di Tito Pulsinelli
Il vertice di Washington è stato il
mesto addio di Baby Bush, l’ultima occasione di simulare “gesta”
trascendentali, all’altezza dei disastri che lascia in eredità al
mondo. Tante foto di ospiti eccellenti, poca discussione, nessun
accordo. Non c’e’ stata nessuna Bretton Woods, solo un breve
conciliabolo e la disposizione a riparlarne quando ci sarà al comando
Obama.
“Nessuno spera che questa amalgama di nazioni disparate – i
ricchi del G7, le nuove potenze del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) e Paesi assortiti come Argentina, Corea del Sud, Turchia e Arabia
saudita, tra gli altri – possa mettersi d’accordo in due riunioni di 90
minuti sulla nuova architettura internazionale” ha commentato la BBC.
Nel comunicato viene recitato un rosario in “politichese”, dove non è
possibile occultare il disastro avvenuto, ma si ribadisce la fede
incrollabile nel “libero mercato” e nella pietra filosofale della
“iniziativa privata”.
Si dice che ci vorranno più controlli per banche
e le Borse ma -udite!- questi dovranno essere effettuati dal FMI e
dalla Banca Mondiale, opportunamente ripotenziati. O meglio:
ricapitalizzati. Ma da chi?
La “rifondazione capitalista” – secondo gli
Stati Uniti e la Gran Bretagna – sarà diretta da quegli stessi organismi
che hanno fallito clamorosamente e che sono rimasti inerti e a borsa
vuota. Gli arbitri-giudici-gendarmi della nuova ripartenza, saranno gli
stessi che hanno condotto le piccole e medie economie-nazioni dell’area
non industrializzata alla rovina.
E che non hanno applicato la stessa
ricetta quando c’è stato il tonfo degli USA e dell’Unione Europea.
Il
BRIC e i nuovi convitati, si accontenteranno solo di far parte del
nuovo club e dimenticheranno le canagliate subite del Fondo Monetario
Internazionale? Come si potrà ricapitalizzare la “rifondazione”? Gli
Stati dovranno imprimere denaro – che non possiedono – per continuare a
fornire un salvagente al dollaro? I paradisi fiscali continueranno ad
essere porti franchi per la filibusta finanziaria globale?
Al primo
ministro britannico Brown, non è restato che metter da parte
l’orgoglio, tapparsi il naso sul format di democrazia vigente e fare un
tour negli Emirati e in Arabia saudita, alla ricerca di denari sonanti.
Non ha sucitato molto entusiasmo, né ha trovato sottoscrittori per la
causa della rifondazione del capitalismo finanziario.
La “nuova
architettura” non potrà fondarsi sui debiti che ricadranno sulle spalle
delle generazioni future, né su di una sola moneta tra quelle che hanno
corso. E non basterá neppure un “paniere monetario” che unisca all’euro
le monete-economie attualmente piú solide.
E’ salutare che si torni ad
un ruolo fondante non solo dell’oro, ma di tutte le materie prime
strategiche. Altrimenti, potrebbe accelerarsi il varo di una Borsa del
petrolio e del gas, dove Wall Street e City sarebbero prescindibili.
Strategico, cioè vitale, sono diventati gli alimenti, l’acqua e la
biodiversità. La “nuova architettura” non sarà un pranzo di gala – come
diceva Mao – né vari pranzi e vertici del G20, allargati o ristretti.
E’
in gioco la futura gerarchia post-unipolare, quella che regolerà gli
scambi nella nuova fase che vede il cosiddetto “occidente” spezzato
come unita’ organica dominante.
E’ in discussione la nuova regola
degli scambi nella fase multipolare, che dovrà sanare la questione
dello scambio diseguale tra esportatori di materie prime-energia-
alimenti, con le nuove fabbriche planetarie (Cina, India, Corea) e gli
esportatori finanziari che importano quasi tutto. Il problema è che
pagano le importazioni con le truccate “eccedenze finanziarie”.
A
differenza degli USA ed Unione Europea che hanno reagito alla
bancarotta delle Borse finanziando con denaro pubblico i bancarottieri,
la Cina – ed altri emergenti – stanno usando le loro riserve in
investimenti diretti all’economia produttiva, sia privata che pubblica.
Disgraziatamente, quelli che avevano convocato il vertice del G20,
hanno fatto fiasco nella riattivazione o nella limitazione dei danni
nell’economia degli USA ed europea. Di risanamento è meglio non
parlare.
E se non sono in grado di curare i loro acciacchi, com’è possibile pensare che possano imporre una nuova ricetta globale per
curare i mali da essi provocati al mondo? C’è da dubitare assai che
rimarranno a lungo occulte le forti discrepanze tra i Paesi emergenti
ed il G7, ed anche all’interno di questo. In fondo, persino Sarkozy
l’ha espresso con chiarezza piú volte, e per questo Baby Bush l’ha
relegato in un angolo, lontano dai falsh dei media.
La Russia e l´Iran
sanno che Bretton Woods risale al 1944 e non basta una riedizione, riveduta
e corretta, perché il dollaro è ormai sganciato da tutto: dall’oro,
materie prime, idrocarburi, persino dalla gerachia dell’economia di cui
è espressione.
Medvedev ha ribadito che “il nuovo sistema deve prendere
in conto la relazione delle istituzioni finanziarie con l’economia
reale” ed ha anticipato che la Russia si trasformerà in una potenza
anche finanziaria appena comincerà a vendere i suoi idrocarburi in
rubli.
Sono troppo lontani i tempi in cui gli Stati Uniti fornivano al
mondo il 60% delle merci circolanti. Oggi, la sostituzione dei
manufatti con “prodotti finanziari”, non garantisce più gli stessi
privilegi derivati da un egemonismo meno assoluto, e sempre più
relativo.
La destrutturazione sistemica ha tracimato in licenziamenti
di massa nelle fabbriche che inventarono il fordismo e il taylorismo.
All’orizzonte non è visibile nessuna rivoluzione industriale, pertanto
la “rifondazione” appare come puro volontarismo.
E’ più certo un
periodo caotico, in cui gli scambi primari tra i blocchi del
multipolarismo, risentiranno di quel neoprotezionismo tanto esorcizzato
nel comunicato dei G20. E’ un’agonia che annuncia le doglie, ma c´è bisogno di un forcipe, si spera differente dalla guerra combattuta
anche con le arti marziali.