di Diana Sprega
[Diana Sprega è una studentessa del Liceo Scientifico di Fiorenzuola, in provincia di Parma. Questo suo scritto è apparso sul giornalino della scuola, “Carpe Diem”.]
C’era un volta una serie di fabbricati, all’apparenza non troppo accogliente, isolata dai rumori del mondo, da cui il mondo era isolato, possiamo d’ora innanzi chiamarlo Castello di Bolzaneto.
Come ogni castello che si rispetti, anche questo aveva le sue carceri e i suoi angusti corridoi, come ogni castello che si rispetti, anche questo ha i suoi fantasmi.
Se vi fosse permesso di visitarlo non dovreste attendere molto prima di udire il riecheggiare delle urla di dolore degli uomini ivi torturati, dei singhiozzi carichi di angoscia di chi non sapeva cosa gli sarebbe successo, delle risa assurde e beffarde dei carcerieri.
Molto spesso abbiamo guardato con disprezzo ad altri castelli, come quello di Guantanamo o di Abu Ghraib, impari in scelleratezze, molto spesso ci siamo dimenticati, o non abbiamo mai saputo, che non serviva andare oltreoceano o in Iraq, per raccogliere materiale per le storie dell’orrore.
Provate a immaginare circa novanta manifestanti rinchiusi tra le mura di questo castello, spesso nudi e costretti a stare in piedi, minacciati; immaginate i segni della violenza sui loro corpi, immaginate il terrore nei loro occhi.
Supponiamo pure che questi manifestanti avessero torto, che non tutti fra loro fossero pacifici, che meritassero di venir sequestrati dalla polizia e di venir schedati, o anche incarcerati.
Sequestro. Schedatura. Fermo. Incarcerazione. Operazioni di procedura.
Minaccia di stupro. Umiliazioni corporali. Lesioni gravi. Manganellate. Non sono operazioni legittimate dalla procedura.
Picchiare un ragazzo francese di quindici anni finché non firma una dichiarazione in italiano che lui non è in grado di tradurre non è una procedura. Strappare piercing, spegnere sigarette sulla pelle, fare gli sgambetti a uno zoppo, divaricare le dita di una mano finché la carne non si strappa, non sono operazioni di procedura.
Immaginate ora di avere un giorno qualcosa per cui volete far ascoltare la vostra voce, immaginate di decidere un giorno di manifestare per qualcosa in cui credete. Immaginatevi incarcerati, picchiati e mortificati, immaginatevi abbandonati e soli, solo perché quello in cui credete è ritenuto sbagliato.
Immaginatevi anni dopo, svegliati dall’incubo che qualcuno di nuovo vi venga a prelevare nella notte; immaginatevi guardare allo specchio la cicatrice che ancora avete sulla schiena, ricordare che l’avete perché siete stati così stupidi da credere che la polizia non vi avrebbe fatto niente se manifestavate pacificamente.
Immaginatevi a medicare le ferite di vostro figlio, uscito dal suddetto castello, di cui voi per giorni non avete sentito più nulla.
Immaginatevi pensionati, a guardare la televisione, e vedere vostro figlio che muore.
Ora che avete immaginato che queste cose vi accadano, provate a immaginare come vi sentireste se tutto ciò venisse dimenticato.
Pensate che conseguenze può avere il fatto che ciò venga dimenticato.
C’era una volta un ragazzo, chiamiamolo Massimo Costantini, ipotizziamo che sia un medico, e che fosse presente al sequestro, che ha detto: “Non mi era mai successo di vedere una scena come quella, starci in mezzo, viverla, poi tornare a casa, svegliarmi la mattina e avere la sensazione di non essere creduto.[…] Ho pensato a Primo Levi. Davvero, mi sono ricordato all’improvviso di libri letti tantissimi anni fa: non ti crederanno, e quelli che c’erano dimenticheranno”.
C’erano una volta tante storie simili a questa, c’erano una volta tanti castelli e tanti protagonisti che potrebbero avere il nostro nome e la nostra faccia, un giorno.
Tutte queste storie meritano di essere dimenticate? Meritano l’indifferenza?
Le lacrime di persone che hanno visto strapparsi i propri diritti al ritmo delle manganellate, degli sputi e delle minacce, meritano l’indifferenza?
C’era una volta questa storia, che continua a essere raccontata solo nel silenzio.
E ci sarà ancora. E forse ci sarà anche per noi.
Finché ci ostineremo a dimenticare.