di Anna Castriota-Scanderbeg *
Nathan Gelb, Delitti sotto la cenere. Un nuovo caso per il Principe di Sansevero, Sperling & Kupfer, 2008, pp. 542, 27 incisioni d’epoca, € 20,90.
Geniale affabulatore americano dal cuore europeo (compone infatti
direttamente in italiano), lo scrittore Nathan Gelb ha da poco dato alle
stampe il suo secondo romanzo Delitti sotto la cenere. Sembra il
misterioso distillato di un alambicco, non solo per l’intricata e appassionante vicenda narrata, ma anche per il modo di procedere nella stesura: per sua affermazione Gelb scrive a mano e non al pc, non traccia alcuna scaletta, l’inizio e la fine del romanzo sono i suoi punti di partenza, il resto viene da sé. Ma uno degli effetti mirabili di questo metodo creativo, oltre ovviamente alla formazione culturale e alla ricchissima fantasia dell’autore, è la sua prosa stilisticamente raffinata nonché la capacità di elaborare la sequenza delle scene come fotogrammi quasi da lui veduti scorrergli innanzi agli occhi e come tali restituiti al lettore.
Lo scrittore Valerio Evangelisti ha definito Delitti sotto la cenere un
‘thriller acrobatico’, giudizio col quale si può senza dubbio concordare se
si tiene presente il dinamicissimo procedere narrativo, secondo un andamento che in senso figurato si articola ‘Rettilineo…strapiombo…rettilineo…strapiombo’.
Immagini fuligginose e tetre si alternano infatti a raggi di sole che illuminano un paesaggio, una strada di Napoli, una taverna per poi ripiombare giù… nella vertigine di un delitto.
I fatti si svolgono a Napoli nell’anno 1756. Il protagonista del romanzo,
don Raimondo Principe di Sansevero, nei panni inconsueti di ‘detector’, dà
libero corso alla propria estrosità, rispecchiando in modo vivido la sua
figura storica, ma già straordinariamente moderna. Nel suo tempio massonico
rinviene due cadaveri inceneriti sul pavimento a scacchi, mentre un granchio
di mare dall’ incedere a sghimbescio mette a dura prova il suo proverbiale
acume. Cos’è realmente accaduto? Si tratta davvero di autocombustione
umana, come molti sospettano? Un’ipotesi senz’altro suggestiva. Ma la
fantasia di Gelb ci immette all’istante nell’angosciosa landa in cui
l’essere e l’apparire sembrano confondersi. Chi ce l’ha col Principe, Gran Maestro della massoneria? Qualche emissario della curia partenopea, oppure un ex confratello che ha subìto un torto dallo stesso Raimondo? Ma ecco che a
complicare le cose giungono altri due omicidi commessi dopo pochi giorni e
non meno raccapriccianti.
Rispetto al precedente romanzo Il quadro dei delitti, in quest’ultimo Gelb
offre il meglio di sé, affiancando al Principe anche una valida spalla, la
sua segreta amante Mariangiola Ardinghelli. Donna intelligente ed
emancipata, pone al principe interrogativi nei quali è facile che il lettore
si immedesimi, man mano che la matassa va dipanandosi. Ma i suoi sono solo
dei tentativi, perché Sansevero cela sempre un asso nella manica, pronto con
le sue ferree argomentazioni a far crollare ogni supposizione. Eppure sarà
proprio a lei che affiderà il compito di decrittare un misterioso codice
numerico cifrato, lasciato dall’omicida. Va detto che Gelb non lascia mai
inoperosi i suoi personaggi come del resto lo stesso lettore. Lo prende per
mano, col sottile gusto di sfidarlo, come la Sfinge con Edipo.
Nathan Gelb si diverte a “costruire” senza alcuna irriverenza una serie di
personaggi, tutti funzionali alla trama, per creare i quali attinge al mondo
della nobiltà, dal canagliume partenopeo, dalla magistratura corrotta, dalla
massoneria, dalla gomorra settecentesca, e con pennellate decise,
li fa vivere nella sua prosa raffinata e arguta, tra iperboliche metafore e
ricche descrizioni che stimolano l’immaginario. Anche il lettore poco propenso al romanzo storico, troverà affascinante e più che mai attuale in certi suoi risvolti l’epoca ri-creata da Gelb, con le sue atmosfere neogotiche.
Sansevero, controversa figura storica, “risorge” in questo thriller quasi a
sbeffeggiare chi di lui “dice peste e corna” dando giudizi paradossali sulla
sua persona. Egli però non perde mai di vista il fine dell’indagine,
“individuare due linee confuse con le tenebre”: frase sibillina, ma non
tanto enigmatica per chi ha imparato a conoscere Nathan Gelb, amante della
duplicità. Ma questa volta, non è tanto l’area dell’ambivalenza tra bene e
male che l’autore va a scandagliare, bensì quella del Male mosso da una
perversa intelligenza e l’altra del male guidato dall’ottusità, vero
boomerang per l’assassino.
Come detector, Sansevero possiede una sapiente intuizione unita a una
ipersensibilità, quale ad esempio si rivela nella visione onirica del
duplice omicidio commesso due secoli prima, nello stesso palazzo, dal
madrigalista Gesualdo da Venosa. Con destrezza funambolica, Gelb riesce a
catturare l’attenzione anche nel raccapricciante flash-back di quella
vicenda. Allo straordinario detector Sansevero tocca dunque sapersi muovere
fra le ombre del passato e i fumosi eventi del presente, e lo fa inchiodando
il lettore alle prese con questo thriller ad alta tensione.
Un altro punto a favore di Nathan Gelb è la sezione finale intitolata “Ai
bordi della ragnatela”. Un astuto espediente, che finirà con l’accorpare tutte le motivazioni e le circostanze che hanno condotto il detector a individuare i punti deboli della trama delittuosa, conducendolo alla sorprendente soluzione finale. Anche qui azione e ritmo impediscono alla tensione di allentarsi, rendendo “Delitti sotto la cenere” uno di quei rari thriller, dove tutto è plausibile. E se, come può affermarsi, la plausibilità è una faccenda di stile, Nathan Gelb è un abile maître di stile.
* St. Clare’s College, Oxford