[L’ispettore ONU per i diritti umani nei Territori palestinesi, John Dugard, di origine sudafricana, stese nel 2005 un allarmante rapporto per conto delle Nazioni Unite sulla situazione a Gaza, che fu reso noto nella seconda metà del 2006. La pressione israeliana, i reiterati omicidi mirati e le condizioni di embargo quasi totale a cui la popolazione della Striscia veniva sottoposta, secondo l’ispettore ONU, non solo ricordavano il regime dell’apartheid sudafricana, ma avevano come conseguenza l’innesco di un meccanismo vizioso, che vedeva il lancio di missili contro Israele da parte dei palestinesi e, a fronte di ciò, una risposta sproporzionata, da considerarsi multiplo crimine di guerra, da parte di Tel Aviv. Poiché la notizia in Italia non ebbe rilevanza sufficiente, riportiamo parte dell’articolo del “Guardian” sul rapporto Dugard all’ONU e un intervento dello stesso John Dugard. Ricordiamo che entrambi gli scritti datano a ben prima dell’attuale, drammatica tragedia che Israele sta imponendo in queste ore a Gaza]
IL RAPPORTO DUGARD RESO PUBBLICO NEL 2006
RAPPORTO ONU: GAZA OCCUPATA COME IL SUDAFRICA DURANTE L’APARTHEID
di Rory McCarthy
[The Guardian, 23 febbraio 2007]
Uno degli ispettori ONU per il rispetto dei diritti umani ha paragonato l’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele alla situazione di apartheid che fu realizzata in Sudafrica. L’ispettore ONU sostiene che “dovrebbe essere presa in seria considerazione” la possibilità di condurre davanti alla Corte internazionale di giustizia l’occupazione da parte israeliana.
Il rapporto a firma John Dugard [nella foto], sudafricano, docente in legge , ispettore speciale sui diritti umani nei Territori palestinesi per conto delle Nazioni Unite, rappresenta una delle critiche più potenti in 40 anni di occupazione da parte di Israele.
Il professor Dugard sostiene che nonostante Israele e il Sudafrica dell’apartheid rappresentino due regimi diversi, “le leggi e le pratiche nei Territori palestinesi occupati senza ombra di dubbio ricordano aspetti dell’apartheid” […].
Gaza è rimasta occupata a dispetto del ritiro dei coloni nel 2005. “Di fatto — recita il rapporto di John Dugard — a seguito del ritiro israeliano, Gaza è divenuta una zona bloccata, imprigionata e occupata”.
Il professor Dugard ha precisato che il suo mandato consisteva unicamente nel riportare la situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati. Ha sostenuto nel suo rapporto la violazione delle leggi internazionali da parte palestinese, con il lancio di missili da Gaza contro Israele. “Tali azioni non possono essere condonate e costituiscono chiaramente un crimine di guerra” ha dichiarato. “E nondimeno la risposta da parte di Israele è risultata clamorosamente sproporzionata e indiscriminata, e va esaminata in quanto si tratta di crimini di guerra multipli”.
PALESTINA: PACE, NON APARTHEID
di John Dugard
[Ispettore speciale ONU per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati. Intervento successivo alla stesura del suo Rapporto alle Nazioni Unite]
Da subito, l’occupazione militare discussa nell’ultimo libro dell’ex presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, Palestine: Peace Not Apartheid, ha scatenato enormi reazioni per l’accusa, ivi contenuta, che Israele pratica una forma di apartheid nei confronti dei palestinesi.
In quanto cittadino del Sudafrica che in passato ha svolto attività legale anti-apartheid, e che regolarmente visita i territori palestinesi col compito di valutare la situazione del rispetto dei diritti umani per l’ONU, il paragone con l’apartheid in Sudafrica è di particolare interesse per me.
In apparenza, si tratta di due regimi altamente diversi tra loro. L’apartheid era un sistema di discriminazione razziale istituzionalizzata, che la minoranza bianca in Sudafrica impegnava al fine di mantenere il potere sulla maggioranza di colore. Tale sistema era caratterizzato dall’interdizione dei diritti politici alle persone di colore, dalla frammentazione del Paese in aree a popolazione bianca e aree a popolazione di colore (dette zone-Bantù) e dall’imposizione alle persone di colore di misure restrittive atte a realizzare la superiorità dei bianchi, l’assoluta divisione razziale e la sicurezza della popolazione non di colore.
Il cosiddetto “Pass System”, elaborato per prevenire la libertà di movimento dei neri e per porre restrizioni al loro ingresso nelle città, veniva rigorosamente potenziato. La popolazione di colore veniva “ricollocata” a forza, e veniva impedito l’accesso a gran parte dei pubblici servizi e a molteplici forme di lavoro. Il sistema era rafforzato da un brutale apparato di sicurezza, in cui la tortura giocava un ruolo assai significativo.
I Territori palestinesi — e cioè Gerusalemme Est, la West Bank e Gaza — sono sotto occupazione militare israeliana dal 1967. Sebbene l’occupazione militare sia tollerata e regolata sulla base di leggi internazionali, è comunque considerata un regime indesiderabile che dovrebbe terminare il più presto possibile. L’ONU ha condannato per circa 40 anni l’occupazione da parte di Israele, nello stesso arco di tempo in cui venivano condannati colonialismo e apartheid, in quanto contraria all’ordine pubblico internazionale.
Viene risposto che l’occupazione isaeliana è diversa dall’apartheid. Non è elaborata come un regime oppressivo a lungo termine, bensì come una misura ad interim che garantisce la legge e l’ordine in un territorio, esito di un conflitto armato e con un accordo di pace che stenta a venire sottoscritto.
Tuttavia non è tale la natura dell’occupazione della Palestina da parte di Israele. Dal 1967 Israele ha imposto il proprio controllo sui Territori con tutte le modalità proprie di una potenza coloniale, sotto l’apparenza di un’occupazione. Ha permanentemente confiscato le più ambìte aree dei territori stessi — i siti sacri a Gerusalemme Est, Hebron e Betlemme, le fasce più fertili e a uso agricolo lungo il confine occidentale e nella valle del Giordano — trasferendovi stabilmente i propri “coloni” ebrei.
L’occupazione dei Territori palestinesi da parte di Israele mostra molteplici caratteristiche del processo di colonizzazione. Ma allo stesso tempo possiede molte delle peggiori caratteristiche dell’apartheid. La West Bank è stata frazionata in tre aree — nord (Jenin e Nablus), centro (Ramallah) e sud (Hebron) — che sembrano sempre più ricalcare il modello delle zone-Bantù in Sudafrica.
Le restrizioni alla libertà di movimento imposte da un rigido sistema di permessi, rafforzato da qualcosa come 520 checkpoint e blocchi stradali, ricordano (ma superano per severità) il “Pass System” dell’apartheid. Il sistema di sicurezza è assai simile a quello della stessa apartheid, con un numero superiore a 10.000 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e con denunce di tortura e trattamenti cruenti.
Molti aspetti dell’occupazione israeliana surclassano quelli del regime sudafricano dell’apatheid. La distruzione su larga scala, da parte di Israele, delle abitazioni palestinesi, l’opera di spianamento dei terreni agricoli, le incursioni militari e gli omicidi mirati di palestinesi superano di gran lunga qualunque pratica consimile avvenuta sotto l’apartheid in Sudafrica. Nessun muro fu fisicamente eretto per separare i neri e i bianchi.
Sulle tracce del movimento internazionale contro l’apartheid, ci sarebbe da attendersi uno sforzo internazionale unitario equivalente, che si opponga all’abominevole trattamento a cui Israele sottopone i palestinesi. Invece ci si trova davanti a una comunità internazionale divisa — da una parte l’Occidente e dall’altra il resto del pianeta. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non può dare disposizioni di intervento a causa del veto degli Stati Uniti e dell’astensione dell’Unione Europea. E gli USA, insieme all’UE, agendo di concerto con l’ONU e la Federazione Russa, hanno di fatto imposto sanzioni nei confronti della popolazione palestinese per il fatto di avere eletto, secondo standard democratici, un governo che Israele e l’Occidente ritengono inaccettabile. E’ caduto nel dimenticatoio l’impegno ufficiale a porre fine all’occupazione, al colonialismo e all’apartheid.
In tali circostanze, gli Stati Uniti non dovrebbero sorprendersi se il resto del mondo perde la fiducia nell’impegno promesso per la lotta a favore dei diritti umani. Alcuni americani — giustamente — lamentano il fatto che altre nazioni sembrano non occuparsi del precipitare delle violenze in Sudan, nella zona del Darfur. Ma finché gli USA continueranno a mantenere un atteggiamento doppio rispetto alla questione palestinese, non ci si potrà attendere cooperazione da altri Paesi nella lotta per i diritti umani.