di Daniela Bandini
Sacha Nespini, I cariolanti, ed. Elliot, 2009, pp. 158, € 13,60.
I Cariolanti di Sacha Naspini sono creature mitologiche atte a terrorizzare i bambini che disobbediscono ai genitori, che fanno i capricci o che non finiscono tutto quello che hanno nel piatto. Simili a sporchi gnomi, prelevano i monelli per infilarli dentro i loro sudici carretti, facendo fare loro una fine orribile. E’ con queste figure di contorno, ma non meno tangibili, che il nostro protagonista Bastiano si trova a convivere. Una convivenza di per sé drammatica, se valutiamo l’impatto psicologico della sua condizione: insieme alla madre e al padre, figure che analizzeremo in seguito, si trova sepolto in un rifugio sotterraneo nel mezzo di un bosco, da essi stessi realizzato per impedire che il capofamiglia possa venire arruolato a forza durante la prima guerra mondiale. Il padre, un imboscato, un vigliacco per la gente.
Questa famiglia vive la sua esistenza nel buco con due uniche ossessioni: non farsi scoprire e trovare da mangiare. Il linguaggio tra loro diventa essenziale, fino alla regressione, mentre si attutiscono quei segnali sensoriali che hanno permesso la sopravvivenza e l’evoluzione dell’homo habilis fino al sapiens. E se per i genitori si tratta comunque di una scelta adulta, per il piccolo Bastiano è quella l’unica realtà conosciuta, mentre i valori di riferimento della sopravvivenza diventeranno ogni giorno più preponderanti. Mangiare, mettere qualcosa nello stomaco, radici, insetti, mosche. Ma anche cadaveri di piccoli bambini nati morti o con gravi malformazioni, che le stesse madri o pietose levatrici, abbandonano.
Diventano predominanti i segnali che giungono dall’udito, dalla vista anche notturna, dall’orientamento. E sempre meno quelli del linguaggio, fino alla consapevolezza per il piccolo Bastiano di appartenere a una razza a sé, estranea alla sua contemporaneità. Fino a essere trattato dal padre come un utile idiota capace di lavorare duro e senza lamentarsi, come si richiede a un sottoposto.
Il padre è violento, codardo, subdolo, opportunista, e la madre vittima è, suo malgrado, complice di questo orrore. La madre, portatrice di un terribile segreto, una donna capace di tenere un diario e di esprimere sentimenti elevati e nobili, pieni di speranze, di aspirazioni, di discernimenti, e altrettanto capace di uccidere implacabilmente per gelosia. Una donna che scrive, lacerata dal rimpianto di una scelta che ritiene sacrosanta, che trova il riscatto della sua condizione in un’altra vita da lei stessa concepita. Una donna sensibile capace di sfumature, ma che non esita a offrire una parte del proprio corpo, una porzione della coscia, per sfamare la sua famiglia. La setticemia, l’infezione che ne segnerà per sempre gli ultimi anni, la porteranno alla morte.
Il padre? Violento, prende a cinghiate per un nonnulla il figlio, detesta quei cambiamenti fisici che l’inevitabile maturità sessuale comporta: egli vede in lui il rivale. Un rivale idiota, come viene trattato, ma apparentemente docile e ubbidiente, violento quando serve, in perfetta simbiosi con il territorio, il bosco. Il ragazzo conosce tutti i segnali di questo ambiente, è imbattibile nel procedere senza fare nessun rumore, nelle marce chilometriche, nel reperire prede, riconoscere gli animali, i sensi perennemente allertati. I contatti con i suoi simili saranno fugaci e indirizzati unicamente dal profitto che il suo lavoro gli procurerà.
Le regole di questi contatti saranno quelle apprese nel bosco: accoppiamento, mascheramento, segretezza, individualismo. Si potrebbe anche dire che a predominare sia l’istinto, ma quando si parla di uomini si parla forzatamente di condizioni singole e culturali. Bastiano è un bel ragazzo, una cosa che non capisce bene ma sa che produce emozioni particolari nel sesso femminile. Impara a leggere per conto suo, ma ciò non gli permette di superare o di affinare la sua etica. Un selvaggio, insomma, che genererà tanto orrore quanto quello ricevuto.
Questo romanzo colpisce sia per l’originalità della trama, notevole, sia per l’evidente desiderio da parte dell’autore di approfondire la psiche di una persona traumatizzata, preda di una dissociazione morale costante e degenerativa. E del paradosso dell’emulazione: l’anti-etica per antonomasia, l’autoassoluzione da ogni peccato, quell’ “onora il padre” complice di ogni atrocità, storica e personale. “Onora il padre” come giustificazione della violenza “necessaria”, che richiama il sangue. E’ la vendetta postuma demandata al figlio, sono i valori del patriottismo e della difesa del territorio, della razza, della progenie, dell’onore. E’ il riscatto contadino che nasce dalla sofferenza e dalla fatica quotidiana, dalle privazioni che sono anche motivo di orgoglio, del tanto a me quanto a te.
Bastiano rielabora la sua vita e la reimposta sulle uniche tracce che conosce con certezza: le orme, fisiche e psichiche, di colui che le ha tracciate. La madre lo ha partorito, ma il padre lo ha generato.
Un romanzo che fa riflettere, molto seriamente, sulla faticosa necessità di emanciparsi dalla propria cultura, dal proprio condizionamento familiare, e su come fragili personalità riescano a identificarsi solamente nei loro aguzzini, e MAI nelle vittime.