di Valerio Evangelisti (da Robot 57)
Un’avventura disneyana a fumetti di parecchi decenni fa vedeva Paperino, alla ricerca di una gloria a buon mercato, sedere sul “palo più alto del mondo”, per attirare i cronisti in cerca di scoop. Solo che un picchio rosicchiava l’estremità dell’antenna, e Paperino finiva seduto sul palo più basso del mondo. Materia anch’essa interessante per i giornali (che però storpiavano il suo nome in “Kaperino”).
Altrettanta gloria spetta al regista francese Marc Caro, che con Dante 01 è riuscito a realizzare, a mio parere, il film di fantascienza più brutto della storia. Impresa non facile, a ben guardare, perché i rivali erano una folla. Se Caro è riuscito nell’intento è perché si è mantenuto fedele a certi criteri di fondo: 1) una storia sgangherata, che però non faccia ridere troppo, altrimenti si rischierebbe di finire nel “cult” alla Ed Wood, con possibili recuperi postumi; 2) uno svolgimento balzano, a tratti incomprensibile; 3) un finale che sconfini nella pura e semplice demenza.
E’ la fedeltà assoluta a questi tre criteri che garantisce a Marc Caro l’equivalente della tazzina di caffè riservata, un tempo, a chi arrivava ultimo al giro d’Italia; senza contare che Milton ci ha insegnato che è meglio regnare all’inferno che servire in paradiso. Caro quella corona se l’è conquistata, e d’ora in poi sarà molto difficile detronizzarlo.
Di cosa parla il film? Dante 01 è una stazione spaziale che ruota attorno a un enorme pianeta infuocato. Ospita malati di mente dal nome curioso (Buddha, Rasputin, Attila, Cesare, Caronte… ), che hanno scelto di sottoporsi a esperimenti genetici o d’altro tipo per ridurre la permanenza nel manicomio criminale. E che siano matti o geneticamente modificati lo si vede bene: per quanto il cranio rasato induca a confonderli, hanno tutti ghigne da paura, occhi che tendono a schizzare dal cranio, bocche ritorte. Si esprimono urlando e sputacchiando, ma soprattutto passano il tempo ad aggredirsi a vicenda e a picchiarsi con tutto ciò che trovano a tiro. Evidentemente, Lombroso aveva ragione da vendere.
Gli psichiatri che tengono giorno e notte sott’occhio questa fauna abnorme, attraverso computer e telecamere, non sono tanto meglio. C’è una gelida dottoressa asiatica di aspetto singolare (quando appare per la prima volta, nuda sotto una doccia decontaminante, l’avevo scambiata per un uomo; e, sottolineo, era nuda); una seconda dottoressa leggermente più umana (di nome fa Persefone, tanto per restare nell’ambito dell’onomastica di tutti i giorni); altri scienziati e guardie o brutti, o cattivi, o ambedue le cose.
La situazione su Dante 01, sostanzialmente statica (prigionieri che si menano, scienziati che li guardano), viene alterata dall’arrivo di un nuovo paziente che si chiama… San Giorgio! Questi, che appare persino più matto degli altri e non dice una parola, ha incontrato chissà dove un’imprecisata entità aliena, e da allora è capace di strappare dal petto del prossimo palle di luce (che sia l’anima?) in cui serpeggiano velocissimi bacherozzi luminosi, e inghiottire sia le palle che i bacherozzi.
Fin qui nulla di strano, se non fosse che San Giorgio possiede la singolare virtù di riportare in vita i morti (si ricordi che uno dei suoi compagni ha per nome Lazzaro). Persefone inizia a sospettare che San Giorgio sia lo pseudonimo di qualcuno molto più illustre del vincitore del drago, nell’agiografia cattolica, qualcuno venuto a portare la redenzione e la remissione dei peccati…
In effetti, quando una rivolta dei detenuti provoca la caduta di Dante 01 verso il pianeta in fiamme, lo pseudo San Giorgio salva i “buoni” (non solo Persefone, ma anche l’asiatica androgina, che buona non era tanto) e si sacrifica per la loro salvezza. A quel punto il pianeta rovente si spegne e diventa un paradiso, mentre la stazione spaziale si trasforma in una croce risplendente.
Il film si conclude così, con la croce che brilla nello spazio, mentre partono i titoli di coda.
A quel punto lo spettatore è tramortito e fatica a riprendersi. Gli pare di essere uscito da una di quelle sessioni di immagini fisse su pellicola a fini edificanti che, fino agli anni Sessanta, erano proiettate nelle scuole, nelle parrocchie, nelle sedi dell’Azione Cattolica (venivano chiamate “le filmine”). Sostituite più tardi dai Super 8 della Sanpaolo film, regolarmente bruciacchiati e sfocati per il troppo uso.
Il genio di Marc Caro, in passato regista o co-regista di cose interessanti, e di Pierre Bordage (uno dei migliori scrittori francesi di fantascienza, non so quanto complice del risultato finale), li ha portati a ispirarsi a quei modelli, che trattavano di vite di santi, di martiri cristiani e di piccole vedette lombarde. Ecco quindi immagini confuse, ambienti asfittici, foto scurissime. Con un tocco di modernità dato dal continuo ricorrere di immagini computerizzate, realizzate, si direbbe, con un Amiga del 1980.
La conquista del palo più basso del mondo è poi consacrata dal doppiaggio italiano. A un certo punto, uno dei protagonisti blatera fuori contesto qualcosa a proposito del fatto che “è umiliante salire e scendere le scale di altri” (al che l’interlocutore lo guarda sbigottito). Chi ha tradotto il copione dal francese probabilmente ignorava che, nella nostra lingua, esistono versi piuttosto noti relativi a quanto saprebbe “di sale” “lo scendere e il salir per l’altrui scale”.
E’ del resto l’unico riferimento a Dante della pellicola, a parte la reazione naturale dello spettatore, questa sì dantesca: “Ed elli avea del cul fatto trombetta”.