Omaggio a Claude Lévi-Strauss
di Girolamo De Michele
Questo testo è tratto da un manoscritto sulla graphic novel Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons, che sarà edito in un volume collettivo nel 2010. Lo pubblichiamo per ricordare Claude Lévi-Strauss.*
«Un corpo vivo e un corpo morto contengono lo stesso numero di particelle. Strutturalmente, non c’è una differenza apprezzabile. Vita e morte sono astrazioni non quantificabili. Perché dovrebbe interessarmi?» [I, 21.3].
Un uomo è stato ucciso: Edward Blake, un ex vigilante mascherato noto come “il comico”. Rorschach, l’unico eroe mascherato ancora in attività, ha informato alcuni ex vigilanti della morte del comico, ed ha ricevuto questa gelida risposta dal dr. Manhattan, il Superuomo in grado di vedere il tempo come una struttura sincronica non divisa da passato, presente e futuro e la realtà come un insieme di strutture prive di un senso intrinseco, il cui significato è il nudo fatto della loro esistenza. Il cosmo esiste, è un fatto. Il senso non è un fatto: non esiste.
Il problema etico sembra assente dalla visione del dr. Manhattan: come sembra scomparire davanti agli occhi di Lévi-Strauss, al termine del suo lungo viaggio raccontato in Tristi tropici. «La ricerca etnologica o etnografica», scrive Lévi-Strauss nell’ultimo capitolo, «dimostra che certe civiltà, contemporanee o scomparse, hanno saputo e sanno risolvere meglio di noi alcuni problemi, sebbene noi ci siamo affannati ad ottenere gli stessi risultati» [p. 373].
L’osservazione comparativa di diverse società sembra aver moltiplicato i problemi che l’etnografo credeva di risolvere andando alla ricerca delle strutture originarie, o quantomeno primitive, della società. Se il significato di una struttura sociale è nella capacità di risolvere i problemi da cui ha preso le mosse, a che titolo giudicare una società, se non sulla base del pre-giudizio che vuole la società di cui facciamo parte superiore per razionalità e forme? «Se giudichiamo le realizzazioni dei gruppi sociali in funzione di fini paragonabili ai nostri, dovremo a volte inchinarci davanti alla loro superiorità; ma noi otteniamo nello stesso tempo il diritto di giudicarli, e quindi di condannare tutti gli altri fini che non coincidono con quelli che noi approviamo. Riconosciamo implicitamente una posizione privilegiata alla nostra società, ai suoi usi e alle sue norme, mentre un osservatore proveniente da un altro, gruppo sociale darà sugli stessi esempi giudizi diversi. In queste condizioni, come potranno i nostri studi aspirare al titolo di scienza?» [p. 373].
Dobbiamo allora accettare ogni struttura esistente, in nome di un relativismo che sfocia nella sostanziale indifferenza? Ma così facendo cadiamo in un opposto paradosso: «corriamo il rischio di cedere a un eclettismo che c’impone l’accettazione di una qualsiasi cultura nella sua totalità, ivi compresa la crudeltà, l’ingiustizia e la miseria contro le quali protesta a volte la stessa società che le subisce. E poiché questi abusi esistono anche fra noi, che diritto abbiamo di combatterli, se basta che si producano altrove perché ci inchiniamo dinanzi ad essi?» [p. 374].
L’etnografo è colui che conosce, oltre al proprio mondo, una vasta gamma di mondi diversamente esistenti. Doc Manhattan, dotato di una scienza universale capace di cogliere ogni significato esistente, è un etnografo cosmico: in grado di cogliere, con un semplice sguardo, somiglianze e differenze tra due profondità diversissime — gli abissi delle marziane Valles Marines, e gli abissi del cuore umano [IX, 19.1]. Il segreto della sua onniscienza è lo scardinamento del tempo. Orologiaio mancato per colpa di Einstein e del proprio padre, per lui il tempo è davvero out of joint — non per metafora, come per Amleto: la mutazione subita lo rende cosciente della reale struttura del tempo, proprio come Billy Pilgrim, il protagonista di Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut (vera matrice di ogni riflessione sul tempo sincronico, da Watchmen a Lost, passando per Infinite Jest), che ha appreso il segreto del tempo dagli abitanti del pianeta Tralfamadore. Ma anche l’etnografo è un pellegrino del tempo: osservando società immobilizzatesi in un tempo passato, ne coglie la contemporaneità con società evolute, o recenti, come se l’asse temporale fosse collassato su una tavola infinita. In definitiva, accade al dr. Manhattan che «il distacco impostogli dallo scrupolo morale e dal rigore scientifico, gli impedisce di criticare la sua propria società, dato che non vuole giudicarne nessuna al fine di conoscerle tutte» [p. 374].
Tanto per l’etnologo, quanto per il Supereroe, l’eccesso di conoscenza genera un atteggiamento di attrazione (consapevole per Lévi-Strauss, inconscia per Doc Manhattan) per il Buddhismo, l’unica religione che ha saputo risolvere il problema dell’al di là — meglio: del rapporto tra il mondo dei vivi e quello dei morti — con una radicale cancellazione dell’al di là attraverso l’abolizione dell’universo e della religione stessa. Il Cristianesimo, cedendo alla paura dei morti, reintrodurrà «l’altro mondo, le sue speranze, le sue minacce e il suo giudizio finale» l’Islam, razionalizzandolo, si incaricherà di incatenare accomunando il mondo temporale e il mondo spirituale: «l’ordine sociale si adorna dei prestigi dell’ordine soprannaturale, la politica diventa teologia» [p. 379]. La mancata fusione di Cristianesimo e Buddhismo in un sincretismo che avrebbe consentito al Cristianesimo di accedere alla dimensione femminile: «l’Occidente si è lasciato trascinare dalle crociate […], piuttosto che prestarsi – se non fosse mai esistito – a quella lenta osmosi col buddhismo che ci avrebbe cristianizzati di più e in un senso tanto più cristiano in quanto saremmo ritirati al di là dello stesso Cristianesimo. Fu allora che l’Occidente ha perduto la sua opportunità di restare femmina» [p. 398]. Islam e Occidente, da allora, si guardano come in uno specchio, a dispetto del divario che il tempo apre tra la società della quale l’Islam risolse i problemi e quella dalla quale scaturì la Rivoluzione francese: «noi non possiamo ammettere che dei principi, fecondi per la nostra espansione, non siano ormai apprezzati dagli altri e quindi rigettati da loro, tanto dovrebbe esser grande, a nostro avviso, la loro riconoscenza verso di noi che li abbiamo immaginati per primi. Così l’Islam che, nel Vicino Oriente, fu l’inventore della tolleranza, non perdona i non Musulmani di non abiurare alla loro fede, poiché essa ha su tutte le altre la superiorità schiacciante di rispettarle». [p. 394]
La polarità tra la ragione assolutizzante (illuministica o islamica) e la visione buddhista è la matrice del confronto tra Ozymandias e dr. Manhattan negli ultimi due capitoli di Watchmen.
Ma la soluzione buddhista non è esente da problemi: di fatto non è una soluzione.
Come i Mogol, doc Manhattan ha creato, su Marte, un Taj Mahal dai propri sogni, per sancire la propria opzione per l’ascesi. Scegliere l’ascesi significa, lo si sappia o meno, ammettere l’amara conclusione cui Lévi-Strauss giunge al termine di un viaggio durato non cinque, ma 2.500 anni: «qualsiasi sforzo per comprendere distrugge l’oggetto al quale eravamo dedicati, a profitto di un oggetto la cui natura è diversa; esso richiede da parte nostra un nuovo sforzo che lo annulla a profitto di un terzo, e così di seguito fino a che noi accediamo, all’unica presenza durevole, che è quella in cui svanisce la distinzione fra il senso e l’assenza di senso: la stessa da cui eravamo partiti. Da ben 2500 anni gli uomini hanno scoperto e formulato questa verità. Da allora non abbiamo trovato niente se non – tentando una dopo l’altra tutte le vie d’uscita – altrettante dimostrazioni della conclusione alla quale avremmo voluto sfuggire» [p. 400].
Ma l’ascesi porta a una «tremenda alternativa»: chiudersi nel monastero o soddisfarsi «a buon conto praticando una virtù egoistica» [p. 401].
In entrambi i casi, la scelta urta contro un fatto inaggirabile: «l’ingiustizia, la miseria, la sofferenza esistono; esse forniscono un termine mediatore a questa scelta. Noi non siamo soli, e non dipende da noi restare sordi e ciechi di fronte ai nostri simili, o di considerare l’umanità esclusivamente in rapporto a noi stessi» [p. 401]. La sofferenza di un singolo essere umano, Laurie Jupiter — l’improbabile combinazione di eventi che determina la sua sofferenza, il «miracolo termodinamico», è ciò che conferisce senso alla sua esistenza, e con la sua a quella «di chiunque al mondo»: è questa scoperta del senso che si genera a dispetto della sua improbabilità a spingere doc Manhattan a lasciare Marte e ritornare sulla Terra per cercare di fermare Ozymandias.
Per rimuovere la sofferenza, l’ingiustizia, la miseria, scriveva il giovane Marx, non basta studiare il mondo: bisogna cambiarlo. Nella prassi. A loro modo, gli eroi mascherati di Watchmen hanno cercato l’anello che non tiene in questa catena: il rigore senza mediazione del “kantiano” Roschach, il decisionismo cinico del Comico, l’illuminismo imperialistico di Ozymandias. Ma, ribatte l’etnologo: «a che serve agire se il pensiero che guida l’azione conduce alla scoperta dell’assenza di senso»? «Hai cercato di convincermi che la vita umana sia più significativa di questa sublime desolazione» [IX, 18.2]], afferma doc Manhattan: «se ti rilassassi potresti vedere l’intero continuum, lo schema o la mancanza di schema della vita, e capiresti la mia ottica» [IX, 23.9].
La risposta dello strutturalista — porre le questioni è cosa fondamentale: trovare un buon concetto che prolunghi il problema nella soluzione è la scintilla da cui scocca il sapere — è tanto semplice quanto abissale: il senso è creazione. È un prodotto, un effetto scaturito dalla combinazione di elementi che di per sé non sono significanti: «non solamente un effetto come prodotto, ma un effetto di ottica, un effetto di linguaggio, un effetto di posizione», glosserà Deleuze ricostruendo la struttura dello strutturalismo [À quoi reconnaît-on le structuralisme, 1972].
L’intera avventura del cosiddetto post-strutturalismo, da Foucault a Deleuze e Guattari, trova la propria legittimità nel prolungare il concetto lévi-straussiano di senso come prodotto oltre la crisi dello strutturalismo. E in questa multiforme combinatoria, nella quale c’è sempre un di più di senso possibile, il nichilismo e il relativismo contemporanei non solo trovano — dopo Nietzsche — una seconda genesi, ma anche, sin dal momento inaugurale, la risposta alla critica sciocca di indifferentismo fatta propria dai pretesi depositari del significante dispotico, del principio d’autorità che larvatus prodit, che avanza nascosto sotto le mentite spoglie della fede, della tradizione e di altri miti falsi, ma rassicuranti: come i gadget, il merchandising e la pace perpetua di Ozymandias.
* Le citazioni da Watchmen sono così riportate: capitolo della graphic novel, numero di tavola, numero della vignetta (trad. di Stefano Negrini, Milano, RCS Milano Libri, 1993).
Le citazioni da Tristi tropici sono tratte dall’edizione italiana (trad. di Bianca Garufi, Milano, il Saggiatore, 1996, I ed. 1960.