Intervista a cura del Collettivo Politico Gramigna di Padova
[Intervista ad alcuni compagni che si sono impegnati negli ultimi anni nella solidarietà agli arrestati per la cosiddetta Operazione Tramonto. 16 luglio 2009, Padova.]
Il 12 febbraio 2007 sono state arrestate delle persone in Italia accusate di terrorismo, in quella che la magistratura ha chiamato operazione “Tramonto”. Chi sono le persone arrestate?
C. Principalmente lavoratori attivi nelle lotte sindacali, che andavano in piazza a manifestare per il rinnovo del contratto e per la difesa del posto di lavoro, poi molti compagni di movimento legati principalmente al Centro Popolare Gramigna e anche dei semplici conoscenti di questi compagni.
T. Fra questi, alcuni compagni si sono rivendicati militanti per la costituzione del partito comunista politico-militare, delle avanguardie rivoluzionarie che credono nella necessità di lottare per la rivoluzione comunista.
Quale è stata la reazione della gente che conosceva gli arrestati, dei compagni, dei militanti e dei parenti?
C. Sicuramente si è manifestata una grossa solidarietà sin da subito, specialmente da parte dei colleghi degli arrestati perchè in molti casi si trattava dei loro delegati sindacali. Una reazione abbastanza buona vi è stata anche da parte di tutte le persone che hanno frequentato il Centro Popolare Gramigna. Nel corso degli anni però abbiamo subito il contraccolpo di un’operazione che è stata terroristica, questa sì, nel senso che ha lavorato veramente in maniera scientifica per distruggere la solidarietà, per allontanare questi compagni dal tessuto sociale di riferimento e sradicarli dal loro ruolo di avanguardie di lotta.
T. Sicuramente la campagna mediatica lanciata subito dopo gli arresti (negli ultimi anni non si era mai vista una campagna del genere) ha creato nell’immediato una sorta di sconcerto, una certa paura, una serie di reazioni molto diverse; ma passato questo primo momento ha prevalso un atteggiamento più razionale e meno emotivo, di chi comunque ha dato la priorità alle cose che conosceva e alle sue reali convinzioni e legata al fatto di credere in queste persone e non di credere alle menzogne dello stato.
C. Si è creato un divario fra chi si è fatto condizionare, forse anche perchè non si aspettava di potersi trovare in una situazione del genere, e chi invece, razionalmente, ha dato peso alle esperienze che ha vissuto insieme a queste persone, e quelle valevano più di tutto. Da questo punto di vista sono stati determinanti il freddo condiviso durante i picchetti davanti alle fabbriche, le manifestazioni costruite insieme, i concerti e le cene sociali durante le quali si sono collettivizzate idee e momenti di divertimento. Da parte di molti hanno prevalso questi aspetti e ciò ha permesso di dar vita ad un movimento di solidarietà molto forte, riconosciuto perfino dagli stessi inquisitori.
Quale è stata la vostra reazione, avete avuto delle difficoltà in questi ultimi due anni?
T. In un primo momento dopo essersi visti arrivare in casa i militari col mitra spianato e aver visto i compagni che venivano portati via incappucciati, in uno scenario stile Abu Grahib, siamo rimasti molto turbati.
In un secondo momento, anzi più precisamente: dopo qualche ora la reazione da parte di molti compagni è stata quella che poi ha contraddistinto gli ultimi due anni che sono seguiti e cioè l’unità e la solidarietà; fin da poche ore dopo si è iniziato a fare scritte a difesa dei compagni, si è iniziato a volantinare a Mestre come a Padova e Milano, (ma anche Torino e Foggia); la reazione è stata quella di difendere l’identità dei compagni, di raccontare chi fossero, le loro vite e ciò che loro rappresentano.
C. La risposta più importante che abbiamo saputo dare dopo gli arresti è stata la partecipazione organizzata alla manifestazione contro il raddoppio della base USA a Vicenza indetta per quel fine settimana.
Noi siamo convinti che questi arresti sono stati fatti non a caso proprio prima della grande manifestazione di Vicenza, in un momento in cui l’allora governo Prodi si trovava in estrema difficoltà. Di conseguenza è stato fondamentale esserci proprio perché uno degli obiettivi da parte di quel governo di “sinistra” e delle ” toghe rosse”, come la Boccassini, che a esso facevano riferimento, era quello di allontanare e isolare tutta la nostra area politica da quel tipo di manifestazioni di massa e allo stesso tempo lanciare un preciso monito a chi scendeva in piazza
Non ci sono riusciti, anzi sulla spinta dell’emotività c’è stata una grossa partecipazione al corteo il quale ha rivendicato l’internità alle lotte sociali dei compagni arrestati. Comunque, dopo la manifestazione, si è dovuto fare i conti con la “terra bruciata” che avevano prodotto intorno a noi con questa inchiesta, si è dovuto fare i conti con le sospensioni dal sindacato messe in atto nei confronti di molti di noi e di quanti all’interno dei posti di lavoro avevano rapporti con i compagni arrestati.
Successivamente la campagna mediatica, a supporto dell’operazione repressiva, dalla dimensione nazionale è passata a riversare i suoi veleni a livello locale con l’obiettivo di depotenziare le attività del Gramigna, dell’associazione Nicola Pasian e degli altri collettivi legati alla nostra esperienza politica. Particolarmente forcaiolo è stato il sindaco di Padova Zanonato (Partito Democratico), che ha chiesto gli fosse assegnata la scorta e ha preteso da tutti i consigli di quartiere una mozione, votata all’ unanimità, di solidarietà nei suoi confronti, nonostante non avesse ricevuto la benché minima minaccia. Tutto questo ha prodotto in città un clima teso e allo stesso tempo surreale, che si è protratto per mesi e ha legittimato e reso inevitabile lo sgombero del Gramigna, eseguito con un dispiegamento di forza pubblica impressionante.
In questo modo una realtà come il Gramigna, che in vent’anni di occupazioni ha costruito una socialità veramente alternativa all’imperativo del consumo, ha costruito momenti di riappropriazione del tempo, ha dato spazio a studenti e lavoratori che volevano lottare, ha dato spazio ai giovani per promuovere la loro creatività, è stato sbattuto sui giornali come il covo, ancora caldo, dei terroristi.
Nonostante le istituzioni cittadine, in questi anni, abbiano applicato nei nostri confronti una vera e propria sospensione dei diritti costituzionali attraverso la negazione sistematica dell’utilizzo di spazi e sale comunali o all’interno dell’università, Il lavoro lentamente è ripreso nel corso dei mesi, abbiamo continuato la nostra attività nei quartieri popolari di Padova che ci hanno permesso di mantenere un radicamento, abbiamo continuato con delle occupazioni simboliche o temporanee del Gramigna organizzando concerti in giro per la città, occupando spazi abbandonati, magari solo per una sera o per due o tre giorni.
Adesso siamo in una situazione di ripresa dell’attività, anche se restano difficoltà dovute al fatto di essere numericamente diminuiti, oggettivamente è diventato più difficile continuare a lavorare come si faceva prima degli arresti.
T. La prima reazione che ha sorpreso chi voleva fare questa operazione, cioè evitare che si facesse la manifestazione nazionale di Vicenza, è stato uno degli esempi principali di solidarietà che ha visto dietro lo striscione “libertà per i compagni” circa un migliaio di militanti appartenenti a diverse realtà solidali che sono riusciti ad impedire il gioco sporco dello stato e della magistratura, che tentavano di impedire che vi fosse una risposta pubblica, chiara e di sostegno a un percorso rivoluzionario.
La sentenza di Milano (13 giugno 2009) ha visto condanne pesanti ma anche delle assoluzioni, quali sono le vostre valutazioni?
T. La sentenza nelle sue linee principali ha evidenziato due aspetti: da una parte alcuni reati specifici sono caduti, e questo ha determinato l’assoluzione di alcuni, dall’altra quelli che sono stati condannati, lo sono stati principalmente per il reato associativo. Questo processo in qualche modo è stato esemplificativo dell’applicazione del reato associativo 270 bis.
Il 270 bis è il prodotto dell’evoluzione del codice Rocco, di fascista memoria, e dà la possibilità allo stato di perseguire penalmente ogni forma di partecipazione e ogni forma di organizzazione di chi vuole trasformare in senso rivoluzionario la società.
All’interno della sentenza, tutte le condanne sino ai tre anni e mezzo come unico capo di giudizio sono state dovute a questo reato associativo.
C. Si dimostra in tutta la sua fragilità l’impianto accusatorio del processo poiché dall’inizio alla fine si è basato sul reato associativo, e aveva ben pochi elementi rispetto a reati specifici. Questo impone un ragionamento più generale su come oggi ci si trovi di fronte a una forma di “guerra interna”; nel senso che mentre sul piano internazionale assistiamo a una crescita dei conflitti per il controllo delle risorse del pianeta, sul piano interno dei singoli stati dell’Occidente vediamo manifestarsi aspetti sempre più evidenti di quella stessa guerra. Se in Iraq e in Afghanistan abbiamo imparato a conoscere la guerra preventiva, nelle metropoli occidentali sperimentiamo sulla nostra pelle la repressione preventiva di tutti i possibili tentativi di mettere in discussione la società capitalista e di resistere alla sua crisi. Di conseguenza oggi l’Operazione Tramonto non è più un caso isolato ma a essa si aggiungono tutta un’altra serie di operazioni che, fatalità, vengono sempre prima di grandi mobilitazioni. Nel 2007 si trattava della grande manifestazione di Vicenza, nel 2009 prima del G8 vi sono state ben tre operazioni, che non hanno avuto la stessa portata e le stesse imputazioni dell’Operazione Tramonto ma che comunque sono state orchestrate dalla stessa regia, producendo arresti, perquisizioni, demonizzazioni mediatiche.
I casi specifici sono quelli dei presunti neobrigatisti a Roma, dei compagni dell’area anarchica di Viterbo fino ad arrivare agli studenti dell’Onda che sono stati arrestati con l’obiettivo di impedire che reiterassero il reato di resistenza messo in atto al G8 dei rettori universitari di Torino.
Ma insomma, secondo voi questi compagni arrestati erano innocenti?
T. La prima cosa che dobbiamo fare rispetto a questa domanda è chiederci i termini che vengono usati, chi giudica l’innocenza o meno? Se qualcuno desidera fare la rivoluzione o lavora per fare la rivoluzione perché una determinata scelta esprime, a livello mondiale, sfruttamento miseria devastazione, è chiaro che è innocente colui che ha il coraggio di voler trasformare questa società ed è colpevole chi domina, chi lo impedisce, chi sfrutta.
Il problema è il punto di vista, perchè spesso, troppo spesso questa domanda viene usata per dividere rispetto a un assunto sbagliato, rispetto a un modo di vedere sbagliato, rispetto a delle premesse completamente sbagliate. Se noi riteniamo che questa società è ingiusta e fondata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo da parte di una piccolissima minoranza principalmente concentrata negli Stati Uniti d’America, che domina e distrugge il resto del pianeta e le persone che ci vivono pur di garantire la propria ricchezza, e scegliamo di lottare nei modi e nelle possibilità che ognuno di noi ha per trasformarla, non possiamo aspettarci di essere giudicati innocenti dai loro tribunali.
C. Il punto è che questi compagni hanno cercato di mettere in piedi un progetto di fronte a una situazione desolante della sinistra, in particolare della sinistra istituzionale italiana, alla sua incapacità di rappresentare i bisogni, gli interessi degli sfruttati e la loro unica colpa è di essersi organizzati e, soprattutto, durante tutto l’iter del processo, avere denunciato la natura politica del processo stesso. Per questo stanno pagando con molti anni di carcere.
Nel futuro cosa si può fare rispetto alla repressione?
C. Innanzitutto pensiamo che sia sbagliato accettare la logica che lo stato ha cercato di imporre con la divisione del movimento tra buoni e cattivi, di chi va in piazza per manifestare e chi invece va per infiltrarvi la violenza, tra protesta legittima e illegittima. Questa logica a lungo andare porta all’impotenza politica e alla paralisi, fa parte di un piano più generale di azzeramento del dissenso che va di pari passo con il processo di fascistizzazione della società, un processo fatto di ronde razziste, di centri di espulsione, di leggi antisciopero…
Noi su questo vorremo aprire un dibattito, il più ampio possibile che non sia solo per “addetti ai lavori”, ma che sia in grado di essere in dialettica con le forme di resistenza che attraversano il paese, con i lavoratori che difendono il posto di lavoro, con gli universitari in lotta contro un futuro di precarietà, con i movimenti che si oppongono alle devastazioni ambientali e con i movimenti che si oppongono alla speculazione sui beni comuni e alla privatizzazione delle risorse.
Pensiamo che questo ragionamento vada esteso a tutte queste esperienze perchè il futuro di lotta, il futuro per il cambiamento si costruisce necessariamente insieme.
T. Nello specifico, rispetto alla repressione, è molto importante che si riesca a costruire una unità fra i familiari, unità con gli amici ed evitare qualsiasi forma (e questo processo lo dimostra) di differenziazione, perchè la differenziazione è lo strumento principe, sia all’interno dello stesso processo sia in processi differenti, per essere sconfitti nella pratica, ma sopratutto nel portato di idee che può generare la rivoluzione comunista.
C. Qualcosa su cui tutti dobbiamo riflettere, dai più giovani ai meno giovani, è la necessità di riappropriarci di quel patrimonio, culturale e sociale, che soprattutto in questi ultimi anni è stato letteralmente massacrato, se non cancellato. Parlo di quella che è una conoscenza, un’esperienza di lotte degli anni passati nel nostro paese; pensiamo alle lotte operaie, alle conquiste ottenute attraverso la lotta di classe.
Riflettiamo anche sulle parole: il termine rivoluzione è stato cancellato e sostituito, non a caso, col termine terrorismo.
Tutti dobbiamo incominciare a riflettere e svuotarci dell’indotto mediatico messo in piedi dal “sistema” per tenerci buoni, spauriti e confusi; ha bisogno di farci il lavaggio del cervello con informazioni manipolate o di non farci vedere proprio quello che in realtà succede, qui nel nostro paese come nel resto del mondo
È necessaria una rivoluzione culturale, soprattutto da parte dei giovani che sono il futuro, imparare a ragionare in maniera autonoma, allontanandoci da quanto il “sistema” ci propina, imparare a osare, ed essere propositivi.
[Qui due importanti interventi dell’avvocato Giuseppe Pelazza, difensore degli imputati, sulle contraddizioni del processo e della sentenza.]