di Alberto Prunetti
Paola Minelli, Maria Rosaria D’Oronzo, Sorvegliato mentale. Effetti collaterali degli psicofarmaci, Torino, Nautilus, 2009, pp.141, euro 10.
La critica della malattia mentale ha rimesso in discussione l’idea di segregare chi esibisce comportamenti che non si inquadrano nei canoni della normalità. Ma nel frattempo il concetto di segregazione, la gabbia intorno al cosiddetto “malato mentale”, si è trasformato: le gabbie fisiche sono diventate chimiche, il letto di contenzione è stato sostituito dal farmaco ipnotico e sedativo, il muro dell’isolamento è stato abbattuto solo per lasciar posto ai muri del vuoto comunicativo indotto dallo stordimento da cocktail di pillole.
Mentre i manicomi si svuotavano (magari per essere abilmente trasformati in eleganti aule universitarie, o per continuare a funzionare secondo il vecchio sistema, riclassificando i malati mentali sotto diciture diverse), le acque reflue dei paesi cosiddetti “sviluppati” si scoprivano inquinate da nuove sostanze, prescritte con leggerezza da medici a cui manca qualsiasi capacità di mettere in discussione i depliant pubblicitari dell’industria farmaceutica.
Infatti la psichiatria, nel tentativo di governare l’alienazione mentale senza rimuoverne le cause, ha allargato il catalogo dei medicinali disponibili e quindi lo spettro delle dipendenze da sostanze legali, per poi estendere l’inventario delle malattie mentali e moltiplicare il numero dei malati e quindi il bacino degli utenti di servizi sociali e sostanze psicoattive.
Così, dopo i carcerati, i vecchi, gli alcolisti, quelli stressati dal troppo lavoro o dai casini sentimentali, si è scoperto un nuovo segmento di mercato sui banchi delle scuole, e prima negli Stati Uniti, poi in Europa, ci si è inventati una nuova malattia dai contorni non meglio precisati, una sorta di “disordine dell’attenzione” che punisce col Ritalin il ragazzino troppo sveglio: fegati e menti si preparano fin dalla tenera età a una vita di emozioni controllate farmacologicamente.
Contro tutto questo diventa fondamentale dotarsi di strumenti di controinformazione per capire quali sostanze ci vengono allegramente prescritte da medici generici o dai servizi delle asl, sia in somministrazioni saltuarie che in trattamenti psichiatrici, non importa se volontari o obbligatori.
Nel 1998 la casa editrice Nautilus (piccola e agguerrita editrice torinese che pubblica da anni testi di critica radicale dell’area post-situazionista francese, ma anche dell’ecologia radicale nordamericana) aveva dato alle stampe un manuale, curato dall’associazione Telefono Viola, che illustrava gli effetti nefasti di una serie di psicofarmaci. Adesso questo testo è stato rielaborato da Maria Rosaria D’Oronzo e Paola Minelli. La prima è stata presidente di Telefono Viola di Bologna ed è adesso una coordinatrice del Centro di
Relazioni Umane, mentre Minelli è un’operatrice socio-sanitaria
dissidente in ambito psichiatrico. La loro curatela si muove a partire dall’idea che “che non sono problemi medici il piacere moralisticamente denominato “vizio”, ovvero l’uso e l’abuso di sostanze psicoattive (compresi gli psicofarmaci), abitudini e attività quali gioco d’azzardo, promiscuità sessuale, mangiare poco, mangiare tanto, fare casino, parlare troppo, parlare troppo poco o in maniera inusuale, lavarsi troppo o troppo poco eccetera”. Queste sono infatti soltanto esperienze.
La nuova edizione di Minelli e D’oronzo propone una serie di testi preliminari che sviluppano un’interessante critica del trattamento farmacologico dei comportamenti non ortodossi (perché sono questi, più che la malattia, ciò che la maggior parte degli psichiatri si preoccupa di curare). Trattamenti volti appunto a deresponsabilizzare il paziente, a trasformare il suo bisogno di essere ascoltato in disturbi e patologie, a fornire un maggior controllo sociale che va di pari passo con le entrate delle case farmaceutiche. Senza demonizzare le sostanze psicoattive, le curatrici hanno elaborato un manuale d’uso che permette ai pazienti di ottenere quelle informazioni che la prassi medica rifiuta
solitamente di fornire, laddove la prescrizione farmacologica viene
fornita, nel migliore dei casi, con una lacunosa descrizione degli effetti collaterali, o al peggio, in maniera fraudolenta o coatta. E parliamo di farmaci e trattamenti che in ogni modo compromettono le condizioni relazionali del paziente, e quindi provocano un peggioramento dell’umore e giustificano la necessità di passare di trattamento in trattamento, di farmaco in farmaco, fino a instaurare una dipendenza con la sostanza.
Appunto per le principali sostanze, ordinate in classi (tranquillanti, neurolettici, anticolinergici, stabilizzatori dell’umore, antidepressivi e psicostimolanti), Sorvegliato mentale fornisce una scheda che indica gli effetti collaterali, i sintomi dell’intossicazione acuta e quelli della dismissione.
Un inventario di effetti che include disturbi del sistema immunitario, alterazioni delle funzioni del fegato, affezioni cardiovascolari, convulsioni, parkinsonismo, insufficienza respiratoria. Roba più pesante, anche in termini di costi sanitari, dei rischi di un saltuario “sbrocco”.
In conclusione, un indispensabile strumento di primo soccorso per difendersi dal contagio nocivo della psichiatria, da affiancare a opere di più ampio respiro di critica della medicina, come quelle di Ivan Illich, Hans Ruesch, Giorgio Antonucci.