di Girolamo De Michele
Simona Mammano, ASSALTO ALLA DIAZ. L’irruzione del 2001 ricostruita attraverso le voci del processo di Genova, prefazione di Carlo Bonini, Roma, Stampa Alternativa, 2009, pp.196, € 14.00
Il blog di Simona Mammano
Ci sono molte ragioni per leggere questo libro sulla lunga notte del G8. La prima è il racconto in sé. A distanza di anni l’italiano medio crede di sapere quello che è successo nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 alla Caserma Diaz di Genova, più o meno. O forse: all’italiano medio piace credere di sapere. Gli piace credere che ci siano state “colluttazioni unilaterali” e “ferite pregresse”, che una “folla di facinorosi” abbia aggredito le forze dell’ordine “nel corso di una perquisizione per reati di pericolo”. Non è andata così: basta scorrere l’elenco dei feriti, riportato senza alcun commento dall’autrice alle pp. 149-150, per rendersene conto.
È solo un esempio di come procede la narrazione: aridi e scarni documenti “ufficiali”, provenienti dagli atti processuali e interpretati alla luce della requisitoria dei Pubblici Ministeri Zucca e Cardona Albini. Carte ufficiali, tra le pieghe delle quali emergono una miriade di piccoli dettagli, che forse anche a chi c’era, se non alla Diaz o a Bolzaneto quantomeno a Genova, possono essere sfuggiti, a distanza di anni.
La seconda ragione è la tecnica narrativa dell’autrice. Simona si è già cimentata, con Diaz nel racconto: ma qui sceglie di montare testi altrui. Il narratore, di fatto, non c’è: è la mano che ha cucito i pezzi del vestito, che si ritira per lasciare spazio alla creatura. Non dice: è vero perché lo dico io. Dice: ecco, questo è stato. E la sua creatura prende vita proprio nel montaggio: quella vita che era prima delle carte processuali, che è ridotta dal documento ad attestazione burocratica, e che adesso si rianima nella rievocazione della macelleria messicana.
La terza ragione sono i pezzi mancanti. Come scrive nella prefazione Carlo Bonini, questo libro ottiene il risultato di «dimostrare, attraverso le circostanze che sono state accertate, quelle che non lo sono state affetto e quelle che non sono state neppure cercate». Su Genova, sulla sua “interpretazione”, c’è una battaglia di verità che è stata di fatto persa: la prima versione, quella televisiva e governativa, si è imposta nell’immaginario nazionale. Per l’italiano medio Genova era percorsa da orde di Black Bloc che devastavano a destra e a manca, Carlo Giuliani stava assaltando un furgone dei carabinieri, le forze dell’ordine sono state costrette a difendersi. Come ha spiegato Babsi Jones decostruendo la strategia informativa che ha costruito a priori la legittimazione della guerra contro la Serbia (l’annunciato bombardamento di un mercato, smentito nel giro di pochi minuti dalla stessa emittente che aveva dato per prima la notizia), il primo lancio di agenzia è quello che conta. Genova è stata un macello. È stata un omicidio a sangue freddo. È stata, anche, un esperimento mediatico: la balcanizzazione dell’informazione. Ci vorranno anni — e l’esito è tutt’altro che certo – per rovesciare l’immagine di Genova sapientemente costruita dai media. Nel frattempo, è essenziale ricostruire un frammento dopo l’altro. Non un solo fotogramma, non un solo documento è inutile. E la mappa dei buchi e delle lacune è importante tanto quanto la cartografia di quello che è stato accertato.
Un’ultima, ma non secondaria ragione per leggere questo Assalto alla Diaz è l’autrice stessa. Che è una poliziotta, iscritta al sindacato SILP-CGIL. Mettendo in gioco se stessa con questa narrazione, Simona Mammano contribuisce, dalla propria posizione, ad allargare qualcuna delle piccole crepe che pure si sono aperte nel muro della verità ufficiale.