di Valerio Evangelisti
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[Alcuni anni fa, Carmilla ha presentato le tre parti iniziali del libro di memorie “S’atâurn indrì” (Si torna indietro) della partigiana Ermina Mattarelli, oggi defunta, raccolte da Michela Di Mieri. In quell’occasione era stata preannunciata l’introduzione al volume di Valerio Evangelisti, poi mai pubblicata. La proponiamo ora. E’ stata scritta nel 2004, sotto il precedente governo Berlusconi, ma appare ancor più attuale (si sostituisca solo il riferimento a Ciampi con uno a Napolitano). Le istruzioni per acquistare il libro, pubblicato dal circolo Iqbal Masih, sono contenute nella seconda parte delle memorie. Il volumetto è stato presentato, in date diverse, da Valerio Evangelisti e da Michela Di Mieri nel corso dell’importante Festival sociale delle culture antifasciste, una cinque giorni frequentatissima che si è svolta a Bologna dal 29 maggio al 2 giugno.]
Da un certo punto di vista è stato quasi meglio che Ermina Matterelli, deceduta tre anni fa, non abbia potuto assistere al definitivo mostrarsi della vera natura di chi governa oggi l’Italia: una gang di fascisti. Nel 2001, quando è morta, erano già al potere e lo gestivano con arroganza; e tuttavia mostravano ancora una traccia di ritegno e si coprivano dietro quelle apparenze “liberali” che, da un secolo e passa, servono a dare una qualche nobiltà ideologica alla pura e semplice legge del più forte.
Oggi, nell’anno 2004, il paravento è definitivamente caduto. Il militarismo di stampo imperialista, la difesa a oltranza del profitto, l’aperta aggressione contro i lavoratori, l’adozione di leggi autoritarie spacciate come antiterroriste, il razzismo rilegittimato e palesato senza vergogna, le norme codine e reazionarie, la mescolanza dei poteri e la loro sottomissione all’esecutivo, il monopolio sui principali mezzi di comunicazione sono fatto acquisito. Tutte le componenti storiche del fascismo sono dunque all’opera, certo in veste più raffinata e tecnologicamente evoluta, ma senza che ciò ne alteri la sostanza.
Restano, è vero, le elezioni quale elemento che consente agli illusi di parlare di “democrazia” in riferimento alla situazione italiana. Ma non si scordi che elezioni si sono tenute in Italia, e persino in Germania, quando già si consolidavano i due regimi reazionari destinati a insanguinare oltre un quarto del XX secolo. E se c’è un presidente della repubblica (nella persona di un ex banchiere che, la bocca perennemente spalancata, sa solo dire di sì e blaterare a vuoto su patria e bandiera), ci si prepara a svuotarne le funzioni tramite una raffica di modifiche costituzionali.
La vera differenza, rispetto al fascismo storico, sta nella complicità dell’opposizione. E’ a essa che, per esempio, va attribuita la principale responsabilità per l’introduzione di un sistema elettorale che prevede in lizza solo due schieramenti, destinati a somigliarsi tanto, per ideologia di fondo, da essere praticamente similari. Ed è stata la sedicente opposizione — parlo di quella di sinistra: la componente antigovernativa detta “di centro” fa il suo mestiere di sempre — ad approvare con entusiasmo interventi militari che, se da un lato avrebbero enormemente dilatato il peso dell’esercito in Italia, d’altro lato avrebbero distrutto interi Stati e lasciato al loro posto miserabili colonie incapaci di autonomia.
C’era chi aveva avvertito che minare uno dei capisaldi ancor prima morali che ideologici del movimento operaio — il rifiuto totale della guerra, in nome della solidarietà tra gli sfruttati di ogni colore, cultura e nazionalità — avrebbe significato abdicare a tutto il resto. Ma quell’ammonimento non poteva ormai essere nemmeno compreso da chi di movimento “operaio” non voleva nemmeno più sentir parlare, dato che la classe operaia ormai si era dissolta nei ceti medi, il mercato si era tradotto in “valore” equivalente a democrazia e il cosiddetto “Stato assistenziale” era diventato la bestia nera da combattere. Poiché esisteva un movimento che su scala mondiale si ostinava a rifiutare questo assioma — quello dei “no global” — gli andava impartita una lezione memorabile. Così fu allestita la grande trappola di Genova 2001, che poi toccò ai fascisti di ritorno fare scattare.
Del resto, la neutralizzazione di ciò che ancora restava del lungo percorso della classi subalterne — la memoria — fu avviata anch’essa dalla cosiddetta sinistra. Un giudice complice delle repressioni indiscriminate degli anni ’70 e dei primi anni ’80, divenuto miracolosamente leader progressista, fu tra i primi a parlare di una riconciliazione tra ex partigiani e “ragazzi di Salò” (espressione idonea a rendere simpatiche bande di aguzzini e di complici dei nazisti). Altri giudici, promossi campioni di antagonismo solo perché avversi a Berlusconi, pur condividendo tutto il restante pensiero della destra, assecondarono la caccia in tutto il mondo ai vecchi ribelli in pensione con cui i fascisti avevano antichi conti da regolare. E a un presunto “uomo di sinistra” come Giampaolo Pansa fu concesso di andare a caccia di supposte atrocità della Resistenza, che possono apparire tali solo se si scordano completamente il contesto e le radici.
Senza questa connivenza tra destra e pseudo-sinistra (in realtà una destra un po’ più moderata) non saremmo giunti al momento presente, in cui il quotidiano fascista Libero denigra quasi ogni giorno i partigiani e fa l’apologia della virilità di Mussolini, in cui vie e statue vengono dedicate a gerarchi più o meno oscuri del Regime, in cui viene proclamato “giorno della memoria delle foibe”, e celebrato con sceneggiati televisivi ad hoc, il ricordo di un episodio tanto amplificato nelle proporzioni quanto privato dei precedenti e delle causalità storiche che lo determinarono. La sottocultura coltivata per decenni nelle sezioni del MSI di borgata dilaga in strada con pretese di egemonia.
Ermina Mattarelli non ha avuto la sorte di vedere tutto ciò e, ripeto, forse è meglio così. Però, nella testimonianza raccolta da Michela Di Mieri, ci lascia tra le mani l’arma più potente di cui può disporre il nuovo antifascismo: il filo che congiunge gli eventi storici attraverso la ricucitura di una biografia esemplare, nella quale la lotta partigiana si collega strettamente alla ferocia di classe delle bande fasciste del primo dopoguerra, e risale ancora più indietro, a una condizione di fatto servile da cui il proletariato italiano seppe emanciparsi, salvo vedersi strappare di mano ogni pur parziale conquista.
Ermina che assiste alla rovina della sua famiglia, che subisce le violenze padronali e squadriste fin da ragazzetta, che scopre il proprio padre impiccato dai fascisti in un granaio, che trova una dignità nella sua vita di mondina, che viene torturata quale resistente e non parla, ci sta gridando una duplice verità. Il movimento di riscatto delle classi subalterne ha una storia antica, e chi cerca di alterarla è un nemico anche quando non si presenta come tale. Nel medesimo tempo, anche la storia dei nemici del proletariato è antica, e chi oggi ci governa è erede della stessa, innominabile infamia.
Gli antifascisti del 2004 (per fortuna ce ne sono ancora) dovrebbero tenerne conto.