di Filippo Casaccia
G.B. Canepa, “partigiano Marzo”, La Repubblica di Torriglia, Genova, Frilli Editori, 2009, pp. 168, € 4,90.
In anni di revisionismo vigliacco o di celebrazioni insincere e puramente elettorali, un piccolo libro come La Repubblica di Torriglia può aiutare a recuperare la memoria reale di ciò che fu la lotta partigiana. E se ci si ritrova a fantasticare troppo spesso con Hakim Bey su esotiche TAZ, ecco un buon modo per non dimenticare le effimere ma vivaci repubbliche partigiane che durarono pochi mesi ma portarono effettivamente alla liberazione dal nazifascismo.
Questo prezioso volumetto di racconti non ha la prospettiva storica (e un po’ arida, burocratica) del celebre Una repubblica partigiana, in cui Giorgio Bocca documentava l’esperienza della repubblica dell’Ossola, perché più che raccontare la storia, racconta le storie della divisione Cichero, la leggendaria formazione partigiana garibaldina che riuscì a rendere autonoma una vasta porzione di territorio nell’entroterra genovese per 5 mesi, tra l’estate e l’autunno del 1944.
Alle fine di novembre la Repubblica venne meno di fronte ai feroci rastrellamenti tedeschi e alla mancanza di supporto degli Alleati, ma la lotta continuò culminando nella liberazione di Genova il 25 aprile 1945.
Qui trovate le storie di un pugno di uomini, una decina, che dopo l’8 settembre decide di combattere e i racconti, quasi in forma diaristica, come dei veloci schizzi impressionisti, ci restituiscono le sofferenze, la fatica e la sovrumana pazienza della lotta clandestina. Possiamo sentire l’odore di quella vita, il sapore del castagnaccio senza sale, il desiderio di una sigaretta, l’incapacità di alcuni a rassegnarsi a dormire su un letto morbido quando finalmente lo si trovava. Tra i protagonisti della Cichero c’era il leggendario comandante Aldo Gastaldi, detto Bisagno, cui poi verrà intitolata una strada di Genova in cui, durante il G8 s’è consumato il pestaggio senza quartiere dei manifestanti, culminato nell’uccisione di Carlo Giuliani. C’era il russo comandante Fiodor, l’unico straniero ad avere avuto la medaglia al valore militare italiana durante l’ultimo conflitto mondiale. C’erano azionisti, cattolici e comunisti gli uni a fianco agli altri, che cantavano assieme Bandiera Rossa o che osservavano il silenzio per permettere, a chi voleva, di pregare.
Queste pagine documentano con leggerezza e umiltà le storie di persone normali in circostanze eccezionali. C’è l’eroismo, anche sconsiderato; c’è la dura disciplina e l’umana pietà per il nemico che doveva venir meno di fronte all’esigenza di rispondere colpo su colpo alle rappresaglie, come quella tremenda fatta dai soldati mongoli, ex prigionieri al soldo dei tedeschi per sfuggire al campo di concentramento. Ci sono le pagine strazianti dell’eccidio del Turchino e della strage della Benedicta.
Nel 1944 l’autore aveva quasi cinquant’anni: Giovanni Battista Canepa, detto Marzo, era uno dei comandanti della Cichero, a fianco di Bisagno. Nato nel 1896 e già decorato nella prima Guerra Mondiale, aveva conosciuto il confino negli anni Trenta, per poi andare a combattere in Spagna e rientrare in Italia nel 1943. Scrisse questo libro nell’immediato dopoguerra per l’ANPI di Chiavari. Riedito negli anni Settanta a cura di un editore genovese con una serie di integrazioni, La Repubblica di Torriglia torna ad essere disponibile in un’edizione curata da Giordano Bruschi (Giotto), compendiata dai ricordi della moglie dell’autore.
Già nelle testimonianze di allora si avverte la disillusione per l’Italia che stava nascendo: una Repubblica che, per chi aveva lottato ed era morto per arrivarci, è poi stata una delusione. Marzo è morto nel febbraio del 1994, senza subire l’onta di vedere gli ex fascisti al governo.