di Valerio Evangelisti
[Questo racconto, derivato da uno sceneggiato radiofonico, è apparso su Almanacco Guanda 2007, “Il complotto. Teoria, pratica, invenzione”, a cura di Ranieri Polese.]
Il giudice Sweeney agitò il campanello. «Silenzio! Silenzio!» Nell’aula del tribunale di Portland l’agitazione si prolungò per un minuto buono, poi, gradualmente, tornò la calma.
Il magistrato era scuro in viso.
«Imputato Wilhelm Reich, non mi costringa a toglierle la parola! Ho accettato di ascoltarla solo perché aveva annunciato una dichiarazione attinente al processo!»
Reich era esasperato, oltreché stanco. Gocce di sudore gli scorrevano dal ciuffo di capelli bianchi, sopra la fronte alta, e scendevano lungo il viso a bagnargli il colletto della camicia bianca. Il maggio del 1956, nell’Oregon, era eccezionalmente caldo, quasi si fosse in luglio.
«Vostro onore, ma è proprio del processo che io sto parlando!»
Sweeney ormai non cercava di nascondere la sua ostilità. «No! Lei è stato chiamato a giudizio per disprezzo verso la Corte! I suoi eventuali meriti di scienziato non sono in causa.»
«Giudice Sweeney, come pretende di giudicare i miei comportamenti se non conosce il mio passato?»
«Oh, lo conosciamo bene il suo passato, dottor Reich!» Il tono del magistrato divenne ironico. Fece frusciare le carte che aveva davanti. «Ecco qua… Brillante allievo di Sigmund Freud a Vienna… una lunga militanza nel partito comunista austriaco…»
«Non così lunga» obiettò Reich. Intuiva la pericolosità dell’argomento. «Più che altro sono stato un fervente antinazista. Comunista, certo, ma mi illudevo che il partito volesse unire la trasformazione sociale a quella dei costumi. Purtroppo non era così, l’ho imparato a mie spese.»
Sweeney continuò a sfogliare i fascicoli, come se non avesse udito. «Lascia l’Austria poco prima dell’annessione alla Germania… Si rifugia prima in Danimarca, poi negli Stati Uniti…»
«Io credo che la mia biografia scientifica sia più interessante delle vicende della mia vita.»
«Ci arrivo, ci arrivo… In America insegna alla New School of Research, e intanto esercita la professione di psicologo. Prima a New York, poi… leggo bene?… A Orgonon.»
«Sì, nel Maine, vicino alla frontiera canadese. Orgonon è la comunità scientifica che ho fondato, e in cui ho condotto i miei esperimenti più importanti.»
Sweeney ridacchiò. «Comunità scientifica… che parola grossa. Da quanto leggo qui, mi pare di capire che il mondo della scienza non l’ha mai amato. Lei era allievo di Freud, però gli psicanalisti americani l’hanno messa al bando.»
«E’ vero.» Reich ripensò ai ripetuti scontri col maestro, all’umiliante esclusione dal con-gresso di psicanalisi a Lucerna, nel 1934. Cosa poteva sapere, di tutto ciò, un giudice di pro-vincia? «Quelli sono ormai una setta, che con Freud non ha più nulla in comune. Mi hanno perseguitato in tutti i modi.»
«Avranno avuto i loro motivi…»
«Come ogni setta, non tollerano i dissidenti. E’ vero, in Austria ho collaborato con Freud molto a lungo, però poi mi sono allontanato dal suo percorso. Se vuole, vostro onore, le dico perché.»
Sweeney alzò le spalle. «Dubito che ciò interessi questo tribunale.»
«Non voleva ripercorrere la mia biografia? Questo è un punto importante.»
Il magistrato emise un sospiro. «Ce ne parli, allora. Però sia breve.»
Il momento era delicato. Un’occasione così per esporre le proprie idee probabilmente non si sarebbe mai più presentata, nel corso del dibattimento. Reich allargò di un poco il nodo della cravatta. Cercò le parole più sintetiche ed efficaci.
«Freud aveva ipotizzato un’energia presente nei rapporti sessuali umani. L’aveva chiamata “libido”, senza specificare di cosa si trattasse. Io, da materialista convinto, volevo dare un nome a quell’energia.»
«Era ancora marxista, a quel tempo?»
Reich annaspò. «Sì, però non capisco il senso della domanda.»
«Ha parlato di materialismo» replicò Sweeney con severità. «Un termine caro ai marxisti.»
Di nuovo il terreno minato. Il più pericoloso, nell’America di quegli anni.
«Sappia, signor giudice, che i comunisti non mi hanno perseguitato meno degli psicanalisti freudiani. Fu anche per quello che lasciai Oslo e venni qui.»
«Si considera ancora marxista?»
Per la prima volta, Reich sentì l’aggressività montare in lui. Non la trattenne. «Lei mi ri-chiama di continuo al rispetto dei temi del processo. Ciò che mi ha chiesto le sembra attinente?»
«Mi risponda!»
«Credo ancora alle teorie di Marx ed Engels…»
Come prevedibile, l’aula rumoreggiò. Alcuni del pubblico si alzarono in piedi e puntarono il dito verso altri astanti. «Vedete? Cosa dicevamo?» Solo la giuria rimaneva impassibile. Facce di pietra, sguardi vacui, mani in grembo.
Reich chiuse gli occhi e li riaprì. Decise di ignorare il tumulto. «…però detesto lo scempio che ne ha fatto Stalin. Considero Stalin un nemico dell’umanità, proprio perché ha strappato al socialismo i suoi ideali.»
Il giudice Sweeney, impassibile, si piegò verso il cancelliere. «Scriva che l’imputato resta marxista, anche se con riserva… Dottor Reich, mi stava parlando del suo dissidio con Freud sul tema dell’energia.»
Reich si sentiva in trappola. «Ma…»
«Nessun ma. Proceda con la sua dichiarazione, o altrimenti vi rinunci.»
Nell’aula era tornato il silenzio. Reich, molto confuso, raddrizzò il busto, come se quel gesto potesse dargli sicurezza. Parlò a fatica.
«Come vuole. Nei miei esperimenti a Oslo mi convinsi che la libido di Freud fosse l’e-nergia elettrica. Mentre misuravo la carica di elettricità presente nei genitali maschili e femminili, durante l’atto sessuale… »
Questa volta l’aula quasi esplose. C’era chi gridava “E’ una vergogna!”, chi replicava “A-scoltatelo!”. Due donne si presero per i capelli, e solo gli agenti riuscirono a separarle. Un uomo basso e pelato, in prima fila, urlava a tutta gola: «Pornografo! Pornografo!»
Sweeney non fece nulla per arrestare il caos. Era chiaramente scandalizzato. Alzò la voce per superare i clamori.
«Dottor Reich! Lei mi sta dicendo che ha fatto accoppiare uomini e donne davanti a sé, per esaminarne le parti intime? Sa che imputazioni rischia?»
Reich dimenticò la prudenza che si era imposto. La sua risposta fu beffarda. «Non supe-riori a quelle che rischierebbe un qualsiasi ginecologo.»
Nell’aula vi fu chi applaudì, mentre altri sghignazzavano. La tensione si stemperò.
Sweeney era adesso nervosissimo. «Va bene, per ora trascuro ciò che ha detto. Ma solo purché si sbrighi a concludere.»
«Come vuole.» Reich tornò col ricordo ai tempi di Oslo, e ai giovani, divertiti ed eccitati, che si accoppiavano sotto i suoi occhi, in mezzo a una ragnatela di fili. «Energia c’era, ma non elettrica. Si comportava in maniera opposta, causava piacere e non dolore. Ne presi atto, ma solo in America potei completare il mio studio. Non si trattava di elettricità, bensì di Orgone. Di energia vitale, per dirla in modo che tutti capiscano.»
Sweeney fece un gesto di noncuranza. «Orgone? Sarà. Venga al dunque.»
«Sono già al dunque… Ero partito dall’atto sessuale, ne avevo intuito la dinamica. Ten-sione, carica, scarica, distensione. Così funzionava l’orgasmo.»
«Dottor Reich, la prego di evitare argomenti sconci!»
«Ecco, signor giudice, lei ha usato la parola tipica: “sconci”. Quella che si usa sempre, che sintetizza i nostri tabù e le nostre paure. Cosa ci può essere di sporco in ciò che perpetua la vita umana? Glielo dico io: il piacere. Tradizioni, religione, politica ci hanno insegnato a temere il piacere.»
Gli occhi del magistrato tornarono a indurirsi. «Si sta allontanando per l’ennesima volta dai motivi di questo processo. Badi: un’altra digressione e le tolgo la parola.»
«Giudice Sweeney, mi lasci chiarire questo punto!» esclamò Reich, infervorato. «E’ im-portante!»
«A me sembra propaganda comunista a favore del libero amore!»
Reich rimase sconcertato. Gli pareva si essere in balia di logiche che con la sua non ave-vano nessuna attinenza. Finì col mormorare:
«”Comunista”? I comunisti sono quelli che più si sono accaniti contro di me. Guai a parlare di sesso, con loro. Potrei raccontarle che nel 1933, in Danimarca…»
Sweeney parve meno irritato, tuttavia scandì le parole, quasi fossero un monito.
«Lasci perdere la Danimarca. Siamo nel 1956 e ci troviamo negli Stati Uniti. La sua im-putazione non è quella di essere comunista, e nemmeno quella di pornografia. La si accusa di avere ignorato un’ingiunzione e di avere spedito in giro, a fini di lucro, strane casse che guari-rebbero dal cancro.» La voce del giudice si inasprì. «Lei non è davanti a questo tribunale come scienziato. Lo è quale ciarlatano, che abusa della credulità altrui per arricchirsi. Nell’ambito di un complotto che attenta alla moralità del paese che l’ha ospitato.»
Reich fu strozzato dall’angoscia. Cercò di mostrarsi altero.
«Io rivendico la mia qualifica di scienziato! Sigmund Freud mi stimava, malgrado i dissidi. Personaggi rispettati come Einstein o l’antropologo Malinowski hanno accettato di dialogare con me!»
«Tutto ciò accadeva prima che lei si mettesse a vendere casse di metallo per curare il can-cro.»
«Signor giudice, come può comprendere il significato di quelle casse, se non mi lascia spiegare ciò che ho scoperto?»
Dall’uditorio qualcuno gridò: «Fatelo parlare!» Vi furono applausi, radi ma convinti, e mormorii.
Sweeney sembrò leggermente imbarazzato. «D’accordo, dottor Reich, ma si attenga al tema. Ci stava parlando dei quattro movimenti dell’orga… del piacere.»
Reich si sentiva ora più sereno. Sudava anche di meno, per qualche refolo di vento entrato dalle grandi finestre spalancate. Era finalmente sul suo terreno.
«Grazie, signor giudice. Tensione, carica, scarica, distensione. Così uomini e donne creano la vita. Usano energia, nel far questo. Pare energia elettrica, e tuttavia non obbedisce alle stesse leggi. Mi domandai se quell’energia, che chiamai Orgone, potesse esistere altrove.»
«La risposta quale fu?» Sorprendentemente, il magistrato mostrava un certo interesse.
«Mi ci vollero anni per arrivarci. Quell’energia, l’energia vitale, è presente ovunque. Nel cosmo, dove circola in filamenti di plasma, come sulla terra. Perfino organismi infinitamente piccoli ne sono impregnati, e seguono la sua pulsazione.»
«Naturalmente, tutto ciò è pura teoria.»
«No, per niente. Ho osservato gli effetti dell’Orgone al microscopio.»
Sweenwy fece una smorfia. «Effetti che ha visto solo lei.»
«Il comune scienziato non potrebbe vederli. Oggi ci si serve, per certe osservazioni, del microscopio elettronico. Consente ingrandimenti stupefacenti, lo ammetto. Solo che ha bisogno di oggetti immobili. Io ho usato invece un microscopio che hanno in pochi, capace di fo-tografare organismi vivi con 2000 ingrandimenti. E’ così che ho scoperto i Bioni.»
Il momentaneo interesse di Sweeney era già svanito. Fu in tono annoiato che disse: «Va bene, ci spieghi cosa sono questi Bioni e poi la faccia finita.»
«Sono una sorta di protozoi presenti nel corpo umano, e carichi di energia orgonica. Hanno una funzione benefica, ma sono minacciati dai bacilli T. Questi crescono di numero quando l’energia vitale è minacciata da impedimenti alle necessità naturali. L’attività sessuale inibita, la depressione…»
Sweeney sollevò la testa di scatto. «Ancora il sesso! Ma è una fissazione!»
«Era una fissazione anche per Freud, che però non è mai stato processato per questo.»
«Nemmeno lei lo è!» Era evidente che Sweenwy non ne poteva più. «Vuole capire, dottor Reich, che non è in tribunale per via delle sue idee? Lei ha semplicemente disobbedito a una diffida del giudice Clifford. Le si ingiungeva di non fare più commercio dei suoi libri che propagandavano un’energia inesistente, e di quelle casse assurde chiamate “accumulatori”. Capaci, secondo lei, di combattere il cancro.»
Reich si sentì offeso, mentre la spossatezza iniziale tornava a impadronirsi delle sue membra, e la fronte a colare sudore. «I miei accumulatori non sono “casse assurde”. E non combattono il cancro. Semmai lo prevengono. Forniscono ai Bioni l’energia capace di reagire…»
Il giudice batté la mano sul tavolo, con tanta violenza che il campanello tintinnò. «La faccia finita! Nessuno scienziato serio condivide le sue teorie!»
«Era così anche per Benjamin Franklin, e per tanti altri studiosi che non le sto a elencare.»
Lo sguardo di Sweeney si caricò di disprezzo. «Quelli non cercavano di contaminare l’America con teorie contrarie alla morale di questo paese. E soprattutto non vendevano ai creduloni cure miracolose contro il cancro!»
«Ma nemmeno io vendo nulla! Ho divulgato fin dall’inizio la struttura dei miei accumu-latori! Uno strato di materiale organico, uno di materiale inorganico…»
Il magistrato strizzò gli occhi, premessa a un commento sarcastico. «E magari, dentro lo scatolone, un uomo e una donna che compiono atti immorali.»
Nell’aula molti risero. Si tornò a rumoreggiare.
Reich non riuscì a trattenersi. «Lei diceva, giudice Sweeney, che il sesso sarebbe la mia fissazione. Non sarà la sua?» Un attimo dopo si pentì delle parole che aveva appena pronun-ciato.
Il pubblico esplose in clamori. Volarono schiaffi, l’ometto calvo della prima fila si girò e quasi si tuffò su un personaggio seduto alle sue spalle, che gli assestò un pugno sul mento. Gli agenti accorsero. Sweeny agitò a lungo il campanello. Per riportare una calma provvisoria oc-corse tempo. Dopo, i mormorii continuarono, però attenuati.
Il giudice si rivolse, furibondo, all’imputato. «Dottor Reich, si rende conto di ciò che ha detto? Potrei incriminarla per oltraggio alla Corte!»
Reich era, malgrado tutto, deciso a resistere. «E perché mai? Si ricordi, signor giudice, che ha davanti uno psicologo. Una mia osservazione equivale a una diagnosi.» Questa volta il timbro beffardo fu voluto, e non gli causò nessun pentimento.
«No. Ho davanti un cialtrone che campa vendendo cure contro il cancro. E che si crede in diritto di violare e sovvertire le leggi americane.»
Seguì una breve pausa, mentre anche gli ultimi mormorii si acquietavano. Reich si rese conto di avere esagerato. Disse, riflessivo: «Io quelle leggi le rispetto. Le ho sempre rispettate.»
«Però ritiene lecito violare l’ingiunzione di un giudice americano.»
«Rivendico il diritto di violarla. Sa cosa diceva l’ingiunzione, Vostro Onore?»
«Le imponeva di smettere di vendere i suoi accumulatori a gente ignorante.»
«Non è tutto. Si voleva che io bruciassi tutti i libri che avevo pubblicato. Sapeva questo?»
Sweeney annuì. «Certo che lo sapevo. Una decisione sacrosanta, quella di Clifford. La menzogna dell’energia orgonica non è legata solo ai cosiddetti accumulatori, ma anche ai testi che la sostengono e la propagandano come una nuova religione.»
«Ah, sì? Anche quando quei testi erano stati scritti molto prima della scoperta dell’energia vitale? Io ho visto la Food and Drugs Administration bruciare sotto i miei occhi La rivoluzione sessuale, L’analisi del carattere, Sessualità e angoscia. Libri che precedevano di decenni la scoperta dell’orgone.»
«Libri regolarmente ignorati dalla comunità scientifica mondiale.»
Reich ebbe un soprassalto. Ecco che lo si offendeva di nuovo. «Lo dice lei! Con Mali-nowski ho rapporti eccellenti, e lei certo sa chi è Malinowski. Un antropologo universalmente rispettato. Persino con Einstein ho avuto una corrispondenza.»
Sweeney piegò l’angolo del labbro. «Ne ho letto alcuni brani. Pessima referenza. Einstein finì col considerarla matto.»
«Non era d’accordo con me, ma ci scrivemmo. Ci incontrammo anche. Ne converrà, si-gnor giudice. Einstein non è tipo da scomodarsi per conversare con uno stregone qualsiasi.»
Sweeney emise un sospiro che rivelava la sua esasperazione. «Insomma, facciamola finita, dottor Reich! Né a me né alla giuria importa nulla del suo prestigio sociale. Lei ha disobbedito a quell’ingiunzione oppure no? Mi risponda con un monosillabo.»
«Ne servono due. Sì e no.»
«Sta cercando di prendermi in giro?»
«Niente affatto! Ho disobbedito all’ingiunzione perché non le ho dato ascolto. Nello stesso tempo stavo obbedendo alla Costituzione americana, e dunque a qualcosa che il giudice Clifford non poteva violare.»
«Guardi che l’imputato è lei, non Clifford!»
«Si sbaglia.» Reich dovette interrompersi, perché la sala aveva ripreso a rumoreggiare. Si fece forza. «E’ scritto nella Costituzione che il suo fondamento sta nella legge naturale. Vale a dire nella vita umana. Nessuno può impedire che la vita sia studiata e compresa. Nessun Clif-ford può ordinare a me, scienziato, di farlo, nelle forme che voglio io.»
Sweeney scosse il capo. «Capisco dove vuole arrivare. Badi, si sta avviando su un binario morto.»
«Se è così, vorrebbe dire che è la Costituzione degli Stati Uniti a essere un binario morto.»
Ancora una volta, urla di indignazione si levarono dalla platea. “Comunista!” “Sporco comunista!” gridarono in tanti. Fu palese che molti, fino a quel momento difensori di Reich, avevano cambiato opinione o non osavano reagire. Solo alcuni suoi allievi a Orgonon facevano sforzi timidi per difenderlo. Uno di essi fu afferrato per la cravatta e schiaffeggiato. Quella volta, gli agenti rimasero impassibili.
Sweeney urlò: «Basta, o faccio sgomberare l’aula!» La minaccia ebbe più effetto del cam-panello. Il giudice, estenuato, si terse il sudore e fissò Reich. «Mi risponda una buona volta. Ha continuato a distribuire in giro accumulatori orgonici, dopo che una Corte americana le aveva ingiunto di non farlo?»
«No. Ma certo non lo avevo proibito ai miei collaboratori.»
«Lei o i suoi amici ricavavano profitto da questo mercato?»
«No. Non a caso avevamo diffuso in tutto il mondo le istruzioni per fabbricare accumu-latori con costi limitati. Non erano i soldi che ci interessavano.»
Sweeney aprì uno dei molti fascicoli sparsi davanti a lui. «Vedo qui spese abnormi della sua comunità. Migliaia di dollari in sigari e in sigarette.»
«Io fumo poco, ma i miei collaboratori molto. Non ci vedo nulla di male.»
«Le ho parlato di migliaia di dollari, quando Orgonon, teoricamente, non avrebbe nes-suna entrata!»
Reich capì che il giudice voleva riportare il dibattimento su un terreno puramente tecnico. Ciò non gli dispiacque. Aveva argomenti per difendersi anche su quel piano.
«Le sigarette, medici e infermieri se le comperano da soli. Quanto al resto del bilancio, lo copro io. Finora ho pagato non meno di 350.000 dollari, per finanziare le mie ricerche.»
«Nemmeno lei, in teoria, dovrebbe avere entrate! A meno che non le vengano dagli ac-cumulatori!»
«A parte qualche consulenza psicologica, ricevo i diritti sui libri che ho pubblicato.» Reich si concesse una vena d’ironia. «Sempre che qualcuno non me li distrugga.»
In aula vi furono altri rumori, questa volta favorevoli all’imputato. Ciò irritò Sweeney, che, squadrando il pubblico, esclamò: «Non saranno ammesse altre chiassate!» Ottenuto il si-lenzio, la sua attenzione tornò sull’accusato. «Dottore, tutto ciò che dice contrasta con le carte che ho in mano.»
«E da chi provengono quelle carte? Dall’FBI?»
«No, dalla Food and Drugs Administration. E’ da tanto che indaga su di lei e sui suoi rimedi contro il cancro.»
Reich alzò gli occhi al soffitto, in cerca di un cielo invisibile. «La Food and Drugs Ad-ministration! E’ questo il mio tormento. Sono ormai dieci anni che vengo perseguitato da un organo incapace di valutare le mie scoperte!»
«Moderi il linguaggio. Si tratta di un organo dello Stato.»
«Anche la polizia di Stalin era un organo di Stato. Tutto l’apparato di Hitler lo era.»
Non ci voleva altro per riattizzare l’indignazione di Sweeney. «Spero che lei non voglia equiparare il sistema americano a quelle dittature! Del resto, ha lodato infinite volte la demo-crazia che abbiamo qui.»
«Signor giudice, per valutare un sistema io mi baso su un metodo semplicissimo. Brucia libri o no? I miei sono stati bruciati.»
«Solo quelli che hanno a che vedere con la supposta energia orgonica.»
Reich scordò il sudore, le umiliazioni ripetute, la denigrazione sistematica delle sue ri-cerche. Persino le derisioni e le alterazioni del suo pensiero. Il suo timbro suonò veemente. «Tutti i miei scritti hanno a che vedere con quell’energia. Persino quelli che precedettero la sua scoperta.»
«Scoperta che nessuno scienziato vivente ha condiviso» ripeté per l’ennesima volta Swe-eney, incalzante.
«Le scoperte davvero grandi si fanno da soli.»
Il magistrato, palesemente affaticato, fece una pausa. Bevve un bicchiere d’acqua che un cancelliere zelante gli aveva posto davanti. «Temo che tra un minuto le toglierò la parole, dottor Reich. Lei ha dato risposte vaghe a un quesito preciso. Perché ha continuato a vendere rimedi contro il cancro, dopo che la FDA li aveva ritenuti fasulli?»
Reich rizzò il capo. Si sentiva guerriero contro un mostro acefalo. «Perché non lascio che qualcuno interferisca con i miei studi. Senza contare che non vendevo proprio nulla.»
«Le casse sequestrate in vari Stati sono dunque piovute dal cielo?»
«Che cosa vuole che le risponda? Mi sono già spiegato.»
«Fare commercio di aggeggi inutili, vendere scatole vuote, è proprio dello stregone, non del ricercatore.»
Reich, ormai deciso a combattere la battaglia fino in fondo, gonfiò il petto. «E mettere a tacere chi offre all’umanità un’energia capace di aiutarla è da dittatore, non da tutore della salute pubblica. Sorge il dubbio che questi sia l’agente delle case farmaceutiche che la mia scoperta rovinerebbe.»
«Allude per caso a me?» chiese Sweeney, scandalizzato.
Reich fu sorpreso dalla domanda. «No, no, alludo alla FDA!»
Il magistrato si rabbonì, ma solo un poco. «Ha appena accusato gli Stati Uniti di essere una dittatura, solo perché proteggono i cittadini dai ciarlatani. E dunque cosa sarei io, che servo questo paese? Una specie di Vishinskij?»
In aula vi furono applausi, qui e là. Sweeney non li represse, la polizia nemmeno.
Di colpo Wilhelm Reich si sentì allo stremo delle forze. Ogni istinto aggressivo svanì. Capì che il giudice faceva leva sulla campagna di sospetto sollevata dal senatore McCarthy. Lui McCarthy lo aveva sostenuto, fiducioso che avrebbe messo a tacere i suoi ex compagni comunisti e la canea che eccitavano ai suoi danni. Solo ora capì l’errore compiuto.
Da quel momento, la sua autodifesa fu blanda.
«Giudice Sweeney, io non ho mai detto questo!»
Il magistrato gli puntò l’indice contro. «Sì che lo ha detto! “Valuto un sistema secondo quanti libri brucia”, o qualcosa di simile! Non cerchi di ritrattare. L’ho udita io e l’ha udita il pubblico!»
«Ma io non ritratto nulla!» balbettò Reich. «Solo, non mi è mai venuto in mente di accu-sare lei o gli Stati Uniti di…»
«Di fascismo? Di stalinismo? Suvvia, lo dica senza giri di parole! Secondo lei siamo uguali ai comunisti, visto che distruggiamo libri che promettono agli ignoranti cure miracolose!»
«Le assicuro, signor giudice, che non ho mai nemmeno pensato qualcosa del genere!»
La voce di Reich si era indebolita. Invece quella di Sweeney, per contrappeso, tuonava. «Non mi bastano le assicurazioni! Io l’ho fatta giurare davanti a Dio, non ricorda?»
«Poiché sono ateo, giudice Sweeney, penso che una mia assicurazione, o una promessa solenne, possano valere quanto…»
«Si sbaglia! Questo paese si fonda su valori, su una fede condivisa. Se lei disprezza questo, disprezza gli Stati Uniti d’America! Complotta contro la loro stessa coesione!»
«Ma io non disprezzo niente!» Reich, con le dita che gli tremavano, cercò nel taschino del panciotto impregnato di sudore una sigaretta, senza trovarla. L’assenza di un conforto gli diede, paradossalmente, maggiore sicurezza. Si schiarì la gola, fino a trovare il timbro giusto.
«Se vuole da me un altro giuramento, giudice Sweeney, eccolo. Io giuro di non avere mai esercitato la mia scienza per fini sordidi. Lo giuro di fronte all’energia orgonica, che riempie della sua intelligenza il cosmo e genera la vita. Lo giuro in nome dell’amore, che è legge uni-versale. Lo giuro in nome della libera conoscenza, tanto cara a chi fondò gli Stati Uniti.»
Reich si affidava a una passione poco comprensibile, davanti alla giuria e alla maggior parte degli spettatori. La replica di Sweeney, fulminante, fu molto più efficace. «Lei giura in nome di tante cose, ma non di Dio.»
«Dio è in tutte quelle cose. Sono loro, Dio.»
Qualcuno, in aula, esclamò: “Adesso bestemmia anche!”. La protesta non ebbe imitatori. Si udivano solo brusii sommessi.
Tutti parevano stanchi, a cominciare dal giudice Sweeney.
«Dottor Reich, lei capisce bene che la linea di difesa che ha scelto le lascia poche speranze. Non vuole scegliersi un legale? Sarebbe ancora in tempo.»
«E cosa potrebbe dire un difensore, se non quello che gli suggerirei? Nessun avvocato ha visto quello che ho visto io.»
«Intende le carte? Gli atti processuali?»
«No.» Mille immagini scorsero nella mente di Reich. Parlò a voce bassa, quasi a beneficio di sé solo. «Intendo i Bioni che brillavano nel mio microscopio, impegnati nell’eterna lotta contro i bacilli T. Intendo le correnti cosmiche di energia vitale, capaci di condensarsi in mondi, in creature. Le aurore boreali, in cui quell’energia nascosta si manifesta. I flussi orgonici che passano tra uomo e donna nell’atto amoroso, e generano vita… Questo vendevo io. Vendevo vita e conoscenza.»
Vi fu un lungo silenzio. Quando Sweeney riprese la parola, teneva gli occhi sulle carte e giocherellava con una matita. Era sinceramente rattristato.
«Che peccato, dottor Reich, che lei sia ancora vittima delle sue fantasie. Ma lo sa cosa ri-schia? Rischia la prigione.»
«No. Rischio la morte.»
Sweeney spalancò gli occhi, meravigliato. «Ma no, che dice! La pena di morte non è pre-vista, per questo reato.»
«La vita imprigionata muore. Se lei mi mette in prigione, io morirò.»
Il magistrato mostrava imbarazzo. «Via, non dica così… Torni a sedersi, adesso. Dopo una sosta, passerò all’escussione dei testimoni.»
«Non so se li ascolterò. Mi presenterò alla prigione il giorno che lei deciderà.» Reich ag-giunse, con lieve ironia: «Per una volta obbedirò a un’ordinanza.»
«Aspetti almeno la sentenza! Non sarò io a pronunciarla: sarà la giuria.»
«Sì, certo. La saluto, giudice Sweeney. Anzi, le dico addio. La polizia sa dove trovarmi.»
Sweeney, molto irritato, sbottò: «Oltre a disprezzare i tribunali, ora disprezza anche i giurati! E dire che cominciavo a nutrire comprensione, nei suoi confronti! Sono tentato di ac-cusarla di oltraggio!»
Reich scese dalla predella degli imputati. «Tutta la mia vita è stata un oltraggio. O un complotto, se preferisce. Addio, signor giudice!»
Sweeney non protestò per quell’atto che non aveva ordinato. Si limitò a bisbigliare, senza sarcasmo, ma anzi con un velo di simpatia: «Addio, scienziato immaginario!»
Wilhelm Reich, allievo di Sigmund Freud, teorico della rivoluzione sessuale, precursore della medicina psicosomatica, morì nel carcere di Lewisbourg, Pennsylvania, il 3 novembre 1957.