di Valerio Evangelisti
[Questo trafiletto è apparso su il manifesto dell’8 ottobre 2009. Allora non potevo immaginare che, dopo avere mandato assolti o colpito con pene platoniche autori di torture, violenze e omicidio, gli stessi giudici avrebbero comminato fino a 15 anni di carcere a giovani presuntivamente colpevolli di danneggiamenti. Chi si riempie la bocca col termine “legalità” guardi a come è amministrata la giustizia in Italia, e ai pesi e alle misure che la reggono.]
L’assoluzione di Gianni De Gennaro, ex capo della polizia e oggi dirigente del Dis (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza), e dell’ex dirigente della Digos genovese Spartaco Mortola, è una notizia consolante. Opportunamente, rappresentanti sia della maggioranza che della cosiddetta opposizione se ne sono rallegrati.
Un entusiasmo più che giustificato. Dimostra infatti quanto fossero insensate le critiche piovute sul Lodo Alfano. “La giustizia è uguale per tutti salvo che per quattro!” gridavano sguaiatamente i protestatari, alludendo alle quattro massime cariche dello Stato. Ora sappiamo che non è così. Di “lodi” ne esistono un sacco, di intoccabili ce n’è una folla. Un lodo mai scritto eppure operante è quello che definirei il Lodo Guida, dal cognome del questore in servizio a Milano allorché l’anarchico Giuseppe Pinelli precipitò dalla finestra, nel 1969. Esso prevede, giustamente, l’impunità quasi totale degli esponenti delle forze dell’ordine nell’esercizio delle loro funzioni. Per meglio dire, totale per gli alti funzionari, parziale per i marmittoni ai loro ordini. L’importante è che nessuno di essi finisca mai in galera, per reati secondari come l’induzione alla falsa testimonianza (era l’accusa gravante su De Gennaro), il depistaggio, la sottrazione di prove, la creazione di prove fasulle, l’omicidio più o meno colposo e altre robette.
Giustamente, dicevo. Le forze dell’ordine, e specialmente gli alti gradi, sono impegnate in compiti delicati, da cui dipende la sicurezza di noi tutti. Sarebbe assurdo distrarre questi uomini dal loro lavoro per costringerli a recarsi in tribunale a perdere tempo, o addirittura recluderli quando le strade d’Italia sono affollate da criminali, fanatici sinistroidi e terroristi. Ecco perché, da decenni a questa parte, si contano sulle dita i quadri della polizia o dei carabinieri condannati per qualche reato commesso su sfondo politico, a parte alcuni straccetti puniti con un trasferimento o con un ritardo nella carriera. Le condanne recenti — peraltro senza grandi conseguenze pratiche — degli agenti che uccisero Federico Aldrovandi o Riccardo Rasman, vanno attribuite all’ignoranza dei giudici, non ancora al corrente del Lodo Guida.
Nel caso specifico, poi, le prove mancavano assolutamente. Guardiamo i fatti. L’ex questore di Genova Colucci chiama in causa De Gennaro per l’irruzione alla scuola Diaz, nel 2001: costui sarebbe stato al corrente di ciò che là avveniva, tanto da mandare sul posto un addetto stampa della polizia, per fornire una versione edulcorata. Successivamente Colucci si smentisce in aula: De Gennaro non sapeva nulla. I pm mettono in relazione il cambiamento di versione con una telefonata di Colucci a Spartaco Mortola: “Ho parlato con il capo (presuntivamente De Gennaro). Devo fare marcia indietro” (cito da La Repubblica).
Ora è evidente, anche alla luce del Lodo Guida, che la frase non significa nulla. Può benissimo darsi che Colucci stesse marciando in senso letterale, e De Gennaro, se era lui, gli abbia ordinato di cambiare direzione. Ricordiamoci che la smilitarizzazione della polizia non è mai stata condotta fino in fondo. Oppure può essere che l’espressione si riferisse a qualsiasi altra cosa: un acquisto, una relazione sentimentale, un’operazione bancaria. Chi di noi non ha mai fatto “marcia indietro”, nella vita?
Sta di fatto che il Lodo Guida, sacrosanto e carissimo ai fascis… pardon, al centrodestra, meriterebbe più ampia applicazione. A ben vedere, chi ci dice che Carlo Giuliani non si sia suicidato? Oppure che non sia morto per un “malore attivo”?