di Danilo Arona
Mi sono laureato nel 1974 con una tesi intitolata “Interferenza dell’affettività sullo sviluppo del pensiero”, roba tosta per appassionati di psicoanalisi qual ero io al tempo e per addetti ai lavori tra i quali progettavo di perdermi. Nel redarre i testi bibliografici di riferimento m’imbattei in uno studio di un noto psicoanalista, Giovanni Carlo Zapparoli, dal titolo “La perversione logica — Il rapporto tra sessualità e pensiero nella tradizione psicoanalitica”, un libro quanto mai affascinante, scritto in maniera divulgativa e fruibile anche da chi, ai tempi, non era avvezzo all’iper-specializzazione. Un libro pensato e prodotto nel ’70 e talmente in anticipo da poterne ancora oggi parlare in termini di attualità a quarant’anni dall’uscita.
L’autore vi esaminava il problema della patologia evidenziata solo a livello delle funzioni di pensiero e non in quelle istintive e sessuali. In altre parole, così come esistono perversi sessuali con disturbi nella sfera intellettiva, ci sono anche persone (esistenza provata dalla pratica terapeutica) che a piena ragione si possono definire “perverse”, ma che non evidenziano alcuna perversione sessuale, avendo spostato tutta la loro patologia dalle funzioni sessuali a quelle logiche del pensiero. Tali individui venivano definiti dallo Zapparoli perversi o devianti logici. Personaggi che, a differenza dei perversi sessuali, non si rendono conto né della loro perversione, né delle anomalie delle loro funzioni intellettuali, che essi credono efficienti e funzionali. D’altra parte il disturbo può essere tale che all’occhio di chi non è psicoanalista tali soggetti appaiono del tutto normali.
Di sicuro gradireste degli esempi. Lo Zapparoli forniva due tipologie provenienti dai rilievi clinici: l’impotenza relativa (ovvero, poligamia per inibizione) e la potenza relativa (monogamia per inibizione), due aspetti dello stesso problema affettivo perché riguardano un analogo arresto nello sviluppo psicosessuale. La prima va riferita alle inibizioni relative all’oggetto d’investimento, che si riscontrano quando l’oggetto assume un ruolo sociale, oltre che affettivo, in conseguenza di un atto di matrimonio. Tali soggetti, per cui il rapporto sessuale con qualsivoglia partner può avvenire solo se non esiste un contratto matrimoniale che vincola la loro relazione, sviluppano nei confronti del coniuge un’inibizione sessuale relativa, manifesta nel maschio con impotenza e nella femmina con frigidità. Per loro l’attività sessuale si svolge senza inibizioni e in modo soddisfacente solo con altri individui che non siano il loro coniuge. In certi casi lo Zapparoli aveva osservato che, raggiunto lo scioglimento del contratto matrimoniale, veniva a cadere anche l’inibizione nei confronti dell’ex coniuge.
La seconda classificazione, potenza relativa, si riferisce invece a quei casi, all’apparenza distinti, in cui si sviluppa una specifica inibizione relativa all’attività sessuale extramatrimoniale e per cui l’impotenza relativa rappresenta una sicura difesa della fedeltà coniugale. Questi soggetti riescono a stabilire un soddisfacente rapporto con il coniuge a patto che si sviluppi l’inibizione sessuale nei confronti di ogni altro “oggetto del desiderio”.
Ovviamente le problematiche più profonde riscontrate nella pratica clinica sono assai più complesse di quel che appaiono, e soprattutto disturbanti a livello del pensiero per chi ne è affetto, ma qui mi fermo per passare ad altre considerazioni. Ai tempi trovavo l’analisi di Zapparoli stuzzicante, quasi divertente, e a suo modo inquietante. Mi divertiva il fatto che la psicoanalisi giustificasse organicamente temi di vissuto quotidiano quale la fedeltà o l’infedeltà al proprio partner. E di certo non lasciava indifferente il fatto che, in ottica psicoanalitica, la fedeltà richiesta in sede di tradizionale matrimonio religioso fosse, né più né meno, che la manifestazione di una particolare patologia mentale. Infine un po’ perturbava l’affermazione, cara a Freud, della sostanziale indifferenziazione tra “normale” e “patologico” perché la possibilità d’imbattersi in un perverso logico, riconoscendolo come tale, era pari allo zero.
Invece oggi, in un 2009 carico d’incognite, con una cronaca — nera e non solo — in cui le “schedature” su quel che è la Norma sono di fatto saltate, gli argomenti di Zapparoli appaiono più che mai attuali. Perché quei normali di cui parlava (e parla ancora) lo studioso manifestano un disturbo che spiega a suo modo tante “stranezze” sociali del nostro momento storico.
Infatti i perversi logici “dispercepiscono” la realtà, oggettivando al suo posto un insieme di meccanismi ideali che non corrispondono al vero. Come gli oggetti d’amore vengono idealizzati con conseguenti rapporti a dir poco velleitari, così le sensazioni di pericolo futuro sono caricate di caratteristiche magiche e onnipotenti, e il perverso logico gioca con i pericoli futuri nello stesso modo di come gioca con le possibilità di incontro amoroso. Ovvero, le nega.
Si nega il pericolo, il bisogno, la possibilità di un piacere immediato. La logica viene posta al servizio di una sorta di eroismo illusorio che trascura il presente e valorizza solo il futuro. Per questi soggetti proprio la logica è soprattutto il mezzo per stabilire un rapporto con un feticcio (oggetto ideale) che compare e si forma in concomitanza con i propri bisogni, e che si dissolve e scompare con la saturazione dei bisogni stessi.
Non percepiscono la verità e sono anaffettivi, perché hanno sostituito il sentimento con un castello di apparente funzionalità logica. Quindi non sentono ma fingono di sentire.
Nel cinema di fantascienza forse li chiameremmo Ultracorpi. Stanno con noi e attorno a noi. Vicini di pianerottolo e al governo. Sfrecciano in macchina ai trecento all’ora perché quel pericolo non esiste. Diffondono l’AIDS perché non esiste. Mandano il mondo in bancarotta perché percepiscono un mondo economico che non esiste, quello che dovrebbe crescere all’infinito quando neppure l’universo è infinito.
Normalità? Bisognerebbe cominciare a capire quel che s’intende con questa parola. Ma non ci sarebbe da stupirsi se scoprissimo che il pianeta è in mano ai perversi logici.
In un saggio che scrissi e pubblicai nel 1980 a proposito di un film amatissimo come L’invasione degli Ultracorpi di Don Siegel scrivevo: “… se i perversi logici dovessero aumentare fino a saturare numericamente la quasi totalità del corpo sociale, forse si giungerebbe a una situazione in cui, al pari dell’invasione prospettata nel film, le emozioni e la sfera affettiva risulterebbero del tutto alienate.”
Non gioco a fare il bravo profeta, ma oggi — ventinove anni dopo — siamo qui a stupirci della scomparsa delle emozioni. Oppure non ce ne stupiamo, e magari l’emozione inizia a latitare anche in noi…