di Alessandro Morera
Stuart Melvin Kaminsky, nato a Chicago nel 1934, e morto il 9 ottobre scorso a St. Louis, non è stato solo uno dei più illustrii insegnanti di Storia e Critica del Cinema, dal 1972 al 1994, alla Northwestern University di Evanstone in Illinois. Il cinema ha segnato la sua vita, o meglio, la sua vita ha segnato la Storia del Cinema.
Autore di una decina di illuminanti monografie, da Don Siegel a Clint Eastwood, passando per John Huston fino a Ingmar Bergman, ha inoltre firmato il fondamentale saggio del 1974 Generi cinematografici americani (”American Film Genres: Approaches to a Critical Theory of Popular Film”) che risulta a tutt’oggi una delle pietre miliari della critica cinematografica mondiale.
Un testo nel quale, attraverso una sapiente lettura dei canoni sui quali si fonda un genere e la relativa messa in scena cinematografica, ha saputo diffondere ed esaltare tanto il cinema come media popolare che come prodotto culturale e artistico.
Come scrittore di gialli, Kaminsky ha prodotto oltre una sessantina di romanzi (molti dei quali tradotti in Italiano da Einaudi, Mondadori e Alacràn) con una variegata serie di protagonisti: dall’Ispettore moscovita Rostnikov al sergente della polizia di Chicago Abe Liberman passando per i detective Lew Fonseca e Jim Rockford; nonché, negli ultimi anni, dei romanzi tratti dalla famosa serie televisiva C.S.I.: New York.
Ci piace ricordarlo soprattutto come scrittore dal taglio ironico e surreale, caratteristiche che emergono in maniera preponderante nei suoi gialli ambientati nella Hollywood degli anni d’oro, con protagonista l’esilarante detective Toby Peters, romanzi il cui ricordo rimanda direttamente al magistrale Triste y Solitario Final dell’immenso Osvaldo Soriano.
Con Soriano, Kaminsky ha avuto in comune non solo la passione per il cinema, ma la capacità che gli ha permesso di rivoluzionare il noir classico alla Chandler, presentando una figura di detective di quart’ordine, un arruffone casinista che è l’esatto contrario della figura del detective duro e puro impersonato sullo schermo da Humphrey Bogart, il quale si trova sempre suo malgrado protagonista di avventure rocambolesche che ricordano più le comiche slapstick, che le avventure cupe e malinconiche dei noir classici.
Come romanziere, la fiaba, il mito, il divertissement surreale sono stati perciò i suoi campi di elezione.
Non a caso è stato scelto da Sergio Leone come uno degli sceneggiatori e dei dialoghisti di C’era una volta in America, dove il suo talento e la sua vena di fine umorista si sono potuti sprigionare liberamente, fuori dagli schemi di un vetusto cinema con pretese di pseudo-realismo ombelicale.