di Alberto Prunetti
Quando sul Pianeta Turette arrestarono due pelagiani, accusati di violenza carnale, i commentatori più illustri dichiararono che dietro agli stupri era individuabile una strategia messa in cantiere dagli immigrati del pianeta Pelagio volta a minare le fondamenta sociali della democrazia turettica. “Emergenza stupri”, strillavano i telegiornali. “Uno stupro ogni tre è commesso da un pelagiano”, ribattevano i quotidiani. “I pelagiani attentano al governo e usano lo stupro come un’arma destabilizzante”, esclamò il gerarca di Oristarte.
“La voce di Turette” — il giornale con la tiratura più alta della galassia — commentò l’arresto dei due pelagiani titolando: “I pelagiani sono un’etnia efferata e bestiale”.
Unico problema: il DNA non era il loro.
Gli inquirenti non cambiarono direzione, anzi, a caricare il peso dell’imputazione, le indagini si allargavano a chiunque fosse un pelagiano. Si stupirono — ma tacquero — i genetisti, che non vedevano l’associazione tra profilo genetico e nazionalità.
Che la scientifica, decriptando la combinazione degli amminoacidi a loro insaputa, avesse identificato il codice genetico degli asociali, dei criminali e degli stupratori nati?
Dopo qualche giorno certi disfattisti cominciarono a sussurrare che i pelagiani si erano dichiarati colpevoli dello stupro solo in seguito alle botte ricevute. Li avevano picchiati al corpo, evitando di rompere cartilagini e ossa, usando manganelli di plastica flessibile e dura, che fa male e non lascia lividi apparenti. E li avevano immortalati con la perizia fotografica della segnaletica, che trasforma in mostro anche un chierichetto.
Con somma astuzia turettica e multiculturale, i magistrati turettici avevano deciso che l’interrogatorio dovesse essere condotto non dalla polizia turettica, ma da quella di origine pelagiana.
Così, quando venne fuori che dei poveracci, per quanto loschi e barbari come si vuole siano i pelagiani, erano stati costretti a dichiararsi colpevoli di un reato che non avevano commesso, l’opinione pubblica si divise in due fronti.
I con-turettici, di stampo conservatore e fascistoide, proclamarono: “I sospetti pelagiani sono colpevoli di auto-calugna. Devono proprio coprire qualcuno. Forse facevano il palo”.
I liberal-turettici, rappresentanti della borghesia illuminata, erano offesi del fatto che l’unico palo della vicenda era stato spezzato sulle reni degli indagati. Se andiamo avanti così, qualcuno potrà pensare che il nostro non è un sistema democratico, che i nostri processi non sono stati trasparenti. Allora avrebbero ragione i soliti intellettuali estremisti a dire che i faziosi nemici di Turette meritano la protezione dell’asilo politico in qualche pianeta noto per le sue ballerine più che per i suoi giuristi.
“La voce di Turette” accontentò entrambi, e visto che un titolo che vince si riconferma, uscirono nell’edizione del mattino con soddisfazione bipartisan descrivendo la barbarie della polizia pelagiana, usa a tecniche sconosciute a quella turettica. Poliziotti corrotti, violenti e antidemocratici che pestano i propri concittadini con brutalità animalesca. Eh sì, lo sanno tutti, “i pelagiani sono proprio un’etnia efferata e bestiale”.