di Valerio Evangelisti
Ci mancava solo questa. Cesare Battisti sarebbe una spia (per la “grande stampa”, a cui peraltro le spie piacciono tanto, al punto di averle come redattori e persino come direttori) perché avrebbe fatto, “dopo trent’anni”, i nomi dei suoi complici.
Le solite cazzate, volte a denigrare il “mostro” in un modo o nell’altro.
Battisti, in una lettera alla stampa brasiliana leggibile qui, ha semplicemente parlato del delitto Torregiani (a cui non partecipò direttamente), e detto i nomi di chi fu condannato per l’omicidio, “secondo le autorità italiane”.
Quei nomi erano sconosciuti solo ai giornalisti stile “L’asso nella manica” che parlano di un caso di cui non sanno nulla, e ad Alberto Torregiani, che continua a reclamare la punizione dell’uccisore, come non sapesse che i colpevoli erano stati presi poco dopo il crimine. Quei nomi erano fatti nelle nostre FAQ e, prima, nel volume di Fred Vargas La vérité sur Cesare Battisti.
Ora i chiamati in causa si ribellano, in parte giustamente. Battisti, intervistato in cella, li definisce “tutti collaboratori di giustizia, pentiti”. Non è vero, l’unico pentito del loro commando di quattro persone fu Sante Fatone. Però sono loro che sbagliano quando sostengono che l’ex compagno intende addossare agli amici (stando alla stampa) l’assieme dei delitti di cui è imputato. Battisti parla chiaro, si riferisce all’omicidio Torregiani. Gli autori dell’agguato avrebbero dovuto forse dire, già da tempo, che Battisti non era con loro. E spiegare chi ferì effettivamente Alberto Torregiani (il padre).
Risulta un po’ ridicolo accusare Battisti di essersi sottratto alla condanna. Se gli assassini di Torregiani sr. non sono pentiti né dissociati, ma guerriglieri duri e puri, non avrebbero approfittato della stessa opportunità? Non c’è un’ombra di invidia, in questo stigmatizzare chi, potendo darsi alla fuga, lo ha fatto?
Di tutte le accuse, quella che Battisti sia un delatore è la più assurda. Ha rifiutato per anni di scaricarsi di questo o quel delitto per solidarietà con i compagni di lotta di un tempo. Infine ha pronunciato nomi noti da un trentennio alla magistratura, dopo loro condanne e pene già scontate. Ecco che lui, condannato all’ergastolo (a differenza di tutti gli “amici”), si trasforma in spia. Un modo come un altro per infangare la sua immagine. Da chi ha subito una paragonabile via crucis ci si attendevano interventi più tempestivi, meno esposti alle strumentalizzazioni e un pochino più cauti. Correggendo eventuali errori circa il pentimento.
Nella sua lettera, Battisti si autodefinisce “un comunista vero”. Il suo autentico crimine. Chi lo difenderà, oggi? Nella definizione è la sua colpa, in un’Italia in cui il fascismo è stato pienamente rivalutato, mentre chi è stato comunista cerca di nasconderlo o di prendere le distanze dal proprio passato.