di Francesco Lo Duca
Qui le precedenti puntate.
“Sta nell’immaginazione
nella musica sull’erba
sta nella provocazione
nel lavoro della talpa
nella storia del futuro
nel presente senza storia
nei momenti di ubriachezza
negli istanti di memoria…”
Ancora un breve e concitato confabulare con le compagne per decidere come organizzarsi per il corteo, poi Carlotta si ritrova fuori dal Goliardo, a respirare l’aria di sommossa che si leva dalle barricate attorno a Piazza Verdi, fino a Piazza Rossini da una parte e giù, fino a Largo Respighi, dalla parte opposta.
Vede che c’è già un sacco di gente in giro; ormai le notizie della mattina hanno raggiunto tutti, e tutti rispondono all’ appello. A gruppi o individualmente stanno convergendo nel cuore dell’Università. Tutti i “teppisti, untori, provocatori, anticlericali, drogati, squadristi, terroristi, estremisti, froci, agenti bulgari” di cui, notoriamente, Bologna pullula. Ci sono tante facce conosciute in giro ma anche moltissima gente spuntata da chissà dove; dai quartieri, dai bar fumosi delle periferie degradate ufficialmente inesistenti, da ogni anfratto ritagliato e sottratto al controllo del Grande Fratello, onnisciente e onnipresente.
Si guarda attorno ancora frastornata dagli avvenimenti e dalla confusione regnante e sente il bisogno di isolarsi. In quel momento non ha assolutamente voglia di parlare con qualcuno, di dividere con altri un dolore e uno shock che non ha ancora iniziato a elaborare. Ha bisogno di stare sola, di pensare, di superare il puro stato emotivo che le stringe lo stomaco.
Invece di immergersi nella folla che ormai ha invaso la piazza, svolta a destra e inizia a percorrere lentamente via del Guasto.
La strada stretta e silenziosa, costeggiata dall’ imponente fiancata del Comunale da un lato e da edifici tutti rigorosamente color ocra sbiadito dall’altro, infonde in Carlotta un effimero senso di tregua. Respira a fondo e si ferma per un attimo, poi si dirige con decisione verso quella bizzarra opera conosciuta come i giardini di cemento.
Le capita abbastanza spesso di andare in quel luogo dalla concezione architettonica ardita; macchie di verde immerse in linee geometriche di cemento a vista, con una specie di anfiteatro che si allarga verso il fondo, il tutto incastonato tra gli edifici nel cuore del quartiere universitario. Quando sente la necessità di stare per i fatti suoi, di raccogliere le idee, s’isola in quella sorta di chiesa pagana, un po’ schizofrenica, che le concede il lusso di guardarsi dentro in pace.
Sale la breve rampa, così simile a quelle dei megaparcheggi dei film americani da far pensare a ogni passo che debba sbucare all’improvviso un’auto in fuga tra lo stridore degli pneumatici sul cemento. Si guarda intorno e si dirige verso il suo angolo preferito; un fazzoletto di prato, non più di due metri quadrati, immerso tra le guglie geometriche di cemento che lo sovrastano. Non c’è nessun altro in giro, oggi, anche i soliti tossici e pusher devono avere cambiato aria. Veramente qualcuno c’è; Carlotta stringe i grandi occhi verde oceano leggermente miopi e inquadra, dalla parte opposta del giardino, un tipo che conosce solo di vista, seduto con le spalle appoggiate ad un muro,. “E’ uno di quelli sempre in prima in fila, uno dei servizi d’ordine…- pensa – Ah si, del CPS, quelli che si definiscono autonomi anche dall’Autonomia e che non ho ancora capito se sono un branco di “soldatini” maschilisti o se sono veramente tutt’altro che grezzi, come dicono alcune compagne che li frequentano, al contrario di quanto vogliono far credere, forse per provocazione o per snobismo.
Anche il tipo, sguardo fisso dinanzi a sé e sigaretta che gli brucia lentamente tra le dita, sembra totalmente assorto nei suoi pensieri.
Carlotta spegne la sigaretta e si siede a gambe incrociate. La pratica dello yoga le ha regalato la capacità di sciogliere i pensieri e rilassare il corpo in qualsiasi situazione; in pochi minuti la sua mente è sgombra e vaga liberamente a ritroso.
Pochi giorni prima, l’ 8 Marzo.
Le femministe avevano organizzato una manifestazione molto partecipata e grintosa. Volevano riprendersi la palazzina occupata di Porta Saragozza.
Un bel corteo autodifeso aveva attraversato le strade del centro ma si era sgretolato contro i calci dei moschetti e la ferocia dei questurini, esibita in cariche furiose che avevano mandato all’ospedale parecchie compagne.
Si sente stringere il petto dal fiato corto di quei momenti, poi, come una lama tagliente, la squarcia il flusso dei ricordi l’immagine delle prime riunioni di donne a cui aveva partecipato, e tutto il percorso turbolento, sofferto, costellato di ostacoli che l’aveva fatta diventare un’attivista.
Tutto era cominciato quando gli angeli del ciclostile, già angeli del focolare, futuri angeli delle mailing list, ne avevano avuto le palle piene (le più toste dicevano ovaie, per coerenza di genere) e non ce n’ era stato più per nessuno.
Certo all’inizio era stata dura per loro, perché i maschi, sebbene compagni, non ne volevano mezza di mollare privilegi ereditati da talmente tanto tempo che si potevano considerare parte del patrimonio genetico a tutti gli effetti.
C’erano stati cortei femministi che, al grido di “col dito / col dito / orgasmo garantito”, avevano sfilato tra ali di compagni timorosi e risentiti che avevano replicato “col cazzo / col cazzo / è tutto un altro andazzo” ; c’erano state assemblee di donne sciolte con la forza dall’Autonomia e come al solito, in più di un’occasione, erano volate mazzate.
Ai giovani rivoluzionari maschi, vittime antesignane di un post-fordismo di cui si cominciavano a fiutare, neanche troppo in lontananza, i funesti “benefici effluvi”, veniva l’orticaria alla richiesta degli angeli di “mettersi in discussione”, di ammettere il loro maschilismo intrinseco e assolutamente irreversibile, di sparire spontaneamente dalla faccia della terra.
Carlotta ricorda benissimo tutta la storia. Sa che il passaggio cruciale del movimento femminista era stato il congresso di Rimini di Lotta Continua nel 1976, quando le donne autoorganizzate, in un colpo solo, avevano dato la spallata decisiva per mandare a gambe all’aria la più consistente e strutturata organizzazione della sinistra extraparlamentare che aveva deciso di farsi partito, e avevano imposto la presenza e l’azione femminista come elemento destrutturante della prassi politica seguita fino ad allora. La questione delle donne diveniva di fatto lo spartiacque tra la lunga fase della concezione puramente ideologica della politica che si trascinava stancamente in mille rivoli e gruppuscoli, fatta di analisi, teorie e prassi marxiste-leniniste, con al centro i rapporti di produzione capitalistici e la guerra di classe, e una fase radicalmente nuova, catastrofica nella sua determinazione storica, al cui centro era una concezione del tutto eversiva, che vedeva il mondo diviso in una metà scarsa che da sempre opprimeva l’altra metà abbondante, fondando il potere sulla differenza di genere.
– Capite compagne? La condizione delle donne, nel contesto delle realtà fortemente urbanizzate, è addirittura peggiorata a partire dall’ espandersi della società industriale: sfruttate sul lavoro e sfruttate in casa, magari dallo stesso compagno che la mattina lotta contro i padroni in fabbrica. Nelle realtà agricole le donne hanno semplicemente continuato a subire questo doppio sfruttamento, in tutti i tempi e a tutte le latitudini, prima, durante e dopo l’industrializzazione; di giorno a sgobbare nei campi, la sera ad accudire la casa, i figli e le voglie del marito.
E oggi, nell’opulentissima e progredita civiltà del “capitalismo avanzato”, che cosa è mutato per le donne? Assolutamente niente. A casa a fare le casalinghe, sole, senza reddito, spesso con l’unica compagnia di una bottiglia di vino, a tirare la carretta e a rammendare calzini con l’angoscia, giorno dopo giorno, che al marito, prima o poi, venga un tiramento di culo e le gonfi di botte o le sbatta in mezzo a una strada perché si è stufato e ne vuole una più giovane. Le più emancipate magari hanno il culo di avere un lavoro e quindi un reddito che le sottrae al ricatto economico. Ma in quel caso, come succede da secoli, le donne soggiacciono al doppio sfruttamento di cui parlavo prima.
Allora, se è vero che la famiglia è il primo nucleo costitutivo della società, è dalla famiglia e dai rapporti di coppia su cui la famiglia si fonda che bisogna ripartire per cambiare questo schifo di società che vuole le donne sempre di più schiave docili e accondiscendenti – Le discussioni tra le femministe erano appassionate e non senza “articolazioni interne”.
– Amiche (fischi in sottofondo) e compagne (insulti in sottofondo). L’UDI è una grande organizzazione (fischi e insulti in sottofondo) delle donne che non può non riconoscere il primato della lotta di classe quale strumento per modificare, in senso riformista e socialista, la struttura della società italiana. Lotta di classe, compagne e amiche (urla, insulti e fischi non più in sottofondo), che rilancia con forza la centralità della classe operaia e delle forme di rappresentanza politica da essa espresse e storicamente determinate (insulti, fischi e minacce in primo piano). Per questo motivo noi donne dell’UDI pensiamo che il nostro doppio impegno, di donne, tra le donne e con le donne, e di militanti comuniste non sia in contraddizione, a patto di ricondurre le giuste rivendicazioni femminili all’interno del quadro più ampio della lotta per l’emancipazione del proletariato e delle classi sub…. – (Urla primordiali, insulti irripetibili tipo “ma vaffanculo stronza, vai a leccare il culo a Berlinguer”). Microfono strappato di mano.
– Queste stronze dell’UDI vogliono egemonizzare e burocratizzare il movimento delle donne, copiando pari la gerarchia di quel partito maschilista e fascista da cui prendono ordini. La lotta di classe comincia a casa, in cucina e a letto, inizia quando le donne sono costrette dopo un turno in fabbrica o in ufficio a ricominciare a sgobbare per soddisfare le voglie del maschio padrone che è troppo stanco, LUI, per occuparsi dei figli e della casa.
E poi vuole pure scopare, il porco. E noi dovremmo anche averne voglia!
Che cazzo di differenza c’è tra il capo reparto o il capo ufficio che ti mette le mani nel culo mentre lavori, e quello stronzo di marito o fidanzato che fa esattamente lo stesso a casa, mentre stai continuando a lavorare? (boati di approvazione). Compagne e sorelle, non può esserci liberazione dallo sfruttamento, per nessuno, se non si scardinano la famiglia borghese e i rapporti di forza/dominio che vedono da sempre le donne succubi e vittime del potere maschile. Potere maschile! Si, prima ancora del potere del capitale bisogna distruggere il potere degli uomini sulle donne. Prima dello sfruttamento sul posto di lavoro dobbiamo combattere lo sfruttamento in casa e nella coppia, che per noi è esattamente uguale e speculare.
Carlotta aveva partecipato a decine di assemblee finite in rissa. Poi il movimento femminista si era radicato e radicalizzato, l’UDI era di fatto sparita, come la FGCI.
Per la verità lei ha sempre avuto una posizione leggermente diversa rispetto alle correnti di pensiero prevalenti: da un lato quella più intransigente che vuole tutte le “signorine” lesbiche per scelta ideologica, per dimostrare l’inutilità intrinseca del maschio; dall’altro quella che teorizza una certa interazione con i maschi, ovviamente successiva al lavoro tra donne, lungo il percorso dell’ emancipazione.
Coerente alle sue idee Carlotta fa esattamente quello che le pare, conduce i suoi rapporti con l’altro sesso ben oltre la formula della coppia aperta o del rapporto preferenziale ,che al momento vanno per la maggiore tra gli irriducibili del masochismo ideologico. Corretta e leale ma ferma, irremovibile; dice esattamente come stanno le cose, senza sotterfugi, ma alla prima scenata di gelosia o appena si stufa di un compagno tronca senza esitazione e, soprattutto, senza sensi di colpa.
E’ vero che ogni tanto deve sciropparsi le scene strazianti di qualche aspirante suicida, o peggio, le apparizioni allucinate di qualche apprendista omicida, ma è da sempre risaputo quanto gli uomini detestino essere mollati come ciabatte vecchie. Una botta e via da parte di una donna? Oltraggio inconcepibile da lavare col sangue.
Più di una volta, nelle riunioni o nelle sedute di autocoscienza, ha attaccato, fuori dai denti e senza giri di parole, tutti i comportamenti contraddittori e vigliacchi di quelle tipe che fanno la voce grossa, grossissima nei cortei o nelle assemblee e poi si fanno trattare da pezze da piedi in privato, dentro la coppia (chiusa ovviamente, almeno per le donne); o peggio ancora l’ipocrita leggerezza di quante, per non dovere rendere conto a nessuno, vanno a farsi storie veramente di merda tra i fighetti della Capannina o in qualunque altro luogo, ma ben lontano dal giro del movimento.
– Sentite, è comprensibile che per molte di noi sia difficile e doloroso tirare fuori il rospo delle contraddizioni che viviamo nei nostri rapporti con i maschi, spesso compagni del movimento, per di più, ma io mi sono rotta i coglioni di sentire piagnucolare e fare solo le vittime come vere “femminucce” un sacco di donne che non sono capaci di dire basta a questi meccanismi di soggezione e di ricatto. Se ai maschi non va bene che ci facciamo i cazzi nostri, come loro peraltro loro hanno sempre fatto, che vadano affanculo. Non si può ululare alla luna, quando siamo tutte insieme, che “le donne hanno bisogno dei maschi come i pesci delle biciclette” e poi, nel piccolo miserabile privato di molte, passi ancora, come sempre, il potere degli uomini a suon di schiaffoni e violenze o ricatti, quando va bene.
Io penso una cosa. Il peggior nemico delle donne sono le donne stesse (stupore, indignazione, mancamenti delle astanti).
Sono le madri che allevano i figli educandoli fin da piccoli a essere padroni in casa e a non fare un cazzo di quello che “compete” alle donne, serve e amanti. Sono le madri a insegnare ai figli maschi che le donne sono tutte troie e che bisogna stare sempre con gli occhi aperti perché “quelle” sono sempre pronte ad aprire le gambe e ci mettono niente a rovinargli la vita. Se invece sono quei bastardi dei loro figlioli a mettere incinta una disgraziata e poi a sparire, ecco le madri pronte a sibilare quanto gli stia bene a quelle zoccole che stanno sempre a cosce aperte.
Sono sempre le madri che fingono, fanno finta di niente e subiscono ogni umiliazione pur di svolgere al meglio il loro ruolo e trasmetterlo esattamente come è stato trasmesso loro.
Quante volte di fronte allo stupro del branco le madri dei violentatori inveiscono contro le vittime colpevoli di “ostentare la loro identità femminile” e quindi di andarsele a cercare?
Mia madre si è sempre fatta mettere sotto dall’esimio e “chiarissimo” marito e come ha reagito? Ha sempre detto a me e a quell’ ameba di mio fratello di stare zitti e fare finta di niente, se no l’eroe si sarebbe incazzato di più. E a me che cosa ha insegnato? Che l’uomo comanda, come al solito, e che le donne se ne devono stare a cuccia, fedeli al copione. E se alzi la cresta e ti ribelli? Allora sei tu la stronza che pianta grane e se le cerca.
Insomma compagne, siamo noi che dobbiamo cambiare la nostra testa, che dobbiamo rivoltare come un calzino il letamaio dove ci rotoliamo e che noi stesse custodiamo amorevolmente. Siamo sempre le prime a darci addosso da sole, per debolezza, per disperazione.
Io non odio i maschi a prescindere e mi piace anche scopare (timidi fruscii di disapprovazione) e non ho intenzione di farne a meno solo perché non sono in grado di gestire alla pari un rapporto con chicchessia. Voglio decidere io con chi stare, come e quando. E voglio essere io a decidere quando mollare.
Semplicemente non ho niente da dire né tantomeno da condividere con i maschi per quello che riguarda le mie scelte. Non capisco quelle donne che remano contro perché non vogliono contrapporre la militanza politica con l’appartenenza femminista. Che c’entra? Forse l’ essere rivoluzionari e comunisti rende i cosiddetti compagni meno maschilisti? Forse in Unione Sovietica la liberazione della donna, la sua autodeterminazione, l’uguaglianza con l’altra metà del cielo esistono e sono una conquista della rivoluzione? Neanche per sogno. I maschi parlano di rivoluzione, di comunismo, di uguaglianza. Ma dei diritti e delle libertà delle donne neanche passa loro per la testa, e non può essere diversamente. E perché dovrebbe? Perché dovrebbero riconoscere il loro ruolo di oppressori e rinunciare spontaneamente a privilegi e potere? No compagne, quello che voglio e che dobbiamo fare è parlare alle donne, tra donne. Creare insieme gli strumenti per sottrarre ognuna al potere maschile, ovunque si manifesti. E lottare insieme per prenderci quello che ci spetta. Con gli uomini non è impossibile o sbagliato averci a che fare, basta non mettere mai la nostra vita nelle loro mani.
Posizione pericolosa e sul filo dell’eresia quella che Carlotta tenta di trasmettere alle “sorelle”. Invidie (perché lei i fidanzati li prende e li molla come e quando vuole, proprio come fanno gli uomini), rancori e anatemi, compreso il solito “tanto quella è ricca…” (che non c’entra un cazzo ma nell’ambiente fa sempre effetto) la colpiscono come stilettate procurandole, neanche a dirlo, frotte di nemiche tra le donne e inconsolabili ex amanti tra i maschi.
Il femminismo era comunque arrivato come un fiume in piena e aveva rotto tutti gli argini.
S.C.U.M. è in cima alle classifiche e i maschi, sempre con la figa in bocca, devono stare molto attenti a quello che dicono. Scopare, poi, è complicato e pericoloso come fare le capriole nudi in un campo di ortiche.
Maschio represso / masturbati nel cesso
C’è chi applica alla lettera lo slogan e chi cerca di barcamenarsi. Qualcuno si è anche ridotto a fingersi “sostanzialmente omosessuale” per essere considerato dagli ex angeli, ora streghe, non un nemico da abbattere ma un quasi simile con cui si può andare anche a letto senza incorrere nel tradimento della causa.
Le streghe sono tornate per vendicare le persecuzioni inflitte alle antenate dall’Inquisizione quattro secoli prima. Istituire un Sant’Uffizio al contrario, donne autoconsapevoli al posto di preti sessuofobi e fanatici, e il genere maschile sul banco degli imputati. Condanna inappellabile garantita e ordalia per tutti.
Dall’altra parte della trincea lo stesso Rocco aveva avuto un’ assaggio dell’aria nuova e gelida che tirava. Un giorno, entrando in facoltà, aveva trovato un’assemblea in corso; nell’aula, in cattedra a condurre la riunione, o meglio la requisitoria, tre o quattro compagne femministe con aria inquisitrice e sorrisetto sardonico di trionfo che ascoltavano un poveretto seduto di fronte all’intera platea, il quale, con lo sguardo basso e la voce flebile, faceva “autocritica”.
– E’ vero, sono un maschilista stronzo….- Rocco aveva richiuso velocemente la porta e aveva fatto dietrofront allibito. Non era affatto antifemminista, anzi, si era spaccato il cervello più volte con gli amici e con le poche amiche ancora disposte a discutere per capire, per sfrondare i principi sani e inconfutabili dalle estremizzazioni esasperate, per ritrovare un punto d’incontro, per andare avanti insieme. Continuava a non capire come potessero le sacrosante rivendicazioni delle donne trovare spazio ed applicazione senza alcun confronto diretto con la controparte, cioè i maschi.
Il ragionamento era “Tutti d’accordo che sia inevitabile il conflitto e anche lo scontro per modificare la realtà, ma se non c’è margine di discussione. Se ritenete del tutto inutile metterla anche sul piano del confronto noi maschi non potremo mai cambiare. Per giungere a una sintesi sono necessari due termini dialettici; se esiste solo uno dei due termini che si relaziona a se stesso e produce solo scontro, la sintesi può essere solo la totale distruzione dell’altro, come in una rivoluzione, o in una guerra. Inoltre non può essere una colpa senza rimedio il fatto in sé di essere maschi. Anche noi, come tutti, siamo il risultato e le vittime dei rapporti e delle culture dominanti che da millenni relegano le donne a un ruolo subalterno. Le nostre stesse madri ci hanno educati a essere come siamo, ma essere rivoluzionari e libertari vuol dire lottare contro l’esistente, per l’uguaglianza e la libertà di tutti, che possono essere solo conquiste collettive, senza differenze di genere o di razza. Solo insieme possiamo sradicare sfruttamento e privilegi”.
Erano ragionamenti elementari, terra terra, spesso frutto dell’emotività più che di analisi profonde. Tutti i giovani compagni come Rocco intrecciavano discussioni informali tra loro. Riflessioni semplici che pesavano come montagne sulla bilancia di un confronto impossibile.
Al contrario, i termini dei ragionamenti erano più articolati, e fondati sulla mera realtà vissuta quotidianamente sulla propria pelle, per Carlotta e per tutte le Carlotte del mondo.
– Pensateci bene, compagne. Tutti i gruppi, collettivi o partitini pongono la questione della costruzione del comunismo. Adesso, non dopo la mitica rivoluzione. Tutti si riempiono la bocca del bisogno di comunismo nei rapporti quotidiani. Questo vuol dire combattere gli elementi residuali della cultura cattolica e borghese che ci portiamo addosso e costruire, collettivamente, rapporti comunisti fondati sull’uguaglianza, sulle libere scelte, sul rifiuto della proprietà privata ecc. E’ un postulato che tutto ciò che ci circonda è politica, quindi, aggiungiamo noi, anche e soprattutto i rapporti personali, il privato, la nostra vita di tutti i giorni sono politica.
Però, stranamente, gli uomini non vedono alcuna contraddizione nel predicare uguaglianza e fratellanza universali e il mollare ceffoni o dare delle troie alle proprie compagne, se vanno in giro “con le tette al vento” o se frequentano troppo amici maschi.
Allora non esiste una sfera politica, virtuale, in cui tutto è perfetto e molto libertario e una sfera privata, reale, in cui le donne stanno zitte e volano basso, come sempre. A me francamente interessano poco le discussioni teoriche e ideologiche sul comunismo, le fasi, le contraddizioni in seno al popolo e tutte le altre menate, m’interessano i rapporti reali e di potere che vivo o subisco quotidianamente. Io so che voglio essere la sola a decidere della mia vita.
Insomma la confusione era grande, lo sconforto e il disorientamento dei maschi dilagavano, la vitalità, l’aggressività e la magnifica incoerenza delle femmine incendiavano il mondo.
Dopo la fase della reazione e della resistenza da parte dei maschi, la questione della totale parità e dell’autonomia delle donne era diventato centrale rispetto al vissuto quotidiano di ognuno.
Succedeva di tutto. La coppia aperta seppelliva l’icona del maschio cacciatore e della femmina preda, invertendo spesso i ruoli.
C’era chi portava the e pasticcini alla propria compagna in branda con un altro, dopo avere educatamente bussato alla porta; chi era costretto ad abbozzare di fronte alle avances fatte alla propria donna, o peggio, fatte dalla propria donna, mentre in realtà le palle gli fumavano pericolosamente. Per contrappasso c’erano anche femministe prese in contropiede che si ritrovavano un compagno diventato improvvisamente tombeur de femmes e preda delle sorelle lanciate sulla strada dell’emancipazione.
Anche Rocco si era trovato più volte a fare i conti con l’insolubile contraddizione tra il politicamente corretto e l’emotivamente scorretto. Palestra sperimentale della liberazione dal giogo delle convenzioni sessuali borghesi era la Talpa.
Nata nel novembre ’76 in Via De’ Grifoni, proprio di fianco a quella che era stata per anni la sede storica dei missini, il locale, situato in un seminterrato con una sola finestra, era composto da due ambienti abbastanza spaziosi ma ovviamente con pochissima luce esterna. I lavori per renderlo un posto umano erano stati lunghi e faticosi, ma alla fine il risultato faceva sembrare il posto perfino accogliente.
Le attività erano incentrate principalmente sull’osteria, che funzionava tutte le sere, sulle rassegne cinematografiche e naturalmente sulla musica che vedeva l’alternanza di serate di rock peso e roba più raffinata, molto intellettuale e sonnacchiosa.
Fin dai primi mesi del ’77 il circolo culturale libertario era divenuto luogo d’incontro e di propaganda del collettivo “sesso e carnazza”, formato in massima parte da omosessuali e lesbiche, che in termini particolarmente provocatori “promuovevano” la liberazione sessuale. Erano quasi tutti artisti, attori, creativi che non perdevano occasione per allungare le mani e tentare d’incantonare qualcuno dietro un angolo buio. Rocco, spesso di turno al bar o ai tavoli, doveva fare ricorso a tutto il suo rigore libertario per non reagire a manate e zampate quando le avances diventavano particolarmente audaci.
Cercava di spiegare ogni volta, con le buone, che non anelava all’ emancipazione sessuale se questo voleva dire fare lingua in bocca con un uomo, e che gli sembrava fuori dal mondo il loro tentativo di colpevolizzarlo perché si ostinava a essere squallidamente eterosessuale, reprimendo la sua “evidente” componente femminile.
“Ma vi tira il culo a tutti!?” era quello che avrebbe voluto dire, ma si asteneva per due motivi: primo, gli avrebbero risposto in coro – Si, moltissimo – secondo, essere anarchico gli imponeva di affrontare le questioni sul piano del confronto delle idee, senza chiusure e pregiudizi machisti e piccolo-borghesi.
Del resto, quelle sul tappeto erano questioni vecchie di un secolo e mezzo. Le laceranti discussioni sul libero amore, sulla parità sessuale, sulla costruzione nel quotidiano di una società libera e collettivista erano stati motivi di confronto e scontro tra comunisti e anarchici fin dai tempi della Prima Internazionale.
I primi sostenevano che l’emancipazione della classe operaia, con la conseguente presa del potere e la inevitabile dittatura del proletariato, fosse un fenomeno preminentemente economico e politico, quindi preponderante rispetto a categorie ritenute sovrastrutturali, quali la cultura o la sessualità.
Gli anarchici pensavano/agivano un’interconnessione simbiotica tra pensiero e azione, teoria e prassi, mezzi e fini. Vedevano la lotta politica come strumento per la realizzazione della rivoluzione sociale, per il superamento e l’abolizione di tutte le classi, non per la sostituzione di una classe padrona con un’altra, di una morale a un’altra, inversamente ma ugualmente oppressive.
Tant’è che dopo 150 anni ci si prendeva ancora a legnate per le stesse disquisizioni ideologiche.
C’erano volute le femministe per tranciare di netto le polverose quanto capziose dissertazioni sulle magnifiche sorti e progressive della rivoluzione proletaria, e per sbattere in faccia a tutti che se la rivoluzione doveva essere una “roba” da maschi, se la potevano tenere stretta. A loro interessava emancipare se stesse da un sistema di potere patriarcale e fascista adesso, subito.
Comunque, per Rocco le cose non erano andate poi così male sul fronte del “reale e quotidiano rapporto” con le donne. Al di là delle relazioni e degli atteggiamenti pubblici, politici, improntati all’avversione e allo scontro perché maschio, quindi nemico. Perchè belloccio e prestante, quindi macho stronzo tutto muscoli e niente cervello. Perché militante dell’ala più “militarista” del Movimento, quindi violento e non creativo; le relazioni private paradossalmente, o forse no, godevano ottima salute e offrivano, quasi ogni giorno, nuove piacevoli variazioni narrative.
Il fatto che le donne lottassero aspramente per la loro emancipazione e per riprendersi la vita, e che volessero, giustamente, essere uniche padrone di se stesse e pretendessero, giustamente, di non essere più prede, ma, casomai, predatrici, se aveva reso Rocco politicamente scorretto e pubblicamente esecrabile, lo aveva trasformato, in privato, in un trofeo discretamente ambìto.
Era iniziato per lui un periodo, ancora in pieno corso, di autentica grazia. Erano le donne a corteggiarlo e a studiare stratagemmi, spesso gratificanti per il suo intimo più vanesio, per conoscerlo e arpionarlo.
C’è chi lo considera, con una punta di sufficienza, un ragazzo da letto, ma non è che la cosa lo infastidisca particolarmente, anzi, presenta parecchi risvolti positivi.
Non è mai stato capace di calarsi nei panni del grande intortatore, all’inizio per timidezza e poi per convinzione. E nemmeno è mai riuscito a capire che razza di gioco ipocrita e cretino sia quello di dovere seguire un copione trito fatto di corteggiamenti, inviti, cinema, addirittura cene, falsi pudori e false ritrosìe da parte delle fanciulle, insistenze virili, fiori e menate varie. “Ci si sceglie in due e l’amore si fa in due”. Questo è sempre stato il suo abbecedario, il postulato di base da cui ha fatto derivare atteggiamenti e comportamenti conseguenti. “Quindi, non c’è nessuno che deve conquistare nessun altro. E poi, conquistare cosa vuol dire? Prendere? Ammaliare? Che un uomo deve indurre con stratagemmi e sotterfugi una donna a fare qualcosa che di sua spontanea volontà rifuggirebbe? O peggio che tutta la tomella è uno scopertissimo gioco delle parti, in cui ognuno dei due sa già benissimo dove si andrà a parare?”.
La cosa che però lo aveva fatto uscire più di testa era stata, un annetto prima, la confidenza di un’amica femminista, fatta in un momento d’intimità proprio in occasione di uno scambio d’idee sull’argomento.
– In fondo tutte le donne nutrono, nel proprio intimo più profondo, il sogno inconfessabile di essere violentate.
Era stata una mazzata tra capo e collo. “…Sta’ a vedere che avevano ragione per davvero quelli che dicono che sono tutte troie…”
In un attimo tutte le certezze e le elucubrazioni fatte per elevare, nel suo immaginario, la dignità degli uomini e delle donne erano crollate. Finché erano stati gli amici del bar, prima di abbandonare definitivamente la vita di quartiere per inseguire la Rivoluzione, a ripetere quella frase, aveva ribattuto con sdegno che parlavano così solo perché vedevano le donne come fighe, da prendere, usare e mollare. No! Lui non ci credeva per niente, era assolutamente convinto che da quando la forza della ragione aveva avuto il sopravvento sulla forza dei muscoli i ruoli storicamente imposti, salvo la riproduzione, non avessero senso, se non in funzione dell’ esercizio oppressivo del potere e della perpetuazione del dominio maschile.
Anche perché pur ammettendo, per assurdo, che le cose stessero ineluttabilmente così, dove avrebbe trovato la forza per continuare a considerare, come gli sembrava ovvio, il genere umano l’animale più evoluto uscito dalla tenebra della pura istintualità per merito dell’intelligenza, della capacità di pensare? Doveva rassegnarsi al fatto che l’intelligenza umana aveva sviluppato capacità tecnologiche pazzesche ma non era riuscita ad avanzare di un centimetro nel campo delle relazioni tra simili? Il maschio, alle soglie del 2000 era ancora solo un predatore assassino e la femmina una stupida preda consenziente?
Ma quell’affermazione fatta da una donna, e non da una deficiente inconsapevole cresciuta col mito della Barbie, da una di quelle che si battevano per distruggere e capovolgere tutti gli stereotipi borghesi che le incoronavano “regine della casa e splendidi oggetti da possedere” lo aveva incenerito.
Ancora adesso quel pensiero lo irrita e lo rende velenoso, però adesso le cose sono cambiate. I ruoli, seppur lungi dall’essere azzerati, si sono invertiti e lui non deve più sbattersi, deve solo scegliere da chi farsi “conquistare”.
Un giorno la stessa amica femminista della “rivelazione” gli aveva rinfacciato, forse svelando un goccio di eretica gelosia, che si faceva usare.
– Sei il maschio più sfruttato del movimento. Tutte quelle che ti vogliono scopare….
L’aveva stoppata con un sorrisetto sardonico stampato sulla faccia – Al tempo, quali “tutte”? Le rospe e le deficienti non hanno chances. E comunque c’è di peggio nella vita.
– Anche se sei dolce, carino e intelligente resti sempre uno stronzo maschilista!.