di Alessandro Defilippi *

E poi si dice che le sincronicità non esistano. Poche settimane fa mi è accaduto di vedere il mio ultimo libro (frecciabr.gif Le perdute tracce degli dei, Passigli) esposto, in una libreria di Savona, tra i romanzi storici. In un primo momento mi sono stupito, avendolo sempre considerato, come gli altri che lo hanno preceduto, un romanzo di genere fantastico. Superata la bava d’indignazione che coglie sempre gli scrittori, soprattutto quelli che vendono poche copie, ho pensato che un libro che si svolgeva nell’Africa Orientale Italiana dopotutto aveva qualche diritto a stare lì, e me ne sono stato buono. Hai visto mai che qualcuno lo acquisti? Lo stesso giorno ho scoperto che altri due autori, molto più noti di me, avevano pubblicato libri collegati alle colonie italiane: Carlo Lucarelli con L’ottava vibrazione e Enrico Brizzi con L’inattesa piega degli eventi. Terza coincidenza o sincronicità, mi sono imbattuto, in questo sito, nel saggio di Wu Ming 1, del quale avevo già sentito parlare, sul New Italian Epic.

Nel leggerlo mi sono sentito, ospite non invitato ma spero accolto, in qualche modo vicino al “campo elettrico” citato da Wu Ming 1. Le idee o lo spirito del tempo evidentemente agiscono come attrattori strani. Allo stesso modo mi sono trovato d’accordo su un tema per me, psicoanalista, del tutto fondante: la necessità di un cambiamento del punto di vista, di un’uscita da noi stessi. È urgente la necessità di superare l’antropocentrismo, specie di fronte alla sua interpretazione distorta dai fondamentalismi religiosi, come urgente è quella di dare voce a tutti gli infiniti possibili di ogni esistenza. La letteratura, credo, è fondamentalmente la possibilità di vivere altre esistenze, leggendole o scrivendole: la possibilità di ritagliarsi, in vita, un pezzo d’immortalità, ritrovandola, la vita, riverberata all’infinito nei libri che leggiamo.
Non c’è dubbio che vi sia, nel NIE la tendenza ad andare oltre i calligrafismi e i bozzettismi di tanta letteratura italiana contemporanea, impegnata a contemplarsi pensosamente o a raccontare noiosissimi e minuscoli Holden. Ciò che pare contare nei libri citati da Wu Ming 1, più che le storie dei protagonisti, è la Storia, sia essa rispettata o modificata ucronicamente. Credo che, da questo punto di vista, non si possa non citare un autore che esordisce prima del 2001 e anche prima del 1993, il vero spartiacque temporale secondo Wu Ming 1: Sergio “Alan D.” Altieri. I libri di Altieri [vd.frecciabr.gif il saggio di Girolamo De Michele] contengono molte delle caratteristiche definite da Wu Ming 1, dal Don’t keep it cool-and-dry alla complessità narrativa associata a un’attitudine popolare, sino allo scarto stilistico, imitato da molti autori pulp italiani. Quel che Altieri porta in più, è un calcolato eccesso, il forzare la commistione e la crudeltà del mondo moderno alle sue conseguenze più estreme. Vedere, per credere, la sua ultima antologia, Armageddon.
Ma tornando all’inizio: perché si ricomincia a parlare delle colonie italiane? Il punto è domandarsi se ogni epica sia anche contemporaneamente una politica. Probabilmente sì, nel senso che essa implica il prendere una posizione pro o contro, ponendosi al di fuori dell’individualismo. Paradossalmente però, l’epica, per usare una terminologia junghiana, è uno dei modi del processo individuativo, ossia dell’emergere dell’individualità dalla collettività. Attenzione: stiamo parlando di individualità e non di individualismo; di capacità del singolo di intervenire nel collettivo e non di tenersene fuori. Anche i temi a me più cari, legati alla sovrapposizione tra il bene e il male, alla presenza del sacro e del senso, sono temi politici, perché tentano di offrire domande non prescindibili e legate alla società e non solo all’individuo.
Wu Ming 1 sembra indicare nell’epoca della Guerra Fredda il grande snodo storico da cui veniamo, ma mi pare che allo stesso modo non si possa evitare di ritornare a scrivere sul ventennio fascista. Come ho già detto altrove, parte del nostro immaginario e la nostra concezione del male sono ancora fermi a quell’epoca, a cavallo tra gli anni trenta e quaranta, come se proprio in quel momento la modernità si fosse svelata completamente. Gli anni Trenta erano un simbolo di ciò che stava per accadere, e noi non ne siamo ancora usciti, forse proprio perché abbiamo rifiutato di elaborarli a sufficienza, cadendo così in una letteratura e in una società asfittiche. Il romanzo storico consente di muoversi fra ombre sfumate, ma anche di raccontare ciò accade dentro a noi, oggi. L’epica è una forma più intensa dell’esistere, la percezione di muoversi in uno spazio e in un tempo dotati di senso, in contrapposizione alla confusione del cosiddetto postmoderno. E la perdita di senso, psicologicamente, è una delle caratteristiche dell’esperienza estrema del male. Come ho detto prima, mi pare che il nostro senso del bene e del male sia ancora fermo agli anni trenta, in cui l’incomprensibilità del male e la sua opacità irrompono nel mondo moderno, e che lo spazio privilegiato dell’epica, vista come inevitabile e ambiguo scontro tra bene e male sia, per noi italiani, legata agli anni del fascismo. Non siamo mai usciti dalla Cambogia di Pol Pot o dall’attacco degli USA a Panama, ma non siamo nemmeno usciti da Auschwitz.

defilippi.jpg* Alessandro Defilippi è nato nel 1956 a Torino, dove vive e lavora come psicoanalista. Ha pubblicato il libro di racconti Una lunga consuetudine (Sellerio, 1994) e i romanzi Locus Animae (Passigli, 1999), Angeli (Passigli, 2002) e Le perdute tracce degli dei (Passigli, 2008).

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Su Nandropausa 14/15, Wu Ming 1 (partendo da L’ottava vibrazione di Lucarelli) e Wu Ming 2 (partendo da L’inattesa piega degli eventi di Brizzi) ragionano sul ritorno narrativo al colonialismo italiano in Africa. Prossimamente, nuove riflessioni a partire dal romanzo di Defilippi.