di Luca Barbieri
Qui le precedenti puntate.
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CAPITOLO III – LA NARRAZIONE DEL 7 APRILE SUI QUOTIDIANI ITALIANI
1. Una periodizzazione
La storia del processo 7 aprile dura quasi un decennio. Seguirne la narrazione attraverso le pagine dei quotidiani è lavoro lungo e complesso.
Periodi di grande attenzione, soprattutto all’inizio della vicenda, si alternano a cali di interesse. Notizie false, “buchi” voluti e silenzi calcolati, rendono la narrazione dei quotidiani spesso inaffidabile, tanto che verrebbe da dubitare della loro utilità come fonte storica. Il seguente capitolo tenterà semplicemente di delineare una sorta di lunga e spero approfondita “descrizione” di ciò che i quotidiani hanno raccontato giorno per giorno, per arrivare poi a ricavarne una macroperiodizzazione (determinata dai picchi di attenzione dei quotidiani) che potrà poi tornare utile per essere incrociata invece con l’analisi di tipo contenutistico. Potrebbe essere utile leggerla anche in parallelo al capitolo secondo, ovvero alla ricostruzione dell’iter processuale, per determinare e ricostruire le evidenti sfasature tra due racconti che in teoria avrebbero dovuto procedere quasi in parallelo.
Per la costruzione dei paragrafi si sono adottati all’interno del capitolo criteri differenti in modo da rendere flessibile e adattabile la metodologia d’esposizione. Ogni blocco informativo (individuato cronologicamente oppure tematicamente) corrisponde a un blocco tipografico separato dal successivo da uno spazio bianco.
Mi preme avvertire che ciò che i giornali hanno scritto nel corso del 1979 è stato tra l’altro trattato con cura e attenzione in due testi cui rimando chi volesse approfondire alcune questioni. Il primo è Processo a mezzo stampa di Pasquino Crupi e l’altro è Condanna Preventiva di Ivan Palermo. Per questo il 1979 verrà trattato in “maggior scioltezza” soffermandomi, anche per l’enorme mole di materiale, solo sui suoi momenti maggiormente significativi.
2. Aprile 1979. Le carte (truccate) in tavola
Il primo mese di narrazione del 7 aprile è importantissimo. Nell’arco di pochi giorni tutte le accuse e le ipotesi investigative vengono dispiegate a mezzo stampa. Quello che i giornali masticheranno, fino alla sentenza d’appello, è già tutto qui. Una massa e una mole di informazioni e ricostruzioni enorme che spesso nemmeno troverà spazio nei processi. Ritengo che questa prima fase sia determinante per la costituzione dell’immagine che l’opinione pubblica si farà di tutta la vicenda, per l’attribuzione dei significati e per delimitare i confini del discorso, di quello che cioè si potrà, o meno, dire d’ora in avanti.
8 aprile 1979, il Day After dell’antiterrorismo
Il giorno successivo al blitz del 7 aprile l’attenzione in tutto il Paese è altissima. Sapere qualcosa però non è facile. Le notizie scarseggiano. Il quadro si chiarirà solamente nel corso della giornata dell’8 aprile. I quotidiani in edicola presentano ancora un quadro solo parziale dell’operazione. Il più informato sembra sicuramente il Corriere della Sera che apre con un articolo a sei colonne: “Arrestati dall’antiterrorismo docenti e leader ultrà sotto l’accusa di insurrezione armata contro lo stato”. Sebbene nell’articolo si dica più volte che le indagini continuano a essere coperte dal massimo riserbo, di notizie ce ne sono parecchie. A differenza degli altri quotidiani il Corriere può offrire ai propri lettori una buona descrizione dell’operazione e un’attendibile lista degli imputati. Il Corsera fornisce anche, a firma di Walter Tobagi, un ritratto di Toni Negri: “Toni Negri, il profeta del rifiuto del lavoro”. Meno informata appare invece l’Unità che esce a sole due colonne: “Catena di arresti fra Roma e Padova di capi autonomi”. Da segnalare come l’organo del PCI, che non ha abbastanza notizie per imbastire un’apertura di maggior risalto, faccia tempo a inserire in fondo all’articolo un comunicato emesso dalla Federazione del PCI di Padova.
La federazione del PCI di Padova ha diffuso un comunicato in cui si afferma che “se gli sviluppi successivi di questa vicenda dovessero confermare la saldezza dei capi d’imputazione”, ciò vorrebbe dire che è stato assestato un duro colpo all’eversione, “con risultati positivi per il Paese e per una città come la nostra, da tempo luogo di sperimentazioni e di attuazioni delle tecniche del terrorismo diffuso. Ogni forza democratica — prosegue il comunicato della Federazione comunista — attendendo doverosamente il procedere dell’iter processuale per un giudizio più definitivo ha il compito di vigilare in questi giorni con più acuta sensibilità e costante attenzione perché tutti compiano il loro dovere fino in fondo e con chiarezza e perché i centri dell’eversione non possano innescare una reazione intessuta di provocazioni e violenze contro l’azione della magistratura”.
Poche righe che bastano a delineare la posizione che il PCI terrà sulla vicenda in futuro chiedendo alla società civile una mobilitazione attiva di tutti i “democratici”. Nonostante il formale omaggio ai tempi dell’iter processuali il giudizio emesso dal Partito comunista è già ben chiaro.
Spiazzato invece il Manifesto che dimostra tutti i suoi limiti sul terreno della cronaca. Una sola colonna, di spalla, che però ha il merito di centrare subito il problema: «Per Toni Negri — scrive il Manifesto — l’accusa è addirittura clamorosa: costituzione delle Brigate Rosse».
La prima settimana
Nei giorni seguenti i quotidiani tentano di chiarire la situazione. Per questa settimana di vicende si è preferito organizzare l’esposizione in stretto ordine cronologico in modo da comprendere in pieno l’escalation di accuse rivolte, a mezzo stampa, agli imputati.
Il 9 aprile i quotidiani riescono finalmente a riportare in modo soddisfacente le motivazioni dell’operazione. Il Corriere della Sera dispiega in toto quello che costituirà, almeno per il primo anno, il proprio apparato simbolico. Apertura a sei colonne, incentrata sull’accusa rivolta agli arrestati di essere “i capi delle Brigate Rosse” e il primo riferimento al delitto Moro. Cinque articoli in tutto che partono in prima pagina e girano in seconda. Il principale di cronaca è a firma di Antonio Ferrari. Un box, posizionato in centro alla pagina, spiega le motivazioni del provvedimento giudiziario (non un virgolettato bensì una sintesi che comprende anche pezzi virgolettati). Di spalla il primo fondo di Leo Valiani che esprime la posizione del Corriere sulla vicenda: “Difendere la democrazia prima che sia troppo tardi”. A metà pagina un articolo di Sandro Acciari che parla del coinvolgimento di Toni Negri nel delitto Moro e poi due articoli da Padova: uno di Walter Tobagi che parla delle reazioni degli Autonomi e uno di Giancarlo Pertegato sulla Padova centro del disegno eversivo.
L’Unità invece fa calare già a metà pagina l’argomento incentrando anch’essa l’attenzione sull’accusa rivolta a Toni Negri di costituire il direttivo delle Brigate Rosse. L’articolo di cronaca, da Roma, elenca al completo i capi d’imputazione, sottolinea le anticipazioni avute nei mesi precedenti e riporta le polemiche degli ambienti autonomi nei confronti del PCI che viene subito indicato come uno degli “sponsor” dell’operazione soprattutto in riferimento alle prossime elezioni di luglio. Assente dalle edicole, come ogni lunedì, il Manifesto.
Martedì 10 aprile la suddivisione della pagina è praticamente identica. Sul Corriere apertura a sei colonne “Toni Negri è accusato di aver gestito le trattative con la famiglia Moro per conto delle Brigate Rosse”. Sotto, in un box, l’intera trascrizione della telefonata ricevuta da Nora Moro il 30 aprile del 1978 di cui Negri è sospettato essere l’autore. E’ la telefonata con cui le Brigate Rosse comunicano alla signora Moro che solamente una dichiarazione in extremis di Zaccagnini potrà evitare l’esecuzione del Presidente del Consiglio. Una telefonata particolarmente drammatica. Il testo viene riportato esattamente al centro della pagina. Articolo di fondo, a tre colonne, di Luigi Barzini “Gli arrampicatori della rivoluzione”.
Più generica l’Unità, anche se bisogna sottolineare che l’argomento torna nel taglio alto della prima pagina occupandone esattamente metà: “Il Br che telefonava a Moro sarebbe uno degli autonomi”. In tutto sono quattro i pezzi dedicati alla vicenda. La cronaca strettamente giudiziaria da Roma (Sergio Criscuoli), le indiscrezioni da Padova (Massimo Cavallini), un altro articolo da Padova (Michele Sartori che poi seguirà fino in fondo la vicenda) che espone in sintesi quello che è il cosiddetto “Teorema Calogero”. Infine un fondo, non firmato, intitolato “Corvi elettorali”, che polemizza con quelle forze politiche (Lotta Continua, Democrazia Proletaria, i Radicali) che considerano il 7 aprile un’operazione del PCI. L’articolo di Sartori, che gira in seconda pagina, ricostruisce come gli inquirenti siano giunti a puntare gli occhi sulla situazione padovana. Ci sono tutti gli elementi del teorema Calogero compresa la supposta complementarietà tra le azioni di Autonomia e quella delle Brigate Rosse. L’Unità insisterà molto su questo elemento collegandolo anche alla pista nera che dal 1969 porta alla strage fascista di Piazza Fontana. In pratica le Br non avrebbero più operato in Veneto per lasciare spazio all’Autonomia: due facce della stessa medaglia, solo un cambio della guardia, a presidio del territorio. Lo dimostrerebbero anche i diversi collegamenti delle Br e dei Nap con la criminalità comune in Veneto.
Comincia a delineare la propria posizione in merito alla vicenda anche il Manifesto che incardina ancora il tema sulle prossime elezioni politiche. “Molta eccitazione elettorale intorno al blitz di Roma e Padova” apre il 10 aprile il quotidiano comunista. Due pezzi, uno da Roma e uno da Padova a firma di Tiziana Maiolo. L’articolo da Roma riporta le “voci” che fuoriescono dalla procura romana e i contenuti della conferenza stampa tenutasi nella redazione di Metropoli in cui Lanfranco Pace spiega che le posizioni politiche degli arrestati non sono assimilabili tra loro, mentre Pannella annuncia l’impegno legale dei Radicali nella difesa degli imputati. Da Padova Tiziana Maiolo descrive le reazioni che provengono dalla città e la richiesta che le prove, se ci sono, vengano rese pubbliche. Contando l’articolo di fondo, anche il Manifesto, come gli altri due quotidiani esaminati ha dedicato alla vicenda metà della prima pagina. Il 10 aprile anche Il Giornale dedica due pagine intere all’inchiesta. Dargli un’occhiata è interessante per vedere come viene vista questa “guerra a sinistra” dal campo opposto. Le pagina principale è costruita con un titolo di testa a nove colonne che copre e racchiude tutti gli altri articoli “Fu Negri a telefonare a casa Moro?” e, nel sommario, “Autonomia: è una manovra elettorale del PCI”. Sono tre i pezzi racchiusi da questo titolo. “Indovina chi sale in cattedra”, con la posizione del Giornale sull’Autonomia (riassumendo: «fanatici che andavano fermati ben prima»), la cronaca da Padova che parla di “Milleottocento intercettazioni” e un articolo di Federico Orlando, “Uno «stock» di docenti noti da sempre alle questure”, che si chiede cosa abbia fatto traboccare il vaso proprio ora. La pagina è arricchita anche da una vignetta che raffigura un uomo seduto in cattedra con un libro aperto e il moschetto sulle spalle. La didascalia recita: “Libro e moschetto/ terrorista perfetto”. A pagina 4 invece quattro articoli di approfondimento: “Gli autonomi accusano tutti dichiarandosi vittime di un complotto”; “Chi sono Negri il teorico e Scalzone il tribuno”; “Forse tra le carte di Alessandrini i nomi degli esponenti di Autonomia arrestati” e “Altre due notti di attentati a Roma”.
Mercoledì 11 aprile è il giorno in cui i quotidiani riportano la notizia che Sandro Pertini, Presidente della Repubblica, si è pubblicamente congratulato con un telegramma con i magistrati. Il Corriere divide esattamente in due metà la prima pagina sotto il titolo “Pertini si congratula con i magistrati, Negri interrogato per cinque ore”. Il telegramma di Pertini ad Aldo Fais sembra quasi una risposta al suo appello (“Siateci vicini”) pubblicato dal Corriere due giorni prima. Spunta sulla scena anche l’idea di sottoporre il nastro della telefonata a casa Moro a una perizia fonica per stabilire se la voce è veramente quella di Negri. Poi un articolo da Padova, “Oggi a Padova gli autonomi in Piazza”, che sembra prefigurare una reazione violenta di Autonomia agli arresti. In fondo due pezzi: “L’incerto confine tra idee e istigazione” di Aldo Sandulli, ex presidente della Corte costituzionale, e un pezzo che riporta “Commenti pro e contro sui provvedimenti giudiziari”. Di spalla un articolo di fondo non firmato “Né mostri, né martiri” in cui si invita l’opinione pubblica a non schierarsi né con i colpevolisti né con gli innocentisti in attesa delle prove. Incastrato tra la metà pagina dedicata al “7 aprile” un box, “Irruzione in una sede Dc Le Br rubano l’archivio”. Quasi stessa suddivisione di pagina anche per l’Unità che dedica al 7 aprile la metà destra della prima pagina. Articolo principale di Michele Sartori: “Negri interrogato per 4 ore, Le prove nel suo archivio?”. L’inchiesta di Padova per l’Unità è incentrata sui collegamenti “BR-Autonomia”. L’articolo di Sartori parla dell’archivio “segreto” di Negri. Sempre in prima pagina un fondo, senza firma, intitolato “Il ricatto di Piperno” e un articolo sul telegramma di Pertini che riporta anche le reazioni di Mancini del PSI e l’elogio di Norberto Bobbio al Negri studioso (“uno studioso serio e profondo”) che sostiene non si possa collegare a una qualsiasi prassi politica. Infine una nota a fondo articolo: «Sulla vicenda hanno anche rilasciato dichiarazioni ad agenzie i compagni deputati Cacciari e Trombadori: esse espongono opinioni personali che non rispondono alle posizioni del PCI». Nota che, oltre a confermare l’esistenza di una posizione ufficiale del PCI, indica l’importanza che viene data alla vicenda, tanto che il PCI non intende correre il pericolo che le dichiarazioni di due deputati vengano scambiate con quelle ufficiali del partito. Il fondo sulle dichiarazioni di Piperno dall’estero tenta invece di interpretare le affermazioni del professore come prova di colpevolezza. Al 7 aprile l’Unità dedica anche tutta la seconda pagina. Da segnalare un ritratto dell’itinerario intellettuale di Negri a firma di Duccio Trombadori, “L’orrida filosofia del sabotaggio”, una polemica con Il Giornale, e il box (come il Corriere) sull’irruzione delle Br in una sede DC.
Mercoledì 11 è anche il giorno in cui Il Manifesto prende definitivamente posizione. L’articolo principale, a firma Maiolo, riporta esito dell’interrogatorio e reazioni della difesa: “Contestano a Toni Negri i suoi scritti. Moscacieca, diversivo o avventura politica? Moro aspetta l’inchiesta parlamentare”. L’articolo denuncia che durante gli interrogatori al professore padovano sarebbero stati contestati solo gli articoli. La linea del Manifesto è dettata dal fondo “Per favore le prove” che richiede alla magistratura di esibire prove proporzionate alle accuse.
Giovedì tutti i giornali, tranne il Manifesto, sono assenti dalle edicole per uno sciopero nazionale dei giornalisti. Il quotidiano torna sulla vicenda con un editoriale di Pintor e un articolo della Maiolo che rende conto degli interrogatori agli altri imputati.
Venerdì 13 aprile i quotidiani parlano di una bomba esplosa a Thiene che ha dilaniato tre autonomi che la stavano confezionando. La notizia entra di prepotenza nella cronaca del 7 aprile accomunando i due fatti. Il Corriere apre a sei colonne: “Tre autonomi dilaniati da una loro bomba, Alessandrini indagava su Negri e Scalzone”, un articolo di Antonio Ferrari. Il riferimento che anche il giudice Alessandrini, ucciso il due gennaio dello stesso anno dai terroristi di Prima Linea, stesse indagando su Negri è la vera “notizia bomba” del giorno. Una vicenda che si intersecherà in maniera perversa (fino all’arresto di una giornalista) con la carta stampata. La rivelazione viene appoggiata da un articolo ad hoc di Sandro Acciari che si chiede “Che cosa sapeva il giudice ucciso?” che insinua velatamente (solo nel titolo per la verità) che Alessandrini, che aveva aperto un’indagine conoscitiva su Autonomia, possa essere stato eliminato per volontà degli stessi leader di Autonomia operaia. A reggere poi l’ampio spazio dedicato alla vicenda ci sono un fondo di Leo Valiani “Che i giudici possano lavorare senza ricatti”, un articolo di pura cronaca giudiziaria da Padova di Antonio Ferrari, “Il professore incriminato trasferito oggi o domani a Roma sarà interrogato dal giudice che conduce l’inchiesta Moro”. A fondo pagina un’analisi di Vittorio Strada sull’evoluzione del pensiero marxista “I velenosi amici della classe operaia” offerta come approfondimento e infine un articolo di Walter Tobagi sull’assemblea degli autonomi a Padova: “Nell’assemblea degli autonomi. Noi rispondiamo: insurrezione”.
La notizia dell’esplosione di Thiene viene collegata dall’Unità a doppio filo con l’inchiesta di Padova. Sotto il medesimo occhiello “Nuovi episodi rafforzano le accuse ai gruppi eversivi” sono riportate sia la cronaca della tragedia di Thiene che le novità che emergono dall’inchiesta padovana. L’articolo di Michele Sartori parla di “interrogatori a ritmo intensissimo”. In realtà in questi giorni, come si può desumere dai verbali, Calogero si sta limitando a contestare agli imputati le accuse. Gli imputati dal canto loro hanno deciso di non rispondere alle contestazioni. «Alla fine solo un breve commento di Aldo Fais: “Calogero è soddisfatto dall’andamento degli interrogatori. Le cose stanno andando bene dal nostro punto di vista”», scrive l’Unità. Il quotidiano accenna anche all’acuirsi della tensione tra gli ambienti autonomi e la carta stampata cui vengono rivolte (soprattutto alla stampa comunista) aperte minacce.
Un gravissimo comportamento degli autonomi che al palazzetto hanno preteso di far entrare i giornalisti solo a precise condizioni: un elenco di nomi, cognomi e indirizzi, la firma dei rappresentanti della stampa su un documento di solidarietà con gli arrestati e ad ogni modo l’esclusione a tutti i costi — affermando che non sarebbe stata garantita loro l’incolumità fisica — di alcuni giornalisti del Gazzettino, dell’Unità, dell’Avanti e di Paese Sera. A questo punto, ovviamente, nessuno fra le decine di cronisti e inviati presenti ha accettato di entrare.
Un episodio che contribuirà a far crescere la tensione con la stampa e può aver avuto il suo effetto sulla copertura di tutte le posizioni in campo. Tra gli episodi rivelati dall’Unità, oltre al fatto che anche Alessandrini stava indagando sugli autonomi, anche la notizia che Potere operaio nel 1971 avrebbe discusso del rapimento di personaggi di spicco come l’avvocato Agnelli e Fanfani. L’articolo di fondo, a due colonne, “Criminalizzare la politica?”, è sintomo della tensione politica che accompagna la vicenda: il PCI si sente accusato da più parti di essere sponsor dell’iniziativa giudiziaria. Il giorno precedente a Roma, durante una manifestazione di autonomi, la sua sede ha subito un vero e proprio assalto. L’attacco, secondo l’organo del PCI è dovuto proprio all’assoluta intransigenza del “maggior partito operaio” nei confronti del terrorismo e della violenza politica. Cosa che invece non accomuna, continua l’editoriale, gli altri due grandi partiti, la DC e il PSI. Il PCI si propone come partito “forte”, unico capace di far argine allo “squadrismo” e poter salvare la democrazia.
Sabato 14 aprile, è l’ora del giornalista Pino Nicotri, accusato di essere il professor Niccolai che telefonò a casa del professor Tritto durante il sequestro Moro. “Accusato un altro degli arrestati di Padova di essere un telefonista del caso Moro”, titola il Corriere. E nell’occhiello “Si fanno insistenti le ipotesi su un brigatista che ha vuotato il sacco”. Sandro Acciari nel suo pezzo, “Sono 150 i terroristi ricercati in tutta Italia”, (ma non sono tutti collegati al 7 aprile), informa, con un tono di sorpresa, che la famiglia Moro non ha ancora (a una settimana dall’arresto) deciso di costituirsi parte civile contro Toni Negri.
L’Unità, oltre a riportare la notizia che riguarda Nicotri, fornisce una clamorosa ricostruzione del modo in cui il giudice Emilio Alessandrini riconobbe la voce di Toni Negri per quella del telefonista a casa Moro. I due si incontrarono a cena a casa del giudice Antonio Bevere circa un anno prima proprio nei giorni in cui era in pieno svolgimento il sequestro Moro. L’articolo di Ibio Paolucci fornisce una ricostruzione così dettagliata sul fatto che Alessandrini fosse convinto che quella era la voce di Negri che sembrano non poterci essere dubbi.
(9-CONTINUA)