di Wu Ming 1
[La prima parte di questo testo è qui]
Et voila, la seconda e ultima parte della carrellata sulle reazioni “de panza” al New Italian Epic.
Lo ammetto, la prima era a tratti un po’ “pesa”, come si dice dalle mie parti. Del resto, la fallacia presa in esame (“Non è letteratura”) era spiccatamente trombonesca, e per demolirla toccava scendere su quel terreno. A ‘sto giro, si gode di più.
Però la prima parte ha avuto un bell’effetto. Catalogando e “bruciando” uno per uno molti degli espedienti e sofismi più comuni, ne ha fatto piazza quasi pulita; poca gente ha continuato ad adottarli e il livello della discussione – con inevitabili eccezioni – si è alzato. E so che è stato sulle balle parecchio, quel primo catalogo di bruciori gastro-intestinali. E’ stato sulle balle eccome, e fin da subito. Tre minuti tre dopo la messa on line, già qualcuno lo commentava dicendosene “deluso”, evidentemente dopo averlo letto grazie a poteri ultra-umani. :-)
Ecco, io per questa seconda parte pensavo di muovermi così: affrontare subito gli ultimi due espedienti relativi alla fallacia del “Non è letteratura”:
1l. Espediente “come osi scomodare i Grandi?!”;
1m. Espediente “delle palle di can(n)one”;
per poi dedicarmi alla parte più divertente. E invece no, ho cambiato idea. Per motivi di ritmo, ho deciso di trattare prima tutto il resto, e poi esaurire la prima fallacia. E’ un andamento strano, ma vedrete che funziona.
…solo che prima vi tocca una parentesi su metodi e scopi di questo testo.
Quel che mi interessa – come accennavo nella prima parte – è comporre una “griglia” retorica che sia uno strumento utile a tutti. Gli attacchi pretestuosi, in fondo, seguono percorsi sempre uguali. Individuarli e mapparli serve a non doversene più occupare in futuro. Rispondere ogni volta agli stessi sofismi sottrarrebbe tempo ed energie al lavoro più costruttivo e creativo; catalogarli in via preventiva è senz’altro più utile, di modo che, se uno spara la tal cazzata, tu gli dici: “Tsk! Già sentita. E’ lo stratagemma di Tizio e Caio”.
IN TRINCEA. Illustrazione e titolo dell’articolo di Emanuele Trevi, da Alias del 14/02/2009
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C’è una cosa che qualcuno non ha capito: le stroncature arbitrarie sono indispensabili. Corrono lungo le linee di frattura e le evidenziano in giallo fluorescente. Uno che ha trovato interessante il memorandum sente un detrattore strillare: “Chi dà credito a questa stronzata del NIE è un coglione!”, e pensa: “Ah, costui mi dà del coglione. Buono a sapersi”.
Nel dibattito dei mesi scorsi questa situazione era stata addirittura invocata e annunciata (cfr. prefazione al memorandum 2.0).
Tuttavia, è normale che molti continuino a pormi una domanda, la domanda:
“Ma perché quelli s’incazzano tanto?”
Perché, forse l’avete notato, s’incazzano. C’è addirittura chi incita a togliere le copie di New Italian Epic dagli scaffali e nasconderle sotto pile di altri libri [Come? Sì, certo che è vero :-D]. E chi, da mesi, ha come unica ragione di vita insultare chi osa trovare interessante il dibattito.
Ho proposto degli appunti tirati fuori dal disco rigido. Un testo provvisorio, volutamente problematico e difettoso, aperto a modifiche, integrazioni, critiche, superamenti. Una proposta operativa corredata da qualche esempio (oddìo, un po’ più di “qualche”: nell’ultima versione cito ben 61 opere!). Ho specificato che si trattava di un elenco in fieri, e più volte invitato ad aggiungere libri da me dimenticati o di cui ignoravo l’esistenza.
Se qualcuno si ostina a vedere un “canone”, è perché porta gli occhiali sbagliati, e son tutti affari suoi.
Molti stanno usando quegli appunti, lo testimonia la ricchezza della discussione (si cerca di renderne conto con puntualità su Carmilla). Nascono gruppi di lavoro un po’ ovunque, la discussione oltrepassa i confini del campo letterario, verso quel che accade negli audiovisivi, nei “new media”, nel teatro.
Al contrario, alcuni hanno visto quegli appunti come una minaccia. Se in certi casi è facile riconoscere una difesa corporativa e castale di un ruolo (quello del critico) minacciato da radicali trasformazioni (ma diversi critici stanno accettando la sfida), in altri è più difficile capire cosa sia accaduto senza sconfinare in psicologismi, cosa che non mi va di fare.
Ribadisco: troppo spesso si parte dallo scontro tra diverse idee di cosa sia / debba essere la letteratura (idee generali, astratte, talvolta iperuraniche), anziché dalle prassi concrete che, nel tempo, trasformano il campo letterario. Così scompaiono i testi, le opere, sulle quali il confronto potrebbe essere costruttivo, e rimangono soltanto opposti assiomi, elenchi di autori da spararsi l’un l’altro come palle di can(n)one: “non hai incluso Tizio!”, “non hai incluso Caio!”.
Questo è il fondamento dei “rigetti” che il NIE va causando in alcuni ambienti. Tenendolo presente, si capisce perché, al contrario, il discorso sia stato recepito molto bene dai lettori, che non ci hanno trovato nulla di incredibilmente forzato o sorprendente.
Le ragioni sono due, entrambe molto semplici da spiegare:
1) è proprio dagli accostamenti che facevano i lettori (ad esempio su Anobii, andate a vedere i libri che i lettori spontaneamente catalogano come “New Italian Epic”, e cercate come me di interrogarvi sul perché lo facciano), dai loro commenti, dai loro consigli incrociati, che ho tratto l’immagine della “nebulosa” [1];
2) i lettori quei testi li conoscono, li hanno letti e quando dico che sono in risonanza l’uno con l’altro, capiscono che intendo dire. Asce di guerra e La presa di Macallè. Q e Il re di Girgenti. Dies irae e Gomorra. E chi non li conosceva, ha visto nel memorandum un invito alla lettura.
Invece, i negantes non conoscono i testi, non vogliono conoscerli, e cacano sentenze.
2. LA FALLACIA DEL RIDUZIONISTA
Uno scienziato dichiara di aver scoperto una nuova, strana specie animale. Ha la coda da felino, il corpo e la testa da cavallo, il collo lungo da giraffa. “Bah”, sbuffano i negantes riduzionisti. “Niente di nuovo. La coda da felino ce l’hanno già i felini, la testa e il corpo da cavallo ce l’ha il cavallo, il collo lungo è tipico tanto dello struzzo che della giraffa e del cigno. Ordinaria amministrazione”.
Alla domanda: – Ma cos’è questo “concatenamento” [agencement] di cui blateri tanto?” -, Gilles Deleuze soleva rispondere descrivendo l’incontro uomo-cavallo-staffa-lancia. Quella simpatia, quel comporsi di elementi, cambiò radicalmente il modo di fare la guerra ed ebbe un impatto enorme prima in Asia e poi in Europa. L’introduzione della staffa permise di rimanere saldi in groppa al cavallo, e quindi di maneggiare meglio la lancia, gettarsi contro il nemico a grande velocità, sostenere e prolungare lo scontro etc. In Asia la staffa rese possibili le grandi macchine da guerra nomadi, mentre il suo arrivo in Europa (nel VI-VII secolo d.C.) fece nascere la cavalleria, che da milizia divenne istituzione e classe sociale, motore e simbolo del feudalesimo. Macchine da guerra e apparato di stato: tutto da un concatenamento uomo-animale-manufatto.
A poco serve dire che l’uomo c’era già, il cavallo c’era già, la lancia si usava anche prima, la staffa non è poi quest’idea geniale dato che è solo un anello dove si infila il piede etc.
Anche il New Italian Epic, toutes proportions gardées, è questione di concatenamenti. C’è chi si ostina a prendere le sue caratteristiche una per volta, al fine di ritrovarle altrove nello spazio e nel tempo, quando la novità sta proprio nella sin-tesi [“porre insieme”], nel fatto che molte opere popular tra loro coeve abbiano in comune molti di quegli elementi, e soprattutto sta nel come li condividono adesso [2]. Molte-pop-coeve-condivisione-adesso.
2b. Espediente del “non c’è niente di nuovo”
Da quasi un anno i negantes ripetono ossessivamente: “Niente di nuovo! Niente di nuovo!”, cercando di puntellare l’asserzione con esempi sballati.
La più comune eccezione fallace rispetto alla “N” di NIE si può riassumere così: se trovo, poniamo, un romanzo inglese degli anni Sessanta con le stesse caratteristiche elencate nel memorandum, dimostro che il NIE non è Nuovo e non è nemmeno Italiano, ergo il NIE non esiste. “Già Esiodo contaminava i generi”, rinfaccia Rondolino. Ah, sì? Pensa, non si finisce mai di imparare…
[Tra l’altro, nel memorandum ho scritto che la contaminazione è un pleonasmo. Tutti contaminano.]
Un’eccezione più corretta consisterebbe nel trovare una nebulosa di opere italiane con quelle stesse caratteristiche, ma pubblicate prima del 1993. Poiché si tratta di prendere in mano i testi e analizzarli, è un’opzione, ehm, poco praticata.
Tuttavia, nemmeno quest’eccezione potrebbe negare la peculiarità primaria della nebulosa NIE, cioè il concatenamento molte-pop-coeve-condivisione-adesso.
La premessa era ed è: indagare se nella narrativa italiana di oggi (o meglio, in una parte della narrativa italiana di oggi, quella che è passata attraverso il “genere” o comunque non disdegna la dimensione pop) si trovino tracce di quanto accaduto dopo la fine della guerra fredda e la caduta della “prima repubblica” (quindici tumultuosissimi anni). Capire in quali forme e a quali profondità tali tracce si siano depositate, e come quella narrativa abbia risposto alle sollecitazioni, e se tali risposte abbiano prodotto una cesura con la fase precedente. Ma su questo tornerò più avanti, nel paragrafo sulle “palle di can(n)one”.
La critica corretta non consiste nel trovare eccezioni a una descrizione, ma nel dimostrare (testi alla mano!) che l’insieme non esiste, il concatenamento non si realizza, oppure si realizza ma tra elementi diversi, e la cesura corre lungo un’altra linea. Finora ha tentato di farlo soltanto Tiziano Scarpa [3], e gliene va reso merito.
2c. Espediente “le oche sono uomini”
Nelle recensioni questo argomento è rimasto sfumato o implicito (ad esempio, Trevi scrive: “l’esemplificazione condotta su testi italiani sembra più il frutto di un sorteggio che di una comprensibile tassonomia”). In forma esplicita, l’ho trovato in una specie di libello anti-NIE (sì, ehm, succede anche questo…) che ha avuto un po’ di circolazione in rete, e non escludo che altri possano ricorrervi credendosi furbi.
In pratica, viene contestata una mia affermazione, quella che, per stare nella nebulosa NIE, un’opera non deve per forza avere tutte le caratteristiche elencate.
Se uno ricorda la teoria degli insiemi (si studia alle medie), la mia è un’autentica banalità: l’insieme degli esseri umani mutilati comprenderà uomini senza il braccio destro, donne senza la gamba sinistra, uomini privi di braccio sinistro e gamba destra, donne prive di entrambe le gambe, uomini privi di entrambe le mani etc. Alcune di queste categorie avranno in comune con altre soltanto una caratteristica: la mutilazione. E’ vero che un tizio senza gambe conduce una vita molto diversa da quella di un mancino privo della mano destra, eppure sono entrambi mutilati.
Dentro il grande insieme del NIE, le diverse tipologie formano sottoinsiemi, che possiamo rappresentare come cerchi (i “diagrammi di Venn”), sovrapposti ad altri cerchi in base a ulteriori caratteristiche comuni, che saranno di volta in volta diverse. Per questo non è necessario che condividano proprio tutte le caratteristiche.
Tuttavia, viene comodo dire che il memorandum afferma l’identità di oggetti tra loro diversi. Non vorrai mica dire che gli scimpanzè sono uomini perché condividono la maggior parte delle caratteristiche dell’uomo (il 98% di DNA)? Stai accomunando autori e romanzi troppo diversi. Stai dicendo che le oche sono uomini. Ergo, la nebulosa non esiste.
A parte che è chi mi rivolge l’accusa a confondere diverse categorie tassonomiche (ordine e specie nel caso degli scimpanzè, classe e specie nel caso delle oche), questo è il punto in cui mi trovo in imbarazzo.
– In imbarazzo? E perché?
Perché i modi di confutare una simile cazzata sono tanti da non saper scegliere. Uno a caso? Sicuri? E va bene.
Scelgo la teoria dei giochi di Ludwig Wittgenstein, secondo la quale ABC, BCD, CDE, DEF appartengono allo stesso insieme, anche se ABC e BCD non condividono una caratteristica, e addirittura ABC e DEF non ne condividono alcuna, almeno in apparenza. All’interno della serie, e cioè non isolati dal contesto, i diversi oggetti mostrano una “somiglianza di famiglia”.
Umberto Eco ha usato questa logica per identificare ben 13 caratteristiche dell’Ur-Fascismo, o Fascismo Eterno: «tali caratteristiche non possono essere irregimentate in un sistema; molte si contraddicono reciprocamente, e sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Ma è sufficiente che una di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista» [5].
3. LA FALLACIA DEL PIGRO O DEL RITARDATARIO
Siamo già vicini al “fondo del barile”. E’ facile vedere come molte critiche si riferiscano ancora e solo alla prima versione del memorandum (aprile 2008). Con l’esito che il testo Einaudi – un anno dopo – risponde già punto per punto, ma i pigri non se ne accorgono e vanno avanti come niente fosse. Ad esempio, ho letto obiezioni sulla “sperimentazione nascosta” fatte in una cornice che il libro già supera nel paragrafo “Sulla lingua del New Italian Epic” (pp.84-90)
Oppure: si fa riferimento all’edizione cartacea, ma se ne è letta soltanto una minima parte.
Qui non si può nemmeno parlare di “espediente”, a meno che non ci riferiamo al pre-espediente, quello a monte di tutto: fingere di aver letto qualcosa che si è solo sfogliato.
La manifestazione tipica di tale fallacia consiste nell’argomentare con aria trionfante (“A-ha! Ti ho preso in castagna! Come la mettiamo adesso? Voglio proprio vedere!”)… posizioni che il memorandum stesso assume e argomenta.
L’esempio più comune: si porta avanti la polemica contro il “realismo” per indirizzarla contro il NIE. Peccato che in tutte e tre le versioni del memorandum – e anche in diversi interventi apparsi in rete [6] – sia spiegato con dovizia di esempi che il NIE non è letteratura “realistica”, almeno non nelle accezioni che il termine ha nella polemica.
E così Rondolino, pensando di dire chissà che, scrive: “nessuna rappresentazione coincide interamente con la realtà”, e aggiunge: “Il New Italian Epic vorrebbe cancellare [lo scarto tra realtà e rappresentazione] per rivendicare la realtà”.
Da cosa lo abbia dedotto rimane un mistero. Due capoversi più in alto ci accusava di esaltare “l’horror e il fantasy, il fumetto e il videogioco come luoghi privilegiati del racconto epico”. Quest’uomo deve decidersi: o ci piace il fantasy, o vogliamo cancellare lo scarto tra realtà e rappresentazione.
Altro modo di procedere: si restringe il campo in maniera ottusa, rimanendo alle primissime formulazioni del problema e ignorando che nel corso del dibattito si sono susseguiti interventi, correzioni, precisazioni. Come in certi articoli usciti sui rotocalchi, che sembrano scritti dieci mesi fa.
4. AU FOND DU BARIL
Una fugace, rapidissima scorsa ai trucchetti da due soldi, quelli che ti fanno dire con Pazzaglia: “Il livello è basso”.
Viene applicata soprattutto la tecnica dei morceaux choisis (“brani scelti”): virgolettati usati in modo da produrre affermazioni illogiche e/o ridicole, presi da diverse parti del libro e montati insieme, oppure interrotti ad arte. Un esempio dall’invettiva di Trevi:
…Giancarlo De Cataldo che a pagina 35 di Nelle mani giuste accumula una serie di allitterazioni (tipo “orridi orifizi ornati”, niente male), poi gli passa di mente, “e nulla del genere si ripete fino alla fine del libro”. Ma insomma, verrebbe da obiettare, tutti nello scrivere un libro si inventano qualcosa…
La sottrazione della frase al suo contesto è operata con destrezza da borsaiolo. Puntuto anche il sarcasmo (“poi gli passa di mente”).
Nel testo sbocconcellato, la frase proseguiva con: “In compenso esplodono molti altri ordigni”, e da lì partiva una nota: “Per una trattazione più approfondita delle figure retoriche nel libro di De Cataldo, Cfr. Nandropausa n.12, 2 luglio 2007, in wumingfoundation.com” [Per capirci: questo testo qui.] C’è un bosco, Trevi inquadra un cespuglio e, ridacchiando, dice ad auditores: – Tutto qui?
Questa e altre estrapolazioni servono a sfottere la descrizione della sperimentazione NIE come “cucitura invisibile”, “insieme di piccoli interventi che alterano sintassi, suoni e significati”. Il memorandum parla di una sedimentazione di tantissimi effetti, riverberi e piccole incrinature e “sforzature”. Una sperimentazione che procede per spinte e scricchiolii anziché attraverso grandi tagli significanti, una rottura che si dispiega nel tempo. Il testo come “campo minato”, nel testo c’è un esercito nascosto, ci sono i guerriglieri etc.
La replica preceduta da uno sbuffo (“Ma insomma”) è che tutti, scrivendo “si inventano qualcosa”.
Che dire? Io spero si tratti di malafede.
Abbondano poi i paralogismi (falsi sillogismi). Questo si è visto molto in rete. Un esempio: nel memorandum si parla di punto di vista obliquo; nel memorandum si parla di discorso libero indiretto; ergo, nel memorandum si sostiene che il discorso libero indiretto è un punto di vista obliquo, ergo è un testo poco serio.
Ma non serve perdere altro tempo con le minugia. Procediamo.
5. LA FALLACIA DEL “NON E’ LETTERATURA” (REPRISE)
1l. Espediente del “come osi scomodare i Grandi?”
(Dostoevskij, Benjamin etc.)
…e non si accorgono che i “Grandi” sono soprattutto dove non li nomino.
Chi cerca Walter Benjamin soltanto nel paragrafo sull’allegoria (dove ho scritto di avere “preso le mosse” dal Dramma barocco tedesco), non lo troverà in “Noi dobbiamo essere i genitori”.
Analogamente, chi cerca Deleuze soltanto dove lo nomino a proposito della forma-passeggiata, non si renderà conto che l’ho usato dall’inizio alla fine. Per alcuni Deleuze è solo un gergo (nemmeno un “abecedario”, soltanto un gergo), e se non trovano parole come “concatenamento” o “deterritorializzazione”, non riconoscono i concetti. E vabbe’.
Un esempio di “come osi” è il giù-le-mani-da-Dostoevskij con cui culminava l’invettiva di Trevi apparsa su Alias:
Proprio quello del significato allegorico “profondo”, come lo chiama, è il punto di più debole [sic] della teoria di Wu Ming. Il miracolo si dovrebbe produrre, ci viene spiegato, quando “provo la sensazione” che un’opera, parlandomi di un mondo e di un tempo altri, stia in realtà parlando del mondo e del tempo in cui vivo”. Questa “sensazione”, se ho capito bene (e spero di non aver capito bene), fa sì che si leggano I demoni di Dostevskij [sic] vedendoci “un sistema di riferimenti a Br, anarco-insurrezionalisti, eccetera” […] Come si giustifica questa pretesa che un’opera immensa come I demoni sia interessante perchè mi dà “la forte sensazione” di profetizzare le gesta di quattro sfigati contemporanei? Ma che sensazione è mai?
Rispondere è facile: quella che aveva in mente Dostoevskij scrivendo il libro, come testimoniano i suoi appunti e il suo carteggio. La sensazione che sempre provoca l’allegoria, che ci parla di altro, un altro che è noi, con tutto il qui-e-ora che il pronome “noi” implica, e ci permette di vedere la nostra esperienza parziale in un flusso più grande.
Sennò perché si dice che alcune opere raccontano esperienze (parola orrenda, ma ambasciator non porta pena) “universali”? “Universali” significa che, pur parlando di altri luoghi e altri tempi, quelle opere parlano a me, a me e al mio essere in questo mondo con la mia vita, e quel me è un “noi tutti”, è generale tanto più è particolare.
Perché negli anni ’70 l’Antigone di Sofocle parla ai movimenti giovanili, sociali e controculturali, che nella sfida di Antigone leggono la loro medesima sfida?
Potrei fare migliaia di esempi, ma I demoni è uno dei più eclatanti.
A ogni generazione, l’espressione “demoni dostoevskiani” è stata usata per descrivere le schegge impazzite (o presuntamente impazzite) dei movimenti sociali. E Dostoevskij sarebbe stato d’accordo con quest’uso, poiché intendeva i suoi romanzi come apologhi che valessero oltre la situazione da cui traevano spunto (nel caso in oggetto, il celebre “affare Necaev”), riflessioni sul male che trascendessero le epoche. Se leggiamo il carteggio di Dostoevskij e gli appunti preparatori per quel romanzo, questo emerge con grande forza. In una lettera del 1863 scrive: “Volevo spiegare come fossero possibili nella nostra strana società fenomeni mostruosi come il movimento necaeviano. La mia idea è che questo fenomeno non sia un caso, non sia qualcosa di isolato…” [6]
Commenta Vittorio Strada, uno dei più grandi esperti di letteratura russa:
[I Demoni] si propone un compito squisitamente storico: quello di “spiegare” le ragioni della possibilità di una vicenda simile, tutt’altro che “casuale”. Cronaca e storia, nel romanzo, non sono che le condizioni di una riflessione e di una visione che, trascendendole, si apre a più larghi orizzonti: i sommovimenti della coscienza europea (e russa in quanto europea) in un’epoca di crisi totale che allora pochi avvertivano in modo sistematico. [7]
La storia presa dalla cronaca (la fabula) come “condizione” di una visione/riflessione che la trascenda, e questo trascendere è il “compito squisitamente storico” che il romanzo si propone, per far avvertire a più persone (non più soltanto a pochi) i vasti sommovimenti dell’epoca, in modo sistematico, complessivo.
Se questa non è una descrizione dell’allegoria metastorica, allora non so cos’altro possa esserlo.
Ancora Dostoevskij, stavolta nel 1873: “[Ho cercato di] raffigurare i motivi molteplici e vari per cui anche le persone più pure di cuore e più schiette d’animo possono essere attratte a compiere una scelleratezza mostruosa”. [8]
E’, al fondo, la storia di come Dolly-del-mare-profondo (“figlia di minatori”) e il Figlio-del-figlio-dei-fiori arrivino a uccidere Babbo Natale. Così Francesco De Gregori giocava tra allegoria e mitologema, alludendo a quel che gli accadeva intorno, in una canzone del 1976. E dov’è il narratore mentre ha luogo l’assassinio? Sembra presente, ma forse no, forse non c’è, ne ha solo sentito parlare. Verso la fine, De Gregori canta: “e in pochi minuti si sparse la voce / che Babbo Natale era stato ammazzato“. E’ una voce, e forse il narratore l’ha solo raccolta. Fino a questi due versi la canzone era tutta al presente (“la luna impaurita li guarda passare / e le stelle sono punte di spillo“), ma adesso c’è una distanza, siamo nel passato remoto, e nel trapassato.
E così ritorniamo a I demoni. La peculiare forza del romanzo, quella che lo ha reso uno dei libri più emblematici della letteratura europea, sta nel come Dostoevskij ci racconta il cosa. Ma senza il cosa, il come non starebbe in piedi.
[Qui parte un inciso poco divertente, leggere a proprio rischio e pericolo]
L’allegoria è solo nei procedimenti e non nelle storie, come mi ha rimproverato Trevi su un blog? [9] E’ nel “come” e non nel “cosa”?
No.
L’allegoria si attiva nel rapporto tra procedimenti e storia. A essere allegorico è, ad esempio, un “io narrante”, ma lo è in quanto narrante e, allo stesso tempo, narrato (io-tempo verbale-racconto-lettura-lettore). La voce de I demoni è allegorica, ma lo è per il modo in cui ogni tanto attraversa la storia e l’intreccio (quella storia, quell’intreccio) tra “sentiti dire”, dubbi, incertezze, reticenze etc. Elimina la storia (gli “strani e recenti avvenimenti”, come li chiama G***v), e quella voce non è più allegorica di alcunché. Anzi, svanisce.
Si parva licet, la voce narrante di Babsi Jones in Sappiano le mie parole di sangue è fortemente allegorica, ma lo è in relazione alle vicende che racconta (la fine dell’ex-Jugoslavia, il risorgere dei revanscismi etnici etc.). Senza gli accadimenti che narra, nemmeno la voce narrante di Q sarebbe allegorica. Anche la voce narrante di Gomorra è allegorica, lo è a livelli quasi insostenibili, ma se non raccontasse quelle storie di camorra, attraversandole una ad una, l’allegoria scomparirebbe.
“Scollare” i procedimenti dalla storia è esercizio infecondo e (ancora una volta) riduzionista, figlio di un preconcetto anti-narrativo. Dostoevskij, fortuna sua, era un narratore al cubo, e gli sarebbe parso ben strano che qualcuno, leggendo i suoi libri, separasse le tecniche dalla storia, le retoriche dall’etica etc. Quest’ansia di “chiudere” l’allegoria dicendo che in un’opera è allegorico un aspetto e non un altro non porta da nessuna parte. L’allegoria è una bestia ben più complessa.
[E poi, cos’è mai un procedimento? “Pro-cedere” vuol dire andare avanti: c’è un movimento, c’è una storia. Mostrare le rovine è un procedimento, ma le rovine ci raccontano la storia del loro divenire rovine. Le parole stesse contengono promesse di racconto, “nel linguaggio sono depositate intere mitologie” (Wittgenstein): “decadere” significa “cadere giù da”. “Cadere a pezzi” è un processo, è già una storia.]
Solo ragionando così capiremo perché I demoni sia tirato in ballo a ogni scoperta di “schegge impazzite”, e perché la voce del narratore, Anton Lavrentievich G***v, torni alla mente quando leggiamo di delatori, “pentiti” o altri ambigui figuri che popolano le nostre cronache [10].
[Fine dell’inciso]
Un altro ricorso a questo espediente: “Hai letto male Benjamin!”, o meglio: “Non si può scomodare Benjamin per parlare di paccottiglia come i libri di Lucarelli o Camilleri!”.
L’obiezione è venuta fuori in alcuni dibattiti nella blogosfera, e in certi milieux è diventata quasi un tormentone (oddìo… un tormentino). Benché non mi sembri il punto focale di tutta la faccenda, ho alcune cose da dire.
1925. Nella “Premessa gnoseologica” al Dramma barocco tedesco, Benjamin scrive – lo parafraso – che sono le opere minori e meno riuscite quelle che vale la pena interrogare, perché contengono in forma meno mediata i tratti e i sintomi della produzione artistica di un’epoca:
“[…] nelle prove più incerte e più ingenue come nelle forme più mature di una civiltà al tramonto la scoperta è in grado di portare alla luce l’autentico” [11].
E i drammi barocchi di cui Benjamin si occupa sono, diciamocelo, porcherie. Quindi, quand’anche mi fossi occupato di porcherie, avrebbe poco senso contestarmelo in nome di Benjamin.
1936. In dissenso rispetto ad “apocalittici” come Adorno, Benjamin espone le potenzialità di mezzi della cultura di massa come il cinema e la radio e ne sbertuccia i demonizzatori. Tra le altre cose, scrive:
La massa è una matrice dalla quale attualmente esce rinato ogni comportamento abituale nei confronti delle opere d’arte. La quantità si è ribaltata in qualità: le masse sempre più vaste dei partecipanti hanno determinato un modo diverso di partecipazione. L’osservatore non deve lasciarsi ingannare dal fatto che questa partecipazione si manifesta dapprima in forme screditate. Eppure non sono mancati quelli che si sono pervicacemente attenuti a questo aspetto superficiale della cosa […] la vecchia accusa secondo cui le masse cercano soltanto distrazione, mentre l’arte esige dall’osservatore il raccoglimento [è] un luogo comune. [12]
1m. Espediente “delle palle di can(n)one”,
ovvero: “Non hai incluso Tizio, hai dimenticato Caio”
Alcuni detrattori mi rimproverano perché non ho incluso nel memorandum l’autore X o l’autrice Y.
Niente da fare, c’è gente che, ovunque posi gli occhi, vede autori anziché opere, e – soprattutto – vede un “canone”, l’elenco dei promossi, la parte di lavagna in cui si scrivono i nomi dei “buoni”. Che poi costoro si mettano a contestare il canone o a sgomitare per entrarci (o farci entrare gli amici), in fondo è uguale: sempre in termini di canone ragionano.
E gli occhiali deformanti funzionano talmente bene da offuscare la premessa di tutto il discorso: vedere come una certa narrativa popular/ibrida abbia affrontato gli sconvolgimenti degli ultimi quindici anni, il periodo coperto dalla “seconda repubblica” e dal berlusconismo, e nel farlo si sia trasformata.
Perché la “seconda repubblica”?
Perché quel che è accaduto negli ultimi tre lustri è in-cre-di-bi-le. Noi abbiamo fatto il callo al susseguirsi di scossoni, ribaltamenti, sgretolamenti, metamorfosi, rimpasti, ma se proviamo a cambiare sguardo, a guardare il tutto con un minimo di distacco, vedremo che si è formato un nuovo blocco sociale, si sono scontrate all’ultimo sangue forze storiche, si è instaurato un nuovo “regime scopico” (un nuovo modo di guardare) etc. La seconda repubblica è coetanea del web. Pensate a come comunicavate quindici anni fa, e a come comunicate oggi. Pensate a come votavate quindici anni fa, e a come votate oggi. Se considerate l’insieme dei partiti politici del 1993 e l’insieme dei partiti politici di oggi, nell’intersezione c’è soltanto la Lega Nord. La discontinuità con quel passato è nettissima.
Per forza di cose si parte dal 1993, perché è l’anno in cui viene giù la baracca. E’ un confine temporale “poroso”, facciamo tutti gli strappi alla regola che ci sembrano necessari, parliamo pure di un periodo più esteso, dal 1991 al ’93 (il ’91 è l’anno della prima Guerra del Golfo, del caso Gladio, del Cossiga “picconatore”, della fine del PCI etc.), ma insomma, siamo lì. Qualunque opera scritta durante la “prima repubblica” appartiene a un altro campo d’indagine, a un altro lavoro da compiere. L’indagine si espanderà nello spazio e nel tempo (sta già accadendo), i buchi del memorandum verranno colmati da un lavoro reticolare e comunitario, ma proprio perché tutto è aperto e in fieri, stiamo socializzando appunti su una materia che sfugge da tutte le parti.
Quello che chiamerei “effetto di canone” è un’allucinazione (quando va bene) o uno stratagemma retorico da quattro soldi.
Contestarmi perché non ho incluso questa o quella opera scritta negli anni Ottanta è privo di senso. Gli anni Ottanta sono un altro mondo.
Contestarmi perché non ho incluso nel memorandum opere di poeti è privo di senso: sono partito dalla narrativa, è il mio specifico, è il genere di scrittura che più scrivo, bazzico e conosco. Muoversi sul terreno della poesia italiana contemporanea spetta a chi è più ferrato di me (anche questo, forse, sta già accadendo).
E a che serve pretendere l’inserimento nella nebulosa di opere che sono scritte oggi ma palesemente non c’entrano? Che c’entrano con il New Italian Epic i libri di Massimiliano Parente?
Nella letteratura italiana di oggi esistono tante altre nebulose di opere. Che vengano esplorate, coi loro concatenamenti e sottoinsiemi, ma non si dica che tutto è accostabile a tutto.
L’effetto di canone porta a leggere la tassonomia del memorandum come una sorta di pagella. Citare un libro equivarrebbe a scrivere che è bello. Ma dove sta scritto che tutte le opere menzionate (ripeto: sono 61) sono riuscite? Ho scritto addirittura il contrario: che i fallimenti possono essere più interessanti dei successi.
Se un pessimo libro di un autore risibile ha davvero le caratteristiche NIE, che problema c’è? Anzi, è una conferma, una controprova. Significa che la nebulosa ha un potere di attrazione forte, che spinge gli autori a cimentarsi con un certo tipo di narrazione. Se molti romanzi, in futuro, saranno “aspiranti NIE”, con tentativi anche goffi di dar corpo alle caratteristiche enunciate nel memorandum, sarà comunque un fenomeno da studiare. “Essere NIE” è lungi dall’essere una garanzia di qualità, così come “girare uno spaghetti western” significava spesso sprecare metri di pellicola, e in pochi casi produrre capolavori.
Si può dire ancora meglio: i capolavori si producono proprio quando si lavora in un contesto produttivo ampio, all’interno di uno sforzo collettivo con alterni risultati.
5. EPILOGO: L’ULTIMA FALLACIA
La rappresentazione “NIE contro critici”, questa è l’ultima fallacia.
Tra gli accademici, i ricercatori, i critici e gli studiosi della letteratura (e non solo) intervenuti nei mesi scorsi, i negantes hanno lanciato molti coriandoli e fatto rumore di fischietti, ma li conti sulle dita di due mani. I dialogantes sono molto più numerosi (cfr. la sezione “New Italian Epic” su Carmilla). I loro interventi fanno meno strepito, ma sedimentano consapevolezza, arricchiscono il dibattito, aprono confronti. Sono fondativi.
La narrativa italiana sta cercando di affrontare i mostri di questa fase storica, di incorporarli, “testualizzarli”. E’ una sfida titanica, e una grossa assunzione di responsabilità. Questo tentativo va cartografato, studiato, compreso. Oppure…
Oppure si può far finta di niente, come la nostra “casta dei mediatori”, che per anni si è rifiutata di leggere quel che usciva, e intanto ripeteva che non usciva niente, la letteratura italiana era finita o “stava saltando una generazione” etc.
La realtà si è presa l’incarico di sbugiardarli.
Noi, quello di mandarli affanculo.
[Soccmel! Finalone…]
NOTE
1. Riporto da una conversazione apparsa sul blog Letteratitudine:
“ Qui la ‘nube di catalogazione spontanea’ del New Italian Epic formata dalle libere associazioni che fanno gli iscritti ad Anobii. Su Anobii, lo dico per i profani, ciascun iscritto cura la propria ‘libreria’, l’elenco dei libri letti o che sta leggendo o che si propone di leggere. Ogni libro diventa un’intersezione di diversi insiemi, un luogo dove si incontrano le esperienze di migliaia di lettori. […] Al momento di includere un libro, un lettore inserisce anche il ‘genere’ o l’area di appartenenza o il campo d’azione in cui, secondo lui, quel libro si muove. Quello rinvenibile cliccando il primo link è l’elenco dei 90 libri dei quali almeno un lettore ha detto trattarsi di ‘New Italian Epic’. […] Ovviamente, non si tratta di essere d’accordo con questa o quella scelta di catalogazione. Si tratta di dare un’occhiata alla ‘media algebrica’ del New Italian Epic secondo una precisa comunità di lettori forti e tecnologicamente svezzati. Un bell’oggetto di indagine. Fossi uno studioso, ci farei un paper. E’ da riflessioni come questa che è nato il memorandum. Cioè ad anni-luce di distanza da quel che stava facendo la critica in quel momento.”
2. Nella cultura, l’innovazione si produce sempre e solo mediante concatenamenti, mediante sin- tesi. Il tutto non è mai solo la somma delle parti. Se scomponi la musica di Mozart nei suoi elementi costitutivi (i generi che Mozart pratica, gli strumenti per cui compone, le scale su cui fa muovere la musica etc.), ciascuno di essi esisteva già prima e altrove. Ma la sintesi è diversa. Se scomponi il rock’n’roll – sul cui aver prodotto una cesura netta e fondativa nella popular music del XX° secolo nessuno può avere dubbi – ciascuno di essi esisteva già prima e altrove (tre accordi di base, ritmo in 4/4, strumentazione elettrica, influenza afroamericana, testi pieni di sottintesi sessuali, giovane età anagrafica di esecutori e ascoltatori etc.). Ma a essere letteralmente inaudita (mai sentita prima) è la sintesi che il rock’n’roll offrì all’ascolto a metà degli anni Cinquanta. E la sintesi cambia perché sollecitata dal contesto intorno. Il rock’n’roll poteva prodursi solo in quella seconda metà dei Fifties, non prima.
3. Nel testo L’epica-popular, gli anni Novanta, la parresìa“, pubblicato il 2 marzo scorso sul blog “Il primo amore”. Pochi giorni dopo, sullo stesso blog è apparsa un’interessante “risposta dialogica” di Riccardo Capecchi, intitolata “Parresia, cura del sé, moltitudine. Un punto di vista sul New Italian Epic“.
4. Il testo di Eco è disponibile in PDF qui e qui. E’ uscito sulla “Rivista dei Libri” nel luglio/agosto 1996, pp. 4-7, e in seguito incluso in Cinque scritti morali, Bompiani, 1997. Il libello anti-NIE “Le oche sono uomini” è scaricabile qui (rtf zippato).
5. Cfr. i tre editoriali apparsi su Giap n.3/4, IXa serie, 18 dicembre 2008.
6. Cit. In V. Strada, “Introduzione” a: A. Herzen, A un vecchio compagno, Einaudi, Torino, 1977, pag. LXIII.
7. Ibidem.
8. Ibidem, pag. LXV.
9. La parola a Trevi: “Ciò che è allegorico, nei ‘demoni’, non è il complottino nichilista di provincia che a voi fa tanto pensare a gruppi di imbecilli contemporanei. ALLEGORICI NON SONO GLI ARGOMENTI MA I PROCEDIMENTI. nel caso concreto, allegorica, cioè produttrice di significato, è infatti l’incredibile, indimenticabile voce narrante del romanzo: qualcuno che sta sempre tra i piedi, ogni tanto appare sul fondo (un po’ come hitchcock che si infila per caso in certe inquadrature), è uno dei loro ma è anche un delatore, sa sfruttare al massimo tutti i benefici della distanza e tutti quelli della presenza. allora, non si può essere così superficiali: ciò che è demoniaco in dostoevskij, è l’atto del racconto, non il terrorismo. capisco che questo sia molto duro da ingollare per una persona che pensa che nella letteratura possano succedere delle cose a partire dal 1993 – affermazione che ritengo assurda come se qualcuno applicasse una data simile all’evoluzione degli organismi vertebrati, o di una certa specie di pianta. allora, questa dell’allegoria è solo una delle tante cose che non vanno del vostro metodo. io non dico che non potete fare i critici, chi ve lo impedisce. io vi suggerisco, molto umilmente, di studiare di più” etc. etc. Se interessa, la discussione era qui. L’ho disertata dopo il 400esimo commento, si era ormai in piena entropia.
10. A me tornò in mente anni fa quando, studiando il “caso 7 Aprile”, lessi una catalogazione delle formule dubitative usate dal “pentito” Carlo Fioroni nel memoriale che mandò in galera decine e decine di aderenti all’Autonomia:
“Non so (6); Non ricordo se (12); se ben ricordo (2); non mi sovviene il nome (1); non ricordo il nome (7); se non ricordo male (1); Non ricordo (3); ho il vago ricordo (1); a quanto ricordo (1); di cui non so il nome (1); mi pare (16); mi sembra (8); avevo l’impressione (1); non sono sicuro (1); non sono sicurissimo (1); sono quasi sicuro (1); ritenni (1); ritengo (6); sono intimamente convinto (1); mi convinsi (1); ho sempre ritenuto (1); non escludo (3); se non erro (6); se non m’inganno (1); se non vado errato (7); se non sbaglio (1); mi posso sbagliare (2); mi riferì (7); mi fu riferito (2); che io sappia (1); a quanto seppi (1); a quel che seppi (2); per quanto io ne sappia (1); come seppi (3); da quanto appresi (1); a quanto appresi (2); come m’informò (1); come mi raccontò (1); mi risulta (4); non sono in grado (4); mi domando ancora (1); nessun dubbio (1); non ebbi dubbi (1); mi fece intendere (1); io intesi (1); solo in via d’ipotesi posso pensare (1); mi fece pensare (1); attribuii successivamente nella mia mente (1); trassi il sospetto (1); non posso precisare (1); si può affermare (1); poco prima o poco dopo (1); dopo un giorno o due (1); a mio avviso (1); forse (7); probabilmente (3); quasi sicuramente (1); quasi certamente (2).
Con un minore numero di coriandoli, ogni anno, si celebra a Rio de Janeiro un gran bel carnevale. Con questi coriandoli dentro i verbali del pentito professore Fioroni decine e decine sono state le persone arrestate nel mentre Repubblica e l’Unità trasformavano la cattiva memoria di Fioroni nella incrollabile memoria di un elefante.” (Pasquino Crupi, Processo a mezzo stampa: il 7 aprile, COM2, Venezia 1982, p.120).
11. W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Einaudi, 1999, pag. 21.
12. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966, pag. 44.
Ringraziamenti
Questo testo non avrebbe visto la luce senza gli apporti di Wu Ming 2 e Girolamo De Michele. In particolare, Girolamo mi ha fatto notare che, nella versione inizialmente pubblicata, il paragrafo 2c. conteneva ancora formulazioni ambigue dal punto di vista logico, che ho corretto in data 14/03/2009. I get by with a little help from my friends.
Aggiornamento aprile 2009.
Se hai trovato interessante “New Italian Epic: reazioni de panza”, potresti trovare interessante anche il confronto fra Tiziano Scarpa e Wu Ming 1. Due modi di gettare il proprio corpo nella lotta. Note su affinità e divergenze, a partire dal dibattito sul NIE. Tiziano Scarpa, L’EPICA-POPULAR, GLI ANNI NOVANTA, LA PARRESÌA (PDF, febbraio 2009) Wu Ming 1, WU MING / TIZIANO SCARPA: FACE OFF (PDF, marzo 2009) |