demetrio_paolin_cover.jpgdi Giuseppe Genna

Esce il 13 maggio un libro che ritengo importante (come scrissi qui): “Il mio nome è Legione” di Demetrio Paolin, edito da Transeuropa. E’ un oggetto narrativo che implica un affrontamento di tematiche fondanti e fondamentali. Un testo che si incide automaticamente in una tradizione narrativa che si sta facendo, collettivamente, e che mette in gioco la totalità dell’umano nel contemporaneo – la sua potenza di percezione e di trascendimento, messa a confronto con la deriva teologica che etichetta l’apertura umana e la aliena. Prima di una compiuta riflessione sul romanzo in questione, mi permetto di segnalarne la pubblicazione e la presentazione alla Fiera del Libro di Torino: insieme con l’autore, interverranno Giulio Mozzi, Dario Voltolini e Giorgio Vasta (lunedì 18 maggio alle 12.30, Sala Autori B).
Qui sotto, il booktrailer e, di seguito, un intervento dell’editore sul libro di Paolin.


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SU IL MIO NOME E’ LEGIONE

Il mio nome è Legione è l’anatomia del male quotidiano in tutte le sue implicazioni: sofferenza, colpa, necessità, rabbia, stupore, incomprensione.
È un testo che procede per salti temporali, tableaux roulants e figure. Fatti e personaggi non sono collocati nello spazio orizzontale della storia, collegati fra loro da semplici nessi di causa/effetto, ma in base al loro rapporto — verticale, astorico, trascendente — con dio e col male.
La struttura narrativa, che scompone la storia — le ellissi, l’alternarsi e incrociarsi delle vicende lungo piani temporali diversi — apre varchi che mettono in comunicazione episodi e personaggi, pubblici e privati, storici o quotidiani che siano, secondo un dispositivo formale perfetto nel rendere la fluttuazione dei movimenti di coscienza del protagonista.
La voce che narra, asciutta e precisa, unisce il realismo delle vicende narrate con l’inesorabile lucidità delle riflessioni. È una voce crudele e intransigente, che scarnifica la polpa romantica dello sguardo, le suggestioni delle memorie.
Alla fine di questo romanzo il male resta ciò che è da sempre, ma ha cambiato polarità. Il male è nell’essere, ed è l’altro nome della nostra libertà di scegliere il bene, di perseguire il bene. La presenza del male è l’imperfezione che ci consente di amare l’essere nella sua debolezza. Se infatti l’essere fosse già in salvo, domanda per noi questo protagonista dalle molte voci e “incarnazioni”, perché ce ne dovremmo curare? Noi portiamo la colpa, il marchio della nostra violenza, noi siamo i custodi di nostro fratello.