di Teo Lorini
Fabio di Dario Voltolini è la nona uscita di “Chicchi”, la nuova collana di Manni che ha il pregio di pubblicare racconti troppo lunghi o singolari per essere costretti entro i limiti di un’antologia, ma ancora troppo brevi per ambire alla dimensione di romanzo.
“Vedove nere, tarantole, si muovono nell’ombra dei nostri cervelli ancestrali. Presenze velenose su pietre umide, fredde e senza emozioni, secrezioni digestive che decompongono, che sciolgono, nel ghiaccio silenzioso di una iniezione anestetizzante e letale”. Dopo una simile rassegna delle immagini archetipiche di terrore che il ragno evoca in noi, non stupisce che l’io narrante di Fabio, richiamato dalle urla di moglie e figlia, si precipiti a imprigionare in un bicchiere il colossale aracnide sbucato d’improvviso da sotto il letto.
Assimilandolo a “una creatura che avesse in se stessa sia del parassita sia del ratto”, il protagonista di questo racconto cerca lumi presso l’Ufficio d’Igiene. È solo la prima di una serie di tappe che lo porteranno in giro per la cintura di Torino fra laboratori e istituti universitari, col ragno silenzioso al suo fianco nella prigione di un bicchiere sigillato.
Durante questi vagabondaggi dal retrogusto kafkiano, il narratore si lascia andare a flussi di ricordi repentini e casuali; guidando nel traffico lungo viali di circonvallazione e palazzacci grigi, emergono frammenti di passato (il libro letto tanti anni prima, un viaggio in Connecticut, i supereroi della Marvel) che sembrano quasi trovare nel ragno un ascoltatore telepatico, formidabile e paziente. Fino a quando, a metà di un cavalcavia, il protagonista si gira verso il suo compagno di viaggio e, senza sapere bene perché, lo battezza di slancio: Fabio.
Con prosa asciutta ed efficace, soffusa di tenerezza e autoironia, Voltolini intesse una novella in cui il destino ultimo di Fabio è meno importante del legame che, di tappa in tappa, la creatura spaventata ha sviluppato verso l’altra, non più repellente e aliena ma, piano piano, vicina, oggetto di ammirazione e di umanissimo rimpianto.
[da Pulp]