di Mauro Gervasini
[In occasione dell’uscita di “Nemico pubblico n. 1 — L’istinto di morte”, biografia romanzata del criminale Jacques Mesrine, nelle sale dal 13 marzo, un articolo sul regista del film Jean-François Richet e sul suo esordio “banlieuesard”.]
“Ma 6T va crack-er”. La mia città sta per esplodere. Potrebbe essere la drammatica constatazione di qualcuno che dalla sua casa di Clichy-sous-Bois, periferia di Parigi, guarda in cortile e vede solo fuoco e fiamme. Invece è il titolo di un film, un bellissimo film, realizzato una manciata di anni fa (1997) da Jean-François Richet e purtroppo mai distribuito in Italia. Una storia semplice. Problemi in una banlieue, la polizia interviene, la polizia spara, qualcuno muore, tutti gli altri si ribellano. Come L’odio – La Haine di Mathieu Kassovitz, altro titolo del quale non si può che parlare bene. Con un distinguo però. Ma 6T era fatto da dentro. Dal luogo che racconta. Dal ventre del disagio, quello che vomita veleno e rabbia senza Dio.
L’odio è grande nel percepire il malessere di una generazione trasformandolo in visione originale, dirompente, molto up to date (o “cool”). Ma 6T va oltre. Scava nell’origine di quella rabbia, prende posizione, è più istintivo e meno programmatico di Kasso, che sceglie i suoi protagonisti con il bilancino (un ebreo, un africano, un beur…). L’odio è la rivoluzione di un borghese, Ma 6T la rivolta di un proletario.
Spaventano questi termini? Sono fuori moda? Denotano una lettura politico-ideologica? Non sono scelti a caso. La rivoluzione ha per forza un che di intellettuale alle spalle, e da che mondo è mondo, dopo quella francese, l’hanno fatta soprattutto i borghesi e le élites. Con le loro progettualità, le utopie, gli slogan, le piattaforme programmatiche. La rivolta no. La fa chi non ha niente da perdere. La fanno i ragazzi di Clichy-sous-Bois o di Meux, che è poi la banlieue dove è cresciuto Richet. Il quale, a scanso di equivoci, è un banlieuesard nato da genitori francesi, come il 90% della cosiddetta racaille (feccia), tanto utile alla propaganda di Sarkozy. Secondo lui a fare casino sono gli “immigrati”. Per saperne di più chiedete agli Zebda di Tolosa (ma basta anche ascoltare i loro dischi). Una decina d’anni fa dedicarono una canzone ai migranti “portatori in Francia di bruit (rumore) e odeur (puzza)”, secondo uno slogan coniato dall’allora presidente Chirac. Nel vero senso del termine però, gli immigrati delle periferie sono una minoranza della minoranza, dato che i “beur” si dicono tali perché nati su suolo francese, con piena cittadinanza.
Cronache di cinema. Intervistato dal canale televisivo “Arte”, Richet ha parlato di banlieue senza prescindere dal confronto con L’odio di Kasso. «L’errore di prospettiva di La Haine – sostiene il regista – è ideologico, perché il problema delle cités non è razziale ma di classe sociale e territoriale. Chi nasce dove sono nato io è destinato alla disoccupazione, non ha libero accesso alle professioni, alle università, sa benissimo di non avere un futuro. Kasso ha trasformato una rabbia che ben conosce, perché fa parte del tempo che viviamo, in qualcosa che nasce dal nulla o è frutto di un disagio di cui non si vede l’inizio. Invece ha un inizio ben preciso. È la fine che non si vede». Lucido e profetico. Parafrasando le “eleganti” parole proferite all’epoca dell’ultima intifada nelle banlieue da Sarko al calciatore Thuram, aspramente critico con governo e polizia, potremmo dire a Richet di tacere, visto che adesso è famoso e si presuppone ricco. Capito il giochetto? Mc Solaar, Zizou, Sami Naceri, Jamel Debbouze devono tacere perché sono racaille che ce l’ha fatta.
Invece parlano, per fortuna. Come Richet. Che ha anche diretto il remake di Assault on Precinct 13 – Distretto 13, le brigate della morte di John Carpenter. Anche qui, è curioso. In un reportage dalle banlieue pubblicato su “la Repubblica” il 5 novembre 2006, Francesco Merlo descrive scene e atmosfere “simili a quelle di Fuga da New York”. Il grande cinema, i grandi romanzi, pre-vedono. Non occorre interpellare sociologi o filosofi, bastano Jean-Claude Izzo e Carpenter. Il remake di Richet è spettacolare. E intelligente. Quella che chiude è la stazione di polizia “di prossimità”, come nelle cités. Quella che si scatena intorno è la guerriglia urbana, solo aggiornata al conflitto in Irak (per potenza di fuoco) e alla nazione (gli Usa). Senza contare l’identità del “nemico”, che non è più l’indiano-bandolero metropolitano come nel Distretto 13 originale (e più esplicitamente in Fuga da Los Angeles). È la polizia stessa. Più chiaro di così.