questo libro non vuole essere una cronaca, ed è giusto così.
Una tragedia come quella della mia famiglia non dovrebbe essere capita, non dovrebbe essere e basta. Purtroppo invece è realtà, e trovare qualcuno che invece sa capire è un miracolo, e un grande conforto.
La consegna di questi ricordi alla collettività è un grande regalo a Federico.
Patrizia Moretti
Capitolo I
Ho un terribile male alla testa. Ieri sera, l’ennesima cena con gli amici di sempre, le loro facce annoiate, mai niente da dire, solo grande chiasso su questo e quello, e io che vorrei scappare, e allora mi attacco al sapore del cibo preparato con cura da Paola e al calore e al profumo di un bicchiere di rosso. Poi si sa, la mattina si paga tutto a questa età, il risveglio forzato, confuso, annebbiato, subito schiarito dalle voci dei miei ragazzi, dai sospiri della mia donna. Le coperte sono ancora calde e i muscoli intorpiditi e non abbastanza rilassati dal sonno. Non so quanto tempo sia passato dall’ultima bella dormita, quando riuscivo a sentire il sollievo del riposo. Provo a ricomporre gesti ordinari inseguendo le note del presente e alla fine, seppure sempre nella fatica, mi alzo. E tutto procede.
Guardo il mio viso allo specchio, che impietoso non toglie nemmeno un mese alla mia età. Continuo a piacermi, mi spettino e mi lavo i denti, una doccia veloce e quindi posso anche accendere il cellulare, sicuro che tra qualche minuto inizierà a squillare.
– “Sì, pronto?”.
– “Sono Lorella, avvocato, buongiorno”.
La voce è delicata perché Lorella mi conosce da tanto e sa che non mi piace parlare appena sveglio. Ho bisogno di entrare nella giornata lentamente, passo a passo, senza fretta. Poi il ritmo incalza all’improvviso e io riesco anche a seguirlo. È dopo il secondo caffè, forse, che posso iniziare a connettermi al resto del mondo.
– “Si ricorda dell’appuntamento alle dieci?”.
– “Certo che mi ricordo … l’appuntamento con Patrizia. Alle dieci. L’udienza? Non so, veda lei di sistemare le cose. Io non posso andare oggi”.
Non riesco a pensare ad altro, in effetti. È come se un’urgenza non prevista mi avesse mosso verso questa donna, il suo soffrire, quel viso stampato nella memoria già da settembre, quando venne nel mio studio ancora palesemente sconvolta dall’ imprevedibile forza del male. Ricordo i suoi occhi dentro ai miei, una intesa improvvisa, una fusione inattesa, da allora non faccio che pensare, tra un diversivo e l’altro, che alla fine devo tornare dentro quegli occhi e saperli ascoltare.
– “Abbia pazienza, ho avuto una notte terribile, d’insonnia e crampi alla gamba destra”.
Lorella ascolta annoiata le solite parole sui ritardi quotidiani di Fabio e cerca subito, anche se leggermente scocciata, di rassicurarlo.
– “E’ già lì? Ma sono solo le nove e mezza. Va bene, va bene le dica pure che sto arrivando. Sia gentile, la intrattenga, le offra un caffè. Arrivo prima possibile”.
Devo smettere di pensare, devo muovermi, mettere insieme le carte, ascoltare la testimonianza di quella donna straniera che per prima e unica ha avuto il coraggio di dire la verità. Questi ferraresi di merda non fanno che girarsi dall’altra parte quando qualcosa urta la loro normalità e penetra in quella irrinunciabile noia della quale certo si lamentano ma senza cui non riescono a stare esattamente dove sono. Sembra proprio che nessuno voglia assumersi la responsabilità di quello che è successo. Nessuno parla, tutti sanno e tacciono, si sono ingessati in un silenzio imbarazzante. Patrizia, ingoiamo il nostro coraggio e vomitiamolo sull’inerzia, sulla mancanza di onestà e pulizia morale che ci aleggia sopra. Scopriamo i veli e denudiamo tutto il marcio che si nasconde nelle nostre vite quiete. So che starò bene solo quando riusciremo ad iscrivere quei quattro nel registro degli indagati. Se ho paura? A te non lo dirò, anzi, mostrerò tutta la mia forza, energia, ma di paura ne ho tanta, perché so per esperienza che su certe cose è meglio tacere. Bisogna tacere. Eppure sono stanco, sfinito di silenzio. Ho voglia di fare del casino, di smontare impalcature di paglia.
– “Il solito, avvocato?”.
– “Certo”.
E intanto le persone camminano per le strade di ogni giorno come se niente cambiasse mai, come se loro non c’entrassero mai con l’inferno degli altri, nemmeno per un istante, nemmeno con un pensiero. La donna dietro il banco indossa il grembiulino di ieri, pulito, stirato certo, e di fianco all’avvocato ci sono sempre le stesse persone mascherate di sorrisi sbiaditi dalla fatica della giornata da iniziare e finire. Esattamente come ieri. E loro ci sono come se dovessero esserci sempre.
– “Patrizia, scusa, notte insonne, ho pensato tanto”.
– “Non si preoccupi avvocato, ho chiesto un giorno di permesso”.
– “Mi dica subito del blog”.
– “Sembra scoppiata una bufera. Tanti scrivono. Una rabbia inaspettata e gridata senza paura. A volte anche eccessiva. Non è questo. Insomma avvocato, noi non vogliamo strumentalizzare la vicenda per colpire le istituzioni. Non ci interessa. Capisce cosa voglio dire? Specie i giovani sembrano trovare in quello che è accaduto a Federico la risposta ad una rabbia implosa, come sedimentata troppo a lungo. E poi alcuni giornalisti, scrittori, sì anche loro, incominciano a chiamare, domandare a me, al padre, agli amici. La televisione, anche la televisione sembra che voglia interessarsi al caso. Certo, se ci fosse qualche testimone sarebbe tutto molto più facile. Sono passati più di tre mesi e adesso aprire un’indagine sarà più difficile. Loro si sono presi tutto il tempo per insabbiare, coprire, giustificare. E noi? A noi hanno lasciato il fardello di una verità da svelare, rivendicare, aggiustare. Non possono togliermi due volte mio figlio, non posso lasciare che questo accada. Crede che si possa fare qualcosa, avvocato?”.
– “Ci proviamo Patrizia, ma sappia che non sarà facile né per voi né per me.
È importante che si sia sollevato subito tanto interesse in tutta Italia, ci aiuterà a tenere alta l’attenzione per il caso.
– “Avvocato io ho aperto il blog con una lettera, semplice, onesta, disperata forse. Tutto il resto è venuto da solo”.
– “Ne ha una copia?”.
– “Eccola”.
«Scrivo la storia di quel che è successo a mio figlio Federico […]».