di Mirko Tavosanis *
1. Introduzione
La narrativa di genere italiana presenta molti spunti interessanti per un’analisi tematica. L’idea da cui parte questo intervento è che una simile analisi produca risultati interessanti soprattutto se condotta secondo un’ottica nazionale (per quanto il concetto sia poco alla moda): in altre parole, nella narrativa degli autori contemporanei affiorano costanti tematiche che sembrano tipicamente italiane, prive di equivalenti in altri contesti nazionali.
Per una curiosa coincidenza, pochi giorni dopo la presentazione orale di questo intervento è stata pubblicata in rete la prima stesura del memorandum New Italian Epic di Wu Ming 1, arrivato da poco alla versione 2.0. Anche se da un’angolazione molto diversa, alcuni degli spunti presentati qui trovano eco in questo fortunato lavoro che programmaticamente dichiara l’intenzione di esplorare « tutti insieme lo strato profondo, quello dove si intrecciano le radici di tante opere, opere in apparenza diverse ma che molti lettori sentivano affini e consonanti ». E soprattutto, dichiara che « Sotto la produzione di molti autori italiani degli ultimi dieci-quindici anni vi è un giacimento di immagini e riferimenti condivisi. Dalle trasformazioni che avvengono là in basso (si pensi a materia organica sepolta e compressa che pian piano diventa idrocarburo) dipende il futuro della narrativa italiana ». Se sull’ultima parte del discorso si può discutere, sulla prima non è difficile convenire.
Analizzare in modo oggettivo un argomento del genere è molto arduo — vista la natura ben poco quantificabile di questo “giacimento” di immagini. Qualche tentativo in questa direzione può però fornire indicazioni utili, e magari permettere di piantare paletti in qualcosa che altrimenti rimarrebbe un magma di suggestioni, echi e vaghe somiglianze. Questo intervento è quindi dedicato a illustrare uno di questi aspetti: il modo in cui alcuni autori di noir associano l’investigazione alla descrizione di una catastrofe. Catastrofe di gravità variabile, da disastri limitati fino alla distruzione quasi totale della razza umana, ma che spesso viene dipinta in toni volutamente grotteschi ed esagerati. Non è certo l’unica costante individuabile, ma è una di quelle più evidenti e più interessanti da esaminare, anche perché consente di gettare uno sguardo sulle radici dell’immaginario di molti autori contemporanei.
2. La descrizione della catastrofe e il rapporto con la storia: dagli anni Settanta e Ottanta fino ai Sessanta
È importante notare che, di per sé, questo genere di descrizione (non frequentissimo nella letteratura italiana) si ritrova anche in testi molto diversi da quelli specificamente noir. A ritroso nel tempo si può risalire fino alle origini o quasi, e certamente fino al Decameron (su cui tornerò più avanti); qui però vorrei fermarmi agli anni Settanta del Novecento — periodo letterariamente cupo quant’altri mai. Qui incontriamo opere come La morte di Megalopoli di Roberto Vacca (1974), il modello più stringente e più vicino agli esiti trattati in seguito. Oppure, su piani letterari più illustri, romanzi non migliori, ma affini : dal Pianeta irritabile di Paolo Volponi fino al Superstite di Carlo Cassola (entrambi pubblicati nel 1978).
Certo, nella tradizione italiana mancano gli equivalenti del filone “catastrofico” inglese degli anni Cinquanta, con i suoi successi a cavallo tra fantascienza e narrativa tradizionale : da John Wyndham e John Cristopher fino al culmine della junghiana “quadrilogia degli elementi” di James Ballard, — autore che ha raggiunto ben altra circolazione, ma che lì ritrova le proprie origini. In Italia c’è ben poco di tutto questo — e in particolare, vistosamente, non c’è stato un Ballard.
Però la tradizione italiana ha comunque una sua continuità, che nei livelli più bassi di narrativa popolare, finché esisteva la narrativa popolare, cioè in Italia fino alla fine degli anni Settanta, si è mantenuta. Autori prolifici come Antonio Bellomi o Luigi Naviglio hanno sfornato, all’epoca, diverse facili catastrofi in una narrativa orientata verso la destra e il qualunquismo ; è in particolare il caso di Naviglio e del suo Era oscura (1974), pubblicato con lo pseudonimo di “Louis Navire” e con tanto di finto titolo originale francese (Ere obscure…).
Ho citato finora romanzi di fantascienza perché il tema di cui parlo all’epoca, all’interno del sistema dei generi narrativi prima del passaggio al postmoderno, si collocava lì. Ma basta fare qualche passo in avanti, all’alba del postmoderno italiano, per trovare qualcosa di più pertinente rispetto al tema del convegno, incluso il collegamento con l’indagine. Pensiamo al Nome della rosa di Umberto Eco (1980), in cui il culmine dell’indagine porta anche alla tragedia finale, al rogo e alla tragica e grottesca distruzione dell’abbazia.
E qui devo aggiungere subito che la descrizione della catastrofe naturale (o quasi), nella cultura italiana, a parte la fantascienza si collega solo all’ambientazione medievale o tutt’al più rinascimentale. Senza insistere sul Decameron, l’altro estremo cronologico viene fissato dalla peste descritta nei Promessi sposi (1628). E questo nonostante che la storia italiana, dall’Unità a oggi, non sia stata affatto avara di calamità, incluso uno dei grandi eventi rimossi dalla coscienza nazionale : il terremoto di Messina del 1908, che per semplice numero di vittime è una delle maggiori catastrofi naturali di tutti i tempi. Ma terremoti, vulcani, tsunami e inondazioni degli ultimi secoli, a differenza delle guerre, non hanno dato molto alla letteratura d’invenzione — qualcosa in più alla denuncia, con l’esempio illustre del Vajont di Marco Paolini. Ma, per tutta la narrativa ambientata dal Settecento ai giorni nostri, in pratica le uniche catastrofi che ritroviamo sono quelle attribuibili direttamente o indirettamente all’uomo; e sarebbe interessante seguire anche i dettagli di questa trasformazione, osservando per esempio il modo in cui parti della descrizione della peste manzoniana vengono adattate alla guerra civile italiana nel Bottone di Stalingrado di Bilenchi, e così via.
Per le ambientazioni che vanno dal Medioevo fino al Seicento, la letteratura italiana si è invece fatta meno scrupoli. Attraverso fili lunghissimi che partono dal romanzo cavalleresco, questa disponibilità culmina nel Novecento nei film di Brancaleone da Norcia e in tutto ciò che li ha seguiti — imitazioni, fumetti (come la Compagnia della forca di Magnus) e via dicendo. Il recente ritorno del romanzo storico, spesso sotto le spoglie di giallo storico, offre oggi un’abbondante varietà di campioni da prendere al volo, alcuni dei quali con catastrofi molto improbabili. Valga esempio l’ultimo romanzo di Leonardo Gori (Le ossa di Dio, 2007) che, incentrato su Leonardo da Vinci, si apre con una sequenza che descrive la devastazione di Livorno per mano — o per zampa — di un’orda di scimmie…
3. Valerio Evangelisti
Il tema che sto descrivendo, con maggior successo di pubblico (e letterario) rispetto a quasi tutti gli autori contemporanei qui citati, è comunque oggi legato soprattutto al nome di Valerio Evangelisti. Le opere più note di Evangelisti sono senz’altro i romanzi, tra storia e fantascienza, che hanno per protagonista un personaggio realmente esistito, l’inquisitore catalano Nicolas Eymerich. A partire da Nicholas Eymerich, inquisitore, del 1993, fino a oggi, nella formula quasi fissa di questa serie, che al momento conta otto romanzi, l’inquisitore garantisce l’indagine, vere e proprie cacce agli eretici o stragi ancora peggiori garantiscono la catastrofe (con particolare predilezione per la Provenza). Anzi, la catastrofe è a volte raddoppiata, grazie ai due piani temporali su cui i romanzi della serie si articolano: al Medioevo di Eymerich fa da contrappunto un futuro prossimo in cui il mondo è devastato da conflitti e l’Europa è per buona parte dominata da un’organizzazione neonazista, la RACHE.
Un esempio non estremo da questo punto di vista è dato dal terzo romanzo della serie, Il corpo e il sangue di Eymerich (1996). In questo caso, l’indagine del protagonista culmina con il rogo degli abitanti di un’intera città, Castres — che l’inquisitore riesce ad attirare con l’inganno in una trappola, al termine delle sue ricerche sulla setta dei Masc. Mentre la storia parellela, ambientata nel nostro futuro, mostra un mondo in cui l’anemia falciforme si diffonde fino a diventare epidemia su scala globale.
Ma se Eymerich è ben noto, una citazione va data anche a un lavoro di Evangelisti di natura più direttamente commerciale, la trilogia di Nostradamus (1999), in cui circolano molti degli stessi elementi. E lo stesso, con la cautela cronologica sulla natura della catastrofe, vale anche per i suoi più recenti romanzi “messicani”, cioè il dittico formato da Il collare di fuoco (2005) e Il collare spezzato (2006). Interessanti, questi ultimi, anche perché nel loro caso il collegamento alla catastrofe grottesca non va in direzione medievale, ma si ricongiunge a uno dei filoni di intrattenimento italiani che hanno avuto maggior successo al mondo nel dopoguerra : gli spaghetti western. Tra Giù la testa di Sergio Leone (1971) o Vamos a matar, compañeros di Sergio Corbucci (1970) e il Collare di fuoco è evidente un percorso di fascinazione, dichiarato piuttosto esplicitamente dall’autore; e c’è appunto l’impressione di somiglianza “nazionale”.
4. Alan D. Altieri
Le opere di Evangelisti sono oggi molto note anche a livello critico — prova ne è il fatto che a esse è stata dedicata una specifica sessione del convegno. Meno noto a livello critico, ma comunque di notevole successo di pubblico, è il lavoro di Alan D. Altieri. Meno noto al punto che sembra opportuno dedicare qualche riga alla presentazione dell’autore e dei suoi libri. Nato a Milano nel 1952, coetaneo quindi di Evangelisti, Alan D. Altieri si chiama in effetti Sergio Altieri, ma ha mantenuto il suo pseudonimo regolarmente fin dal momento in cui ha esordito nella narrativa nel 1981 con il romanzo Città oscura. Negli anni successivi pubblica numerosi altri libri mentre lavora (dal 1983 al 1987) anche per de Laurentiis, collaborando alla realizzazione di film come L’anno del dragone e Velluto blu. Un suo romanzo di ambientazione italiana, L’uomo esterno, è stato anche adattato come film per la televisione; oggi Altieri, a parte l’attività di scrittore in proprio, è prolifico traduttore e consulente editoriale per Mondadori per la narrativa da edicola.
Altieri è un autore interessante anche dal punto di vista linguistico, per molti tratti. Per esempio, per la frequente esibizione di americanismi nel suo lavoro, fino a ostentati e crudi calchi semantici che, con ostentazione, vanno molto al di là di ciò che anche i traduttori più scadenti di narrativa contemporanea si lasciano scappare (« terminare con estremo pregiudizio » e così via). In questa sede è però opportuno concentrare l’attenzione sul’aspetto tematico, che del resto è del tutto evidente. Anche solo scorrendo le istruttive quarte di copertina dei suoi romanzi, non si può infatti fare a meno di notare la frequenza di definizioni come quella di “scenari apocalittici”, “thriller apocalittico”, e via dicendo. Né si tratta, in questo caso, di invenzioni di copywriter.
L’esempio più estremo in quest’ottica è forse L’occhio sotterraneo (1983), una delle prime opere di Altieri. Il racconto parte da lontano, ma il nucleo principale dell’azione prende le mosse da un delitto commesso a Monaco di Baviera in un prossimo futuro in cui la città, come buona parte del mondo, è in partenza sconvolta dalla crisi energetica. Mentre l’indagine segue il suo corso, arrivano in sequenza i disastri : la catastrofe nucleare, portata da uno scontro tra Stati Uniti e Iran ; il definitivo esaurimento dei carburanti; una supernova che esplode vicino alla Terra paralizzando i normali canali di comunicazione ; e, per buona misura, un ceppo virulento di peste polmonare. Alla fine del romanzo l’umanità è ridotta a, presumibilmente (ma non sorprendentemente), poche migliaia di superstiti. Ma questo non impedisce all’indagine di andare avanti e di trovare alla fine epilogo in uno scontro con lanciagranate all’interno delle rovine dello stadio olimpico di Monaco.
Un meccanismo simile, anche se meno estremo, si ritrova in molte altre opere di Altieri e rappresenta una delle costanti tematiche più significative dell’autore. Nel suo romanzo d’esordio, per esempio, un’indagine tradizionale su delitti e corruzione si svolge sullo sfondo di un cataclisma — un uragano — che devasta Los Angeles e che per una buona parte dell’opera viene a complicare le vicende del protagonista.
È però il romanzo storico il punto in cui questo rapporto diventa più preciso e che avvicina al massimo, almeno a livello di contenuto, Altieri a Evangelisti (tra le storie di Eymerich e la trilogia di Nostradamus) : il ciclo di Magdeburg (2005-2007), romanzi storici ambientati nella Germania della Guerra dei Trent’anni, con un passaggio rapido attraverso l’Italia al culmine della peste manzoniana — di cui si è già indicata la natura di discrimine. Altieri non è mai stato scrittore reticente, ma in questo caso la violenza arriva a livelli insoliti anche per il suo standard, anche se variano strumenti e dettagli anatomici : nelle opere precedenti c’era il gusto per gli scontri con armi da fuoco e la descrizione medica dei relativi effetti ; qui brillano invece le armi bianche, e la cura con cui vengono descritti colpi ed effetti è particolarmente insistita e studiata. Al punto che il culmine della trilogia, il devastante saccheggio della città di Magdeburgo e il conseguente sterminio degli abitanti, paradossalmente sembra più un anticlimax che un apice di violenza.
5. Conclusioni
Sia nel caso dei romanzi di Eymerich che nella Trilogia di Magdeburgo sono ben visibili tutti gli elementi citati finora. Altieri è chiaramente uno scrittore molto autonomo anche nel panorama della narrativa di genere italiana ma, nonostante lo pseudonimo, leggendo i suoi libri è impossibile scambiarlo per uno scrittore americano — o francese, o di qualunque diversa provenienza nazionale. Esattamente come per Evangelisti, l’impressione fortissima, proprio a livello di contenuto, è quella di italianità : di trovarsi di fronte a qualche cosa che nasce dallo stesso nucleo da cui provengono gli spaghetti western, o i film di Brancaleone da Norcia, o i fumetti dei Disney italiani e quelli di Magnus.
I termini di confronto che ho appena proposto rimandano agli anni Sessanta o Settanta. Oggi invece, per vari motivi, è molto raro trovare per esempio produzioni cinematografiche che condividano questa base tematica. Ma è evidente, anche se difficilmente dimostrabile, che proprio la loro esistenza in passato ha influenzato a fondo la generazione di scrittori oggi diventata di successo ; e che proprio questo sembra formare il grosso del “giacimento” di cui parla anche Wu Ming 1. Giacimento che a sua volta posa su strati molto anteriori.
I meccanismi esatti di questa influenza sono senz’altro difficili da illustrare in modo oggettivo. Ma è sicuro che esaminarli su molti piani, con una sistematicità maggiore di quella oggi corrente, sarebbe un esercizio interessante e capace di dire molto sui meccanismi di formazione di un gusto nazionale, negli autori e nei lettori.
* Mirko Tavosanis è ricercatore di Linguistica italiana presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa, dove insegna Linguistica italiana e Comunicazione ed è membro del comitato scientifico del master in Italiano scritto professionale. Tra i suoi interessi, la storia della lingua e dell’editoria in Italia fra Quattro e Cinquecento. Ha pubblicato manuali universitari, il volume La prima stesura delle Prose della volgar lingua: fonti e correzioni (Pisa, ETS, 2002) e, assieme a Fabio Gadducci, Casa Disney. Autori e diritto d’autore (Bologna, PuntoZero, 2000). In una vita precedente, nel XVI° secolo, è stato un sicario al servizio della Repubblica di Venezia.
L’articolo è una comunicazione al convegno “Il romanzo poliziesco, la storia, la memoria” tenutosi all’Université de Provence il 6-7-8 marzo 2008, e i cui atti, a cura di Claudio Milanesi, usciranno a primavera 2009 per l’editore Astraea di Bologna.
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LINK, ANNUNCI, NOTIZIE SUL DIBATTITO NIE
Sul nuovo numero di Giap (n.3, IXa serie) c’è un editoriale tripartito a firma WM4, WM1 e WM2, presa di posizione su un certo intorbidimento di acque che avviene quando si parla a vanvera di impegno e “realismo”, descrivendo in modo banale e riduttivo una letteratura italiana – anche “impegnata” – che è molto più ricca, sfuggente e visionaria di quel che credono i “mediatori”, ed è politica, sì, ma non nel modo piatto che viene raccontato sui giornali.
Wu Ming 4 – TRA SPECCHIO E MARTELLO
“Soffia il vento, infuria la bufera, e ci si ritrova a chiedersi perché diavolo si scrivono romanzi. E’ una domanda salutare, alla quale chi fa il nostro mestiere non dovrebbe mai stancarsi di rispondere.
Scriviamo per indagare la realtà? Per raccontare la Storia in modo accattivante e divulgativo? Per denunciare le ingiustizie presenti e passate?
Ogni volta è opportuno rispondersi con tre no belli secchi.”
Wu Ming 1 – “REALISMO”, IL GRANDE MALINTESO
“Prima di tutto voglio dire: la questione del ‘realismo’, o del ‘ritorno degli scrittori alla realtà’, è poco interessante. Mi rompe i coglioni.
Otto volte su dieci è malposta; un’altra volta è posta bene ma non porta in alcun luogo; resta un’occasione ogni dieci, fortunata occasione in cui ascolto/leggo e alla fine imparo davvero qualcosa.”
Wu Ming 2 – ESTRATTO DAL SAGGIO “LA SALVEZZA DI EURIDICE”
“Se per indagare i fatti usiamo la narrativa, e non la storia o le scienze umane, è perché vogliamo permetterci di essere visionari, di dimostrare per assurdo e per metafora, di concatenare gli eventi con simboli e analogie, di immaginare, quando ci mancano, quel che succederebbe se avessimo le prove. Anche se un romanzo tocca la realtà, la cosa più preziosa che posso trovare, tra le sue pagine, non è la verità dei fatti, ma il senso del loro intreccio.”
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Anche lo scrittore Beppe Sebaste, sul suo blog, si toglie qualche sasso dai mocassini.
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Enfin:
sul blog Kaizenology, gestito dal collettivo di scrittori Kai Zen, Kai Zen J (Jadel Andreetto) ha pubblicato una lunga riflessione su New Italian Epic, orrore, visioni, essere-per-la-morte, orrore e nihilismo, problemi di tassonomia letteraria e musicale, teratologia dell’ignoto, sorti del fantasy italiano, fisica dei colloidi e delle interfasi, percezione dell’Italia dal Cono Sur americano e un sacco di altre cose (oltre un centinaio di tag in calce al post!). Una fuga di CVM nelle falde acquifere del dibattito letterario.
Eccolo.
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Su Repubblica on line, oggi, Dario Olivero si sbilancia e scrive:
“All’inizio fu Petrolio di Pasolini. Il primo tentativo organico di scrivere un romanzo sul buio: Mattei, l’Eni, Cefis, la strategia della tensione, l’Italia. Ora siamo a Saviano, con un’accelerazione impressionante negli ultimi anni. Lucarelli, Siti, De Cataldo, Evangelisti, Wu Ming. Molti partirono dal noir seguendo l’idea di Sciascia e del giallo americano: usare il poliziesco come griglia della realtà. Sono arrivati molto più in là, alla più importante corrente culturale che l’Italia ricordi dai tempi del Neorealismo. C’è che chi dato un nome a questo: New Italian Epic. Molte riflessioni dei protagonisti, oltre che in Rete, si trovano nell’Almanacco Guanda di quest’anno dal titolo Il romanzo della politica, la politica nel romanzo (22 euro). Di questi tempi la politica bisogna andarsela a cercare.”