di Marco Meneghelli
In riferimento al pezzo di Giuseppe Genna, che sviluppa e risponde alla “provocazione” di Valerio Evangelisti apparsa su Distruggere Alphaville e poi pubblicato sul sito dello stesso Genna, vorrei fare alcune considerazioni, anche per chiarire la mia posizione riguardo ai pezzi di Evangelisti e di Genna. Quest’ultimo mi pare sviluppi considerazioni critiche che in parte differiscono dalla posizione che il sottoscritto ha sostenuto su queste pagine (L’appropriazione della fantasia) sul pezzo di Evangelisti e che mi piacerebbe appunto confrontare con quelle di Genna.
Nel mio pezzo, sostenevo che presto o tardi il Sistema si appropria anche delle più corrosive fantasie degli scrittori e le fa proprie in qualche misura, e aggiungo ora, in seguito motivando questa affermazione, addomesticandole.
Nel suo pezzo, Genna sostiene che l’immaginario della letteratura è realmente alternativo al Potere e al sistema, nella sua irrappresentabilità di fondo (vedi l’Odradek di Kafka), e mai potrà essere da esso veramente assorbito. Questo non è che lo sviluppo della posizione di Evangelisti e della sua proposta di una letteratura massimalista adeguata ai tempi.
Scrive Genna: “La potenza che si incarna in Potere non può d’altronde arrivare a colonizzare la stessa attività di elaborazione fantastica che viene praticata da chi è teso a esprimere il fantastico. E’ come se il minore avesse la pretesa di essere il maggiore: semplicemente non può. In questo senso va inteso il massimalismo secondo Evangelisti. Il Sistema non può sfruttare la dinamica fantastica, poiché essa si è già spostata inafferrabilmente lontano dal luogo in cui il Potere va ad attingere dalle immagini fantastiche che si sono nel frattempo depositate. Il Sistema non inventa niente.”
Cercherò di dire quali sono le ragioni del mio accordo sulla sostanza di ciò che dice Genna e sulle sue conclusioni e quali invece i punti, o il punto di divergenza – non sostanziali, perchè Genna dice il vero, ma che configurano perlomeno una situazione problematica nelle conseguenze più che non nelle intenzioni degli autori di letteratura.
Diceva Dick in un’ intervista che rilasciò durante l’allestimento e la preparazione del primo film tratto da un suo romanzo, Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?, Blade Runner (e che avrebbe dato origine ad un a sequela di trasposizioni cinematografiche delle opere dickiane):
“I film di fantascienza ci hanno fregato. Come il velo di maya, i vostri esperti di effetti speciali, giù a Hollywood, possono ormai simulare ogni fantasia… E voi che pensavate fosse tutto vero”
E quando gli posero la classica domanda su quale attore avrebbe voluto interpretasse il protagonista del suo romanzo, Rick Deckard, egli suggerì Gregory Peck, forse perché, già un po’ in là con gli anni, nella sua fantasia meglio si attagliava alla rappresentazione che di Deckard Dick aveva dato nel suo romanzo. Deckard, nel romanzo, non coincide infatti neanche approssimativamente alla rappresentazione hollywoodiana che ne è stata fatta scegliendo il giovane Harrison Ford come attore a interpretarlo.
E in realtà, per quanto Blade Runner sia un grandissimo film, che ha costituito e continua a costituire buona parte dell’immaginario visivo dei nostri tempi, è piuttosto diverso dal romanzo, che conserva intatto tutta la forza alternativa, di una fantasia distorta e distopica, quale era la potenza immaginativa di Philip Dick.
Quando sostengo che il potere si appropria delle fantasie degli scrittori, anche di quelle più corrosive e alternative (che sono tali proprio grazie all’assoluta idiosincraticità e diversità strutturale delle fantasie degli autori), non sostengo che lo fa mimeticamente, copiando e travasando esattamente il portato della loro origine letteraria, ma lo fa addomesticando il selvaggio dell’immaginario dell’autore, traducendo e insieme tradendo l’intento originario.
Nella traduzione intersemiotica tra un sistema espressivo (la letteratura) e un altro (il cinema), nel passaggio dal verbale al visivo, ciò che si perde è proprio tutto il potere e la potenza immaginativa di cui parla Genna a proposito della letteratura. E Hollywood non è che l’esempio più tipico, la più tipica macchina di produzione dell’immaginario di massa. Quell’immaginario che contribuisce a depotenziare e a calmare i potenziali alternativi se non rivoluzionari, rispetto al sistema, propri di quel genere di letteratura fantistica di cui parlano Evangelisti e Genna.
Quando allora si passa da un codice di verbale puro a uno verbovisivo (audiovisivo) dove la predominanza del visivo, per usare una metafora a sua volta visiva, è sotto gli occhi di tutti, accade spessissimo ciò che sto descrivendo. Mi riferisco in modo particolare al cinema e alla tv, meno ai fumetti, che continuano a essere per lo più produzione espressiva non mainstream nel senso gnostico dickiano, e nemmeno al web, che nella sua multimedialità (utilizzo per esempio di immagini in streaming da affiancare ai testi) non è stato ancora del tutto addomesticato in un’estetica comune. Naturalmente ciò vale anche per la grande arte visiva, da Picasso alla Pop Art stessa, da Matisse a Dubuffet, il gesto dell’artista nella sua originarietà e creatività aprente un mondo non potrà mai essere in quanto tale esattamente tradotto in sistemi visivi di massa, senza un radicale tradimento della potenza (un depotenziamento) dell’opera. La infinita riproduzione fotografica dell’opera di Van Gogh, non risciurà a scalfire il fondo inesauribile dell’inconscio selvaggio di Van Gogh, e mai colonizzato da nessuno se non dai suoi fantasmi.
Quindi mi trovo così a essere in totale accordo con Genna (ed Evangelisti, visto che Genna interpreta felicemente le affermazioni evangelistiane) sul fatto che la letteratura in quanto tale resterà alternativa al potere. Il problema però resta, resta il fatto che molte strutture di fantasia, da quella di Orwell a quella di Dick, di Huxley, e dello stesso Kafka, vengono in qualche modo acquisite e tradotte dal potere e usate per i propri scopi. Non è la stessa naturalmente la fantasia di Orwell, grande critico del sistema, e quella del Grande Fratello televisivo. Tuttavia è da lì che proviene l’idea originaria.
Genna parla del problema biopolitico nel senso foucoultiano-agambeniano e cita molto giustamente Foucault a proposito del tema del potere. E credo che Genna sia totalmente sulla strada giusta nel riferirisi al filosofo francese, che ha visto, già qualche decennio fa, quegli sviluppi del sistema che ora sono nostri. Basti pensare al tema benthamiano del panottismo di Sorvegliare e Punire, che è esattamente ciò che ora ci sta accadendo, anche sul web, con mezzi come facebook, i veri nuovi dispositivi del potere a cui siamo soggetti.
Ma anche qui, e qui più ancora che con la letteratura: la critica dettagliata del sistema, la sua minuziosa fenomenologia, poichè è detta e comunicata con la parola pubblica può servire al potere per consolidarsi. Accade qui allora quel fenomeno di cui ho già parlato nell’articolo citato.
Le fantasie “malate”, e includiamo anche quelle dei filosofi come Foucalt, sempre le più lucide, possono essere al servizio del “grande fratello” se non addirittura identificarsi con esso. Mi pare che qui in Italia uno degli autori che maggiomente possiede questa consapevelezza del male insito nel fare letterario e nelle sue conseguenze possibili sia Tommaso Pincio, che a proposito del suo ultimo romanzo, Cinacittà, dice di essersi ispirato a Orwell nel tratteggiare il suo protagonista e che lo stesso Orwell si era ispirato al proprio autoritratto nel tratteggiare l’immagine del grande fratello. E sempre Pincio, in un romanzo come Lo spazio sfinito, opera proprio un’inversione dell’immaginario, trasponendo letterariamente immaginari per lo più filmici e visivi e ridando potenza, in un depotenziamento solo apparente (lo spazio è sfinito, stanco), alla facoltà immaginativa. Tornando al tema del male, gli stessi Genna ed Evangelisti sono pienamente sulla linea pinciana. Il penultimo Genna (visto chè è uscito recentemente il suo nuovo romanzo, Le Teste) con Italia de profundis (ma già almeno con Hitler e la sua genealogia del male), quasi come una figura cristica di capro espiatorio assume su di sé i mali dell’Italia (Vedo l’Italia, vedo me, dice nell’incipit). Evangelisti da anni con Eymerich (e non solo), che è alter ego dello scrittore, ha fatto i conti con il male e con il maligno. E questa consapevolezza credo sia propria di tutti i veri scrittori.
Ciò che vorrei infine sottileare è che questa capacità del sistema di tradurre e tradire e con ciò assimilare in sè le fantasie degli autori, autentici creatori di mondi, permette al sistema di proseguire e perpetuarsi e ciò fa certo bene alla soppravvivenza del sistema. E questo in fondo non credo che sia del tutto un male.
Una narrativa adeguata ai tempi e un tempo adeguato alla narrativa, chiasma e specchio di due autori come Genna ed Evangelisti, è allora una narrativa che continua a svolgere il suo compito ormai millenario: la creazione di miti e l’alimenatazione della fantasia, nell’attesa che il sistema del mondo occidentale si trasmetta e si tramandi sempre di nuovo come dal tempo dei greci. Sistema occidentale che è ora sistema globale, con la progressiva aquisizione di alterità immaginative non ancora addomesticate dal nostro sistema perchè culturalmente altre (il cinema giapponese, coreano, cinese e orientale in genere), anche se l’opera è già in fieri, “la Cina è vicina” e la costruzione della muraglia cinese di kafkiana memoria si sta concludendo, col suo totale abbattimento o se si vuole con la completa identificazione del mondo con i propri confini fisici (il globo): la muraglia ora tende sempre più a coincidere con l’intero globo e i suoi confini.
Come ebbe già a dire Umberto Eco in Apocalittici e integrati negli anni ’60, e parafrasandolo, il sistema, presto o tardi, assimila anche le opere più elitarie e alternative. E, parafrasando anche il lucidissimo Genna, se esse se ne sono già sfuggite da un altra parte, in altro luogo, in luogo utopico, il sistema prima o poi le raggiungerà, in un movimento di rincorsa delle loro linee di fuga, per quanto non riuscendo a intaccare la loro originaria potenza. Ma perché è proprio di questa potenza inesauribile e in certo modo “divina” che il sitema ha bisogno come della benzina. L’era del petrolio, per non citare Pasolini, non è ancora terminata, anche se forse si avvia alla sua fine naturale.