di Alessandra Daniele
– Stanno arrivando — disse Arianna, e con uno scatto degli arti lunghi e sottili s’appiattì contro il soffitto all’interno dell’atrio semi-diroccato. Cal stipò a fatica la sua mole scagliosa nell’angolo accanto al portone privo di ante, e aspettò. Il gruppo si avvicinava a loro attraversando la strada deserta e assolata, tra le carcasse delle macchine abbandonate. Erano in tre, e attorno ai loro colli chiazzati e giallastri le cravatte eleganti e incrostate di sangue che portavano ancora erano particolarmente grottesche. Uno di loro aveva anche la giacca, dalle cui maniche però sbucavano artigli scarnificati. Il primo, quello con le due paia di lunghe zanne ricurve che sporgevano da entrambe le arcate dentali, annusò l’aria, e puntò un braccio verso il portone.
– Carne! — Gridò, e cominciò a correre, saltando le lamiere rugginose di un cartello stradale divelto.
Gli altri lo seguirono, imitandone l’urlo come potevano. Uno di loro aveva al posto della bocca un groviglio violaceo di sottili tentacoli vermiformi. L’altro, il naso e la mascella superiore saldate in una specie di rostro, simile a un becco uncinato, e quella inferiore sghemba e seghettata.
Il primo arrivò al portone, e si lanciò verso l’interno.
Il braccio teso di Cal scattò come una barra di traverso all’entrata. Il primo andò a sbatterci contro, finendo disteso per il contraccolpo. Cal lo trascinò dentro per i piedi, lo bloccò con un ginocchio sul petto e, con un pugno grosso come un paracarro e ricoperto di scaglie verdastre, gli disintegrò il cranio. Restarono intere solo due zanne spaiate, in cima a una poltiglia grigio-rossastra mista a schegge d’osso. Il secondo e il terzo entrarono ululando, uno affondò il rostro in una spalla di Cal, l’altro gli si lanciò contro con i tentacoli saettanti. Arianna si staccò dal soffitto piombando sul secondo, e con la lunga cresta affilata che aveva sull’esterno del sottile avambraccio gli aprì uno squarcio nella nuca. L’assalitore mollò la presa su Cal, girandosi verso Arianna. Lei lo colpì con l’altro avambraccio tagliandogli la gola. Il getto di sangue la investì accecandola per qualche secondo. Quando riaprì gli occhi, Cal si agitava cercando di liberarsi dai grumi di tentacoli violacei vomitatigli addosso dal terzo, che si intrecciavano in un groviglio vischioso e pulsante che stava per immobilizzarlo. Arianna saltò sul soffitto, si attaccò al moncherino di lampadario, e da lì roteò la lunga gamba destra come una falce. I primi fendenti andarono a vuoto, l’obiettivo si muoveva troppo in fretta, continuando a vomitare tentacoli. Con uno sforzo enorme Cal, già quasi completamente imbozzolato, riuscì a rotolargli fra i piedi, rallentandolo per un attimo. Le gambe di Arianna dalle creste taglienti si chiusero attorno al collo del terzo assalitore come le lame di una forbice, decapitandolo. Il groviglio violaceo che imprigionava Cal cessò di pulsare, e in pochi attimi gli si squagliò addosso, ridotto a fanghiglia inerte. Arianna si lasciò cadere accanto a lui.
– Possiamo salire a cercare, adesso – disse, riprendendo fiato. – Come va la spalla?
– Guarirà — grugnì Cal, ripulendosi dalla melma – Spero però che ne sia valsa la pena.
Quando entrarono nella stanzetta bianca che cercavano, la trovarono completamente vuota. Sembrava essere stata saccheggiata minuziosamente, mancavano persino i chiodi dai muri. Ma forse era sempre stata così spoglia, pensò Arianna. Di colpo, senza alcun preavviso, una spirale di fumo color ambra si levò al centro della stanza. Tra le volute lattiginose s’intravedeva galleggiare un paio d’occhi.
– Siete qui per me? — La voce sembrava un fruscio modulato dal vento.
– Dicono che tu sai com’è cominciata l’epidemia — disse Arianna.
La spirale di fumo ondeggiò, assunse una silhouette antropomorfa.
– Quale epidemia?
– Come quale? – Sbottò Cal — Quella del virus mutageno che ha trasformato l’umanità in un branco di mostri!
Il fumo sembrò addensarsi attorno agli occhi che fluttuavano in mezzo.
– Non esiste nessun virus mutageno.
– Ah no? E cosa cazzo è stato allora a farmi diventare così? — Ruggì Cal, agitando il grosso pugno scaglioso verso quegli occhi.
– Tu sei sempre stato così — rispose la voce di fumo. – Io lo so, perché ho visto. La differenza adesso è che possono vederti anche gli altri. Puoi vederti anche tu — Il fumo parve diventare più chiaro, quasi luminoso — Siamo tutti stati sempre così. La forma umana è sempre stata solo un’illusione. Creata e sostenuta dall’inibizione di un’area del nostro cervello, che infatti risultava misteriosamente inutilizzata. Non so dirti cosa provocasse quest’inibizione, forse un meccanismo evolutivo, forse un fattore esterno… so solo che non funziona più. Il Velo di Maya è caduto, e tutti ora possono chiaramente sperimentare ciò che prima solo pochissimi come me intravedevano appena – Il suono frusciante della voce di fumo vibrò — quanto bastava per finire in manicomio.
– Tutta la terra adesso è un manicomio — disse Arianna.
– Lo era anche prima. Quella che chiamavamo civiltà era una facciata. Un’altra illusione.
Arianna chiuse gli occhi.
– Non crederai a queste stronzate? — Protestò Cal, scuotendola per una spalla – Dobbiamo andarcene prima che sia notte — continuò guardandola — Non voglio vederti rischiare ancora di finire fra le zanne di qualche altro bastardo perché hai perso tempo a sentire i deliri di… – si voltò verso la silhouette, ma non la vide. Improvvisamente com’era apparso, il fumo s’era dissolto.
— Ecco, l’oracolo s’è levato dai coglioni. Meglio, andiamo!
Arianna lo guardò: le grosse scaglie verdastre sulla sua faccia disegnavano un bizzarro mosaico nella luce del tramonto, ma il suo sguardo era umano.
Si girò, e uscirono insieme.