di Matteo Dean
Vittorio Sergi, Il vento dal basso: nel Messico della rivoluzione in corso, prefazione di John Holloway, Ed.it, Catania, 2009, pp.275, € 16,00.
“Tutto può accadere finché la storia è accesa”, così conclude Vittorio Sergi le oltre duecento pagine di esplorazione del Messico “di sotto”. Ed effettivamente, se molte cose sono accadute e in queste pagine uno se ne può rendere conto senza dover leggere nulla tra le linee, molto potrà accadere. Non è difficile capirlo dal ricco e intenso testo che ci presenta il ricercatore Vittorio Sergi, studioso che solo per origini anagrafiche definiamo qui italiano. Perché i contenuti del suo primo libro tradiscono, non senza una certa legittima presunzione, la sua traiettoria: in quanto ricercatore, certo, ma soprattutto in quanto militante di quell’area politica che, dopo aver letto il suo libro, ci riesce difficile definire sinistra. Potremmo forse definirla ribelle, anche se dalle parole dell’autore ci sentiamo legittimati di nuovo, e senza paure, a definire rivoluzionaria.
Già dallo stesso titolo, Vento dal basso, si intuisce da che parte ci troviamo. E per fortuna. Perché è difficile oggi trovare un testo che seppur senza approfondire troppo alcuni temi – il che lascia sperare che un domani si possa farlo -, riesce a coniugare il racconto con l’analisi integrale, complessa, di un fenomeno per nulla delimitato nel territorio.
Ci troviamo in Messico e ci troviamo negli ultimi cinquant’anni. Ma potremmo trovarci in Europa, in Italia, o anche altrove. L’importante è che ci siamo, ancora una volta. Dopo le tragiche conclusioni di un ciclo di lotte, in Messico e altrove, lo neo-zapatismo, che senza dubbio è il protagonista di questo libro, ha risvegliato non solo la speranza di coloro che rischiavano di perderla quando si annunciava la fine della storia, ma anche la capacità di sentirci umani, vivi e con la possibilità, nonché con le ragioni, di continuare a lottare per democrazia, giustizia e libertà. La conclusione ottimista che si raccoglie nel testo non è però frutto di un sogno o solamente di una speranza, ma è il dato di fatto conseguenza della storia che nel libro si racconta: quella del Messico “di sotto”.
Il libro ha innanzitutto il pregio di ricreare il contesto messicano e collocarlo in quel che gli zapatisti messicani definiscono la “Quarta guerra mondiale”, ovvero la guerra che il capitale – nella sua versione neoliberale – ha dichiarato all’umanità. Un accorgimento importante e ben spiegato, raccolto anche dalla lusinghiera presentazione al testo firmata dal ricercatore irlandese John Holloway, che riesce – una volta per tutte? – a rompere il mito secondo cui il neo-zapatismo sarebbe un movimento pacifista. Gli zapatisti sono in guerra, spiega l’autore, pur avendo fatto una scelta strategica di dialogo pubblico e pacifico. Ciò non toglie l’urgenza di mantenersi armati e costituiti in esercito per difendere quanto conquistato sinora, ma anche per mantenere una via aperta, una possibilità. Perché, come si evince dal testo, il Messico contemporaneo ha offerto e continua a offrire pochissime altre alternative.
Vi è poi dell’altro, ovvero la cura nel raccontare i decenni di lotte sociali in Messico. Un racconto quasi appassionante, soprattutto per coloro che il Messico lo conoscono alla luce dell’esperienza zapatista, perché ha la capacità di riassumere in poche pagine le ragioni che mossero tanti e tante a imbracciare le armi pur di non morire inginocchiati di fronte a quella che Vargas Llosa ha definito la dictadura perfecta. Una aspetto non secondario, anche alla luce delle altre esperienze armate in Messico che il testo approfondisce. In questo senso, infatti, è giusto anche che Sergi rompa il mito della guerriglia buona (gli zapatisti) e quella cattiva (i marxisti-leninisti dell’EPR), che ha contaminato anche molte visioni “da sinistra” della lotta politica in Messico.
Inoltre, in Vento dal basso troviamo un’accurata analisi di due aspetti fondanti del neo-zapatismo e delle lotte che ha ispirato. Il primo, il carattere costituente del progetto dell’EZLN. L’autonomia realizzata e in fieri allo stesso tempo, la riflessione interna, esterna e contraddittoria tra politica e guerra, sull’uso della violenza e sul carattere propositivo e dirompente dell’organizzazione neo-zapatista. Il secondo, la natura indigena delle lotte sociali in Messico. Certo, non è un’esclusiva indigena la lotta per l’emancipazione e per la giustizia. Ma Sergi riesce sinteticamente a porre la questione della contraddizione tra visioni del mondo indigene in Messico e quella apparentemente egemone, ovvero quella che semplicisticamente definiremmo occidentale.
Infine, che dire del dibattito sul fatto che l’esperienza dell’EZLN apparterrebbe alla post-modernità e che la sua sarebbe una guerriglia “di carta” o solamente comunicativa? Be’, andate a vedere con i vostri occhi in Chiapas e in Messico, dove l’esperienza si è riprodotta con le dovute specificità. Ma, prima, leggete il libro di Vittorio Sergi, che anche su questo punto smentisce i fautori del romanticismo neo-zapatista e ci offre un’efficace interpretazione della lotta politica contemporanea in Messico.