di Saverio Fattori
Tutti i capitoli di “Cattedrale”
La segretaria di Marani ha la pessima abitudine di mangiarsi le pellicine delle dita. Ti guarda da dietro il vetro dell’ufficio e vedi il digrignare di denti, non ha ritegno in questa pratica irritante. È una scimmia. Quando si alza per fare i due passi e mezzo che dividono scrivania e stampante toglie il fiato. La schiena si inarca verso l’immenso, le spalle sono toniche, clavicole bucate, la zona inguinale è ampia e spaziosa. Percentuale di grasso al dieci per cento. Una scimmia con un culo fantastico nonostante due gravidanze scivolate via senza lasciare ferite evidenti.
Parlotta solo con altre macchine da prole. Quando mi avvicino si scosta, si stringe ancora di più nei suoi quarantacinque chili e non mi fissa nemmeno per pochi centesimi di secondo. Continua a scambiare banalità familiari con le altre comari. Un giorno avevo deciso di rompere il ghiaccio, le avevo raccontato di un mio amico di Roma che aveva scritto un libro sul disastro che provoca il posto fisso sul cervello umano. Dodici racconti in progressione geometrica, dall’ironia, su per il grottesco, fino all’angoscia pura di un film dell’orrore. Un piccolo capolavoro. Le avevo detto delle Scimmie di Vergara, un dirigente uscito di testa le allevava in ufficio, poi un giorno erano scappate dalla finestra e si erano appollaiate sugli alberi nel parco. Gli impiegati si erano messi alla finestra a ridere dello spettacolo. Non so perché le avevo menzionato questo episodio, insomma, allora non lo sapevo, oggi realizzo che è proprio per la sua somiglianza con l’animale in oggetto. Il fatto che possiamo essere attratti sessualmente da una donna che evidenzia tratti animali, non dovrebbe lasciare dubbi sulla teoria di Darwin. Da allora la segretaria di Marani non mi rivolge la parola. Cioè, neanche prima me la rivolgeva, ma io credevo di acquistare credibilità con quell’aneddoto pseudo culturale che nel mio cervello suonava benissimo. Poi le parole erano morte in bocca e lei davanti al mio aborto aveva spalancato due occhi attoniti, come mi fossi espresso in una lingua straniera. Come fossi rimasto nudo. La segretaria di Marani è sempre molto cortese con il Frank. Non capisco cosa possano avere in comune. Lei gli offre il caffè e divide con lui dei quadretti di cioccolata fondente equo-solidale che si porta da casa. Appena si incammina verso l’ufficio lui la imita nel gesto di mangiucchiarsi le pellicine delle dita e facendo gli occhi strabici. Non mi ero mai reso conto del suo strabismo. E la sua magrezza è davvero eccessiva. La segretaria di Marani è la mia Signorina Silvani. Il Fantasma di Fantozzi mi perseguita. È la maledizione del lavoratore dipendente. È la mia maledizione. Già a tredici anni ne colsi gli aspetti tragici, terrificanti. Termini che infestano quelle pagine e che oggi ho fatto miei e disseminerò nel mio testo. Riconoscere il pericolo non mi ha salvato, sono stato risucchiato dal gorgo aziendale. Non ho saputo essere altro. Idiota tra gli idioti. Il Frank ha intercettato i miei pensieri, forse siamo sulla stessa frequenza, più di quanto io sia disposto ad ammettere.
– Ti piace la scimmia?
– Le romperei il culo.
– Non fare il duro. Non mi freghi. Devi essere un sentimentale. Vero?
– Solo quando inculo tua sorella piccola perché mi sono stufato di tua madre. Mi prende una specie di romanticismo. Così che non riesco a squartarla dopo che sono venuto. La uso ancora un paio di volte.
– Risposta esatta. Ma non ho finito con le domande. Sai cos’è l’Aquila del deserto?
– No.
– Ci crederesti che quel coglione di mio padre è un appassionati di pistole automatiche? Sembra un bonaccione ma non sai cosa gli passa per la testa. Ha sparato anche dietro a un albanese che faceva rapine di pomeriggio in paese. Pensa che faccia di cazzo, in pieno giorno, mentre la gente è al lavoro. L’ha sbagliato di poco. L’Aquila è un regalo di papà per i miei diciotto. Pare piaccia un sacco anche alle donne, specie in America. Ne ha anche una che spara a raffica appena appoggi il dito sul grilletto. È una mitraglietta, molto pratica, ma non mi dà gusto. Mio padre mi ha insegnato a sparare che avevo tredici anni. Andavamo in montagna con dei suoi amici, di sicuro li conosci, hanno la tua età più o meno. Tutti vestiti in mimetica. Piuttosto patetici, ma mi sono divertito.
-Ho il vomito. Di te, di tuo padre, dei suoi amici vestiti di verde che giocano alla guerra…
– Può darsi. Magari con la tipa ebrea hai lavorato bene di psicologia, non voglio nemmeno sapere i dettagli, ma non puoi sperare che tutti quanti qua dentro si impicchino a un trave con le loro mani.
– Senti io non c’entro un cazzo con questa storia. La ragazza aveva i suoi problemi e questo posto ti distrugge il cervello definitivamente. Non le hanno rinnovato il contratto, mica decido io. Ho cercato di aiutarla.
– E quando oscillava dalla corda era per ringraziarti del tuo aiuto, i cani muovono la coda. Sei troppo modesto. Dovresti essere meno modesto. Non è una qualità. Devi venderti meglio.
Nel ventre della catena di montaggio le donne sono agitate, hanno annunciato la visita di un fornitore esterno, inforcano occhiali antinfortunistica e si irrigidiscono nei movimenti. Il Frank smette di tormentarmi e si allontana col muletto. Le visite sono momenti particolarmente umilianti, aspetto davvero che inizino a tirarci frutta secca e zuccherini, per me lo sono in modo particolare. Capita che alcuni fornitori che avevano interagito con me quando trafficavo al Controllo Qualità mi vedano relegato a bestia da rifornimento linee. Hanno pietà, più di quanta ne possano avere gli esseri autoctoni della Cattedrale. Vedo il loro imbarazzo, non sanno se salutarmi o ignorarmi, ogni mossa da parte loro sarebbe sbagliata. Preferiscono far finta di non riconoscermi, fingono di interessarsi a dettagli inutili, io tengo gli occhi altrove. Questa di oggi è una delegazione di tedeschi, una donna grassa dai modi cortesi straripa da un tailleur metalizzato, altri fantocci annuiscono come azionati elettricamente. A illustrare i processi produttivi è una vecchia volpe dell’era Marani, Giordano Lupi, un altro immortale, un essere misterioso che si era licenziato e poi era rientrato in Cattedrale. Giordano Lupi ha una calvizie da esubero testosteronico, una peluria nera che gli invade le braccia e gli esplode dal colletto della camicia. Il Lupo, domina l’Ufficio Spedizioni, un luogo infestato da femmine isteriche, le cui mura di plexiglass non riescono a spurgare né a contenere tutta la negatività che l’area sprigiona. È un sito contaminato da demoni, edificato su un cimitero etrusco. I preti che hanno osato avventurarsi per la benedizione pasquale sono stati colti da malore. Le impiegate devono assolvere solo funzioni decise altrove, ricevono imput, per lo più redigono bolle di accompagnamento, sono un anello inutile e necessario della filiera. Possono rivendicare la loro identità solo creando piccoli intralci procedurali. In generale rompono il cazzo, perché non possono fare altro. Non possono essere altro. È sempre questo il tratto dominante della vita in Cattedrale. Tutto è fatalità, meccanismo incagliato, colpevole innocenza. Nessuno riesce a risalire la corrente in senso contrario, a distinguersi, a uscire dal personaggio assegnato. Una femmina dell’ufficio dopo anni di vessazioni si era decisa per il licenziamento, il solito mobbing feroce tra pari livello, la morsa che si fa di giorno in giorno più stretta oltre il livello di tollerabilità. Il Lupo non si era mai intromesso nelle dispute interne all’ufficio, come tutti i capi della Cattedrale crede nella selezione naturale darwiniana, inutile tentare di salvare i capi malati che il branco isola. Il Branco ha una sua intelligenza pratica e istintiva. Il Branco non sbaglia, segue flussi energetici naturali. L’ultimo giorno le altre impiegate avevano pensato di farle un regalo di addio che la donna aveva sdegnosamente rifiutato. L’incaricata della cerimonia che si era trovata con l’inutile pacco regalo schiacciato sulla bocca dello stomaco era esplosa in un pianto disperato. Erano seguiti pianti in sequenza, isteria collettiva. Lo spettacolo si era protratto per una decina di minuti, poi la cute aveva riassorbito le gocce di acqua e sale, di seguito tutte erano rientrate in ufficio e avevano ricominciato a redigere documentazione relativa a merci in partenza e in arrivo. Alcune streghe tengono buffi pupazzi sulle scrivanie che richiamano l’età infantile, quando tutti si era un po’ meno inquinati. In realtà sono oggetti feticcio e nelle fasce orarie più misteriose questi oggetti vengono utilizzati per inscenare curiosi riti, gli occhi dei pupazzi prendono vita, una dentatura aguzza minaccia gli infedeli. Ho visto materializzarsi dalle fotocopiatrici fogli A4 illividiti da macchie di toner, volti e figure inquietanti. Sono spiriti aziendali imprigionati che vagano senza requie e che ancora chiedono pietà e un riposo sereno, ex dipendenti silurati senza colpa, vittime di ingiustizie, di sacrifici inutili nell’ottica del risanamento doloroso ma necessario. L’Ufficio Spedizioni è un cratere che erutta sangue di mestruo incandescente, le Sacerdotesse sono facilmente irritabili e di potenza inaudita. Nonostante le loro mansioni sembrino piuttosto umili il loro ruolo è determinante, sono le sentinelle, questo luogo è un vortice di antimateria dove la Cattedrale comunica con il mondo esterno.
Ho provato a nascondere dei santini tra i raccoglitori, ma ogni tentativo di esorcismo è parso vano. Le donne delle Spedizioni non invecchiano e non sono state mai state giovani, sono identiche alle loro madri, lo sono sempre state. Quando militavo al Controllo Qualità e dovevo contattarle per dei Resi di Scarto, mi facevano sempre sentire inadeguato e pasticcione, la mia scarsa avvenenza contribuiva a complicare i contatti. Le Sacerdotesse hanno impulsi sessuali mitigati dal lavoro, ma frementi e sotterranei, l’aria dell’ufficio è impregnata di estrogeni e calore vaginale. Sono donne molto fertili che hanno figliato a ripetizione, seguendo un’alternanza programmatica tale da non lasciare l’ufficio incustodito. Almeno due Sacerdotesse Storiche poste a guardia del sito. A ripensarci non le ho mai viste con il ventre gonfio. Gli uomini che le hanno sposate oggi sono esseri sfibrati e umiliati, dediti al modellismo e alla televisione sedativa, portano le corna con grande dignità, le Sacerdotesse a scadenza regolare si concedono a Demoni molto virili. La loro prole sarà sterile, condannata da una maledizione e da un patto scellerato a farsi ramo secco e ultimo della stirpe. Quando in mensa racconto questa storia colgo sguardi perplessi e inorriditi. Non credono alle mie parole perché sono il pazzo trombato che lavorava alla Qualità. Questa condizione al solito mi tiene in salvo e mi condanna. Il fatto di non essere ritenuto credibile mi preserva dalle punizioni. Per il momento. Anche se sono conscio che alcuni dirigenti mi stanno tenendo sotto stretto controllo dando precise istruzioni ad alcuni elementi della loro cricca, esseri infami che ritengo di avere individuato. Non svolgono mansioni produttive, hanno compiti che consentono di muoversi all’interno della Cattedrale in massima libertà oppure hanno una postazione fissa dalla quale dominano i flussi in entrata e in uscita. E soprattutto fanno troppe domande, sondano fatti e stati d’animo. Il potere della Cattedrale si ciba di informazioni. Come prova delle mie ipotesi sull’Ufficio Spedizioni un giorno ho aperto a ventaglio sul tavolo alcuni santini dai contorni bruciacchiati ancora odoranti di zolfo e un foglio A4 dal quale risultava evidente (per me, non per le altre persone presenti) un volto umano terrificante, con la bocca spalancata e gli occhi fuori dalla testa. Ero riuscito a impossessarmi del foglio vomitato dalla stampante dell’ufficio Spedizioni e avevo recuperato i santini approfittando di un raro momento in cui le Sacerdotesse avevano lasciato incustodito il sito. Per pochi secondi non ero stato colto sul fatto proprio dalla più feroce delle femmine che si era materializzata brandendo una pozione magica spacciata per caffé bollente. Ma ero già fuori dall’ufficio e il suo sguardo indagatore lasciava la concessione del dubbio. Il sudore della mia fronte e l’arrossamento cutaneo deponevano a mio sfavore. Il colore del volto della Sacerdotessa tendeva al verde il suo silenzio sottintendeva valutazioni in atto. L’avevo fatta franca ma avevo rischiato la castrazione e ora gli stronzi in mensa non credono alle mie parole, si allontanano senza nemmeno finire il pasto. Bastardi teste di cazzo.