[Il 9 giugno di quest’anno, dopo una lunga resistenza, il Laboratorio sociale occupato PAZ di Rimini è stato sgomberato, da una giunta di centrosinistra accecata dal mito ormai universale della “legalità”. “Legalità” che nessuno si sognerebbe di imporre allo spietato sfruttamento su cui si regge l’industria delle vacanze nella riviera romagnola. Per fortuna il PAZ non si è lasciato tacitare, e ha condotto questa inchiesta, a nostro avviso straordinaria.]
La sicurezza dello sfruttamento
Gli strumenti di analisi. Ovvero la narrazione dello sfruttamento Per affrontare un discorso serio e realistico sullo sfruttamento delle lavoratrici straniere stagionali nel territorio della riviera romagnola, era necessario creare una sorte di ponte per aprire un “varco”, ovvero una comunicazione diretta con le stesse lavoratrici/lavoratori del mercato turistico.
Da qui l’idea di scegliere i mercati serali di Cesenatico come luogo d’incontro nell’ottica di un approccio informativo sui diritti negati nel mondo del lavoro turistico.
Gli incontri sono avvenuti due volte alla settimana verso le ore 22 lungo le strade del mercato a ridosso dei luoghi di sfruttamento: ovvero gli alberghi.
Inizialmente siamo stati affiancati da Viorica un’amica romena di una compagna del Paz conosciuta a Cesenatico quattro anni fa in albergo dove entrambe lavoravano come cameriere ai piani. Il suo aiuto è stato fondamentale perché ci ha presentato a diverse connazionali che già conosceva.
Viorica, ha rappresentato una garanzia per tutte coloro che mostravano timore e diffidenza nel parlare dei loro problemi a persone considerate altre ed estranee.
Con l’aiuto di volantini tradotti in romeno che illustravano la tabella delle tariffe salariali contemplate nel contratto nazionale per i lavoratori stagionali del settore turistico, abbiamo cercato di far capire che era possibile attivare una vertenza sindacale per ottenere una giusta retribuzione, dal momento che lo stipendio di una lavoratrice/lavoratore comunitario si aggira sui 1000 euro mensili per 13 – 14 ore giornaliere di lavoro, senza giorno di riposo.
Ciò che è emerso da questi incontri è la paura ed il timore di perdere il posto di lavoro dopo un’eventuale vertenza sindacale: “Dopo tutto 1000/1200 euro al mese rappresentano un buon stipendio per una romena, e se per assurdo lo stipendio romeno si equiparasse a quello italiano, gli albergatori tornerebbero ad assumere personale solo italiano e per noi non ci sarebbe più posto”.
Va detto che queste donne, fino a due anni fa, quando la Romania era un paese non comunitario, erano totalmente nelle mani di aguzzini italiani e romeni, che senza scrupoli chiedevano 700/800 euro per un contratto di lavoro. I contatti avvenivano nel luogo di origine, e la trattativa coinvolgeva la lavoratrice, “l’aguzzino/mediatore” romeno, “l’aguzzino/mediatore” italiano e l’albergatore.
La lavoratrice entrava in Italia con tutti i documenti necessari in regola, vale a dire: contratto di lavoro ed il visto dell’ambasciata italiana; poi veniva consegnata ad un “terzo” che l’accompagnava alla questura per ritirare il permesso di soggiorno. È chiaro che il condizionamento subito da tutti questi soggetti sia italiani che romeni è stato talmente forte da impedire, ancora oggi, di muoversi in maniera autonoma nel rapporto con il datore di lavoro, e soprattutto nell’ottica di una giusta retribuzione, dal momento che la paga odierna è ancora quella che i vari soggetti imponevano.
Il ruolo dei mediatori. La tratta di mano d’opera neocomunitaria a basso costo
Oggi il ruolo degli “mediatori/aguzzini” romeni ed italiani si è ridimensionato con l’entrata della Romania nell’Unione Europea, sia perché molte di coloro che hanno esperienza tornano nei luoghi di lavoro già frequentati senza più bisogno di figure che si interpongano nella trattativa; mentre differente è la situazione per quelle lavoratrici/lavoratori comunitari alla prima esperienza ancora dentro il meccanismo di una vera e propria tratta transnazionale.
Il grosso problema rimane ovviamente anche per tutte quelle lavoratrici non comunitarie, soprattutto quelle lavoratrici e lavoratori provenienti dal territorio dell’Africa subsahariana che sono fortemente criminalizzate e discriminate per il colore della loro pelle.
Dall’informazione alle storie di vita.Il realismo dello sfruttamento
Col passare dei giorni gli incontri si sono intensificati, tant’è che il nostro ruolo non è stato più solo quello di un approccio di tipo informativo/legale, determinato dalla distribuzione delle tabelle salariali di categoria tradotte in rumeno, ma anche quello di raccogliere, attraverso la narrazione, le testimonianze delle svariate forme di sfruttamento. Perciò la storia di “Maria” e quella di “Viorica” e di “Anna” e ti tante altre donne.
Questi incontri ci hanno dato la possibilità di conoscere una realtà locale guardando oltre quell’immagine stereotipata dei lustrini e del divertimento che il nostro territorio offre ai turisti, uno sguardo altro e un approccio umano verso il problema del lavoro stagionale e dei molteplici rivoli di sfruttamento e di assenza di tutele che questo particolare dispositivo di accumulo capitalistico del nostro territorio rappresenta.
Dall’altra parte queste donne hanno avuto la possibilità di rompere il muro del silenzio, condizione necessaria per riuscire a scalfire quel muro innalzato da una sorta di clan mafioso italiano ed estero che gestisce il mercato della forza lavora neocomunitaria, quella maggiormente ricattabile e sfruttabile. Alcuni operatori di categoria hanno consegnato il nostro paese alle varie mafie che gestiscono il flusso transnazionale di lavoratori comunitari fin dai paesi di origine, solo per vedersi ingrossare il loro portafoglio.
A questo punto non bastava solo raccogliere testimonianze da parte delle lavoratrici stagionali sulla loro condizione di sfruttate e umiliate, occorreva una analisi e una maggiore conoscenza del fenomeno per un approfondimento, se non esaustivo quantomeno realistico, dei meccanismi che soggiacciano questa forma di sfruttamento, ex ante, in itinere, ex post.
Come fare?
Abbiamo deciso di conoscere questo ambito attraverso la registrazione e l’analisi di alcune telefonate ad albergatori ed associazioni di categoria che ci hanno permesso di ricostruire la struttura che alimenta e sostiene questo vero e proprio mercato della forza lavoro stagionale.
Inchiesta telefonica. Primo scenario ricostruito: I controlli INPS
Spacciandoci per albergatori, abbiamo inscenato una situazione tipo, che potesse essere il più possibile credibile, in modo tale che l’interlocutore telefonico (albergatore) ci raccontasse il meccanismo di tam tam fra i vari operatori ogni qual volta ci sono i controlli degli ispettori INPS. Spacciandoci come “signora X”, titolare dell’ “hotel X” di Cesenatico o Rimini, abbiamo chiamato al telefono il signor X proprietario dell’hotel X, raccontando di aver avuto visita da parte degli ispettori INPS.
Naturalmente la telefonata aveva come finto scopo quello di avvertirlo. È, infatti, buona consuetudine, e rappresenta “solidarietà” da parte degli albergatori avvertire telefonicamente i colleghi allorché si presentano queste situazioni, perciò il signor X non ha avuto nessuna riserva a ringraziarci dell’informazione e a dirci che avrebbe avvertito tutto il personale a prepararsi a raccontare, come da copione il falso ovvero: “lavoro 6 ore 40 minuti al giorno ed ho un giorno libero”.
Con lo stesso copione abbiamo chiamato il signor Y proprietario dell’hotel Y, il quale non prima di averci infinitamente ringraziato, si apprestava anch’esso ad avvertire il personale. Va aggiunto che le lavoratrici sia straniere che comunitario o italiane subiscono una forte pressione psicologica da parte dell’albergatore quando si tratta di essere interrogate dagli ispettori dell’ INPS.
Questo avviene sia prima di essere assunte che durante l’intero periodo di lavoro.
Secondo scenario ricostruito: serve manodopera. Ecco i mediatori
In veste di albergatori abbiamo chiamato alcune associazioni di categoria. Anche in questo caso abbiamo inventato una situazione tipo. Abbiamo chiamato fingendoci la “signora Z” dell’ “hotel Z” che cercava un mediatore che potesse procurarle personale romeno a basso costo e già preparato, l’operatrice che ci ha risposto non ha avuto alcun problema nel dettarci il numero telefonico del signor G collaboratore di alcune associazioni di categoria.. Abbiamo chiamato il sig. G chiedendo informazioni sull’assunzione di personale romeno a basso costo, nonché sull’affidabilità e la preparazione in caso di controlli INPS. Il sig. G ci ha assicurato che il personale, da lui trattato, è stato ben addestrato a rispondere agli ispettori INPS e ad adeguarsi allo stipendio relativamente basso per il monte ore di lavoro.
Sempre all’interno dello stesso argomento abbiamo telefonato al signor M. Il sig. M lavora presso una ditta che tratta il commercio di pesce e di altro genere alimentare e si occupa personalmente delle consegne presso gli hotel. Questo gli ha permesso di svolgere l’attività di mediatore diretto, per la tratta delle schiave romene, con gli albergatori. Purtroppo il sig. M è stato l’unico che si è rifiutato di parlare di certe cose al telefono: “è meglio vedersi di persona non si sa mai chi ci possa ascoltare!”.
Le telefonate sono tutte state registrate.
Per riassumere.I mediatori. Ovvero chi recluta mano d’opera sfruttata e ricattabile
Nel corso di queste indagini telefoniche fatte ad alcune associazioni di categoria e albergatori del territorio della riviera romagnola, sono emerse tre figure che ricoprono il ruolo di mediatore e due agenzie che hanno sede una a Bellaria e una a Riccione.
I mediatori sono due italiani residenti rispettivamente a Cesenatico e a Rimini, e un romeno residente a Cluj in Romania.
Questi signori si sono spartiti il tratto di costa da va da Cervia a Riccione procurando personale agli albergatori, accertandosi che lo stesso personale fosse addestrato e consapevole della bassa remunerazione economica nonostante il monte orario di lavoro.
Il mediatore residente a Rimini gestisce due agenzie di reclutamento in Romania, mentre in Italia collabora con varie associazioni di categoria e non ha una sede fisica propria in loco, per cui è possibile contattarlo solo telefonicamente e solo in seguito incontra i propri fruitori direttamente negli alberghi interessati.
Il mediatore di Cesenatico non ha agenzie né qui, né in Romania, e come il precedente viene contattato telefonicamente dagli albergatori. Collabora con le associazioni di categoria, ma è l’unico che si è rifiutato di parlare di affari al telefono.
La terza figura è un romeno che ha due agenzie di reclutamento in Romania, ha un’agenzia di trasporti che utilizza per far arrivare il personale in Italia, non ha agenzie in Italia, e collabora con le associazioni di categoria.
Abbiamo potuto appurare che le tre persone si conoscono.
I costi della tratta finalizzata allo sfruttamento nel mercato lavorativo del turismo
Le lavoratrici e i lavoratori romeni, quando la Romania era paese non comunitario, dovevano pagare, a questi signori, 700-800 Euro per ottenere un contratto di lavoro: nella cifra era compreso l’espletamento della pratiche burocratiche e relative al visto rilasciato dall’Ambasciata Italiana, e dal permesso di soggiorno consegnato dalla Questura una volta entrati in Italia. L’albergatore doveva pagare a questi fantomatici mediatori dalle 200-300 Euro per ogni persona assunta.
Ora che la Romania fa parte dell’Europa Unita, i lavoratori romeni che si rivolgono ai mediatori pagano 300-400 Euro, mentre la tariffa per gli albergatori va dai 100 ai 200 Euro.
Va ricordato che il contratto di lavoro che viene stipulato dal datore qui in Italia è l’unico che ha valore legale, tutto ciò che viene firmato al di fuori di questo rapporto non ha alcun valore. A ciò si aggiunge che dopo i tre mesi di duro lavoro stagionale all’interno degli alberghi/bar/ristoranti della costa romagnola, queste persone vengono riaccompagnate o meglio rimpatriate in Romania, non avendo nemmeno potuto adempiere alla necessaria iscrizione anagrafica presso i vari Comuni, iscrizione anagrafica che garantisce il diritto sia all’assistenza sanitaria, sia alla disoccupazione, nonostante il contributo in termini di lavoro e di tasse versate allo “STATO”.
Quando si parla di sicurezza che almeno la sicurezza abbia un volto, quello degli sfruttati, di chi rischia la propria vita ogni giorno per sopravvivere, di chi per lavorare si ammala o muore. Di chi sotto il velo della legalità lucra e crea nuove mafie. Questo è il vero volto dell’abusivismo. Parlare di altro è fingere, perché l’essenziale è invisibile agli occhi.
Riflessioni conclusive
Quello che ha caratterizzato maggiormente la riviera romagnola negli ultimi anni e che ogni semplice turista non può fare a meno di notare, è sicuramente la militarizzazione della spiaggia. Una presenza massiccia ed asfissiante delle forze dell’ordine tra gli ombrelloni, elicotteri della polizia che sorvolano continuamente l’arenile, quad e jeep che hanno scambiato la battigia per un’autostrada, ronde di volontari paramilitari decisi a combattere ad ogni costo il vero ed unico nemico dell’estate romagnola: il venditore ambulante. Si sono aggiunti anche gli ulteriori strumenti del controllo e della detenzione “a cielo aperto”, gli spray urticanti al peperoncino. Una guerra a bassa intensità, assurda ed incomprensibile, asservita alle volontà delle lobby che governano questo territorio: i commercianti e gli albergatori.
Mentre in città si discute di progetti urbanistici stratosferici e miliardari per rivoluzionare il lungomare, magari con ulteriore cemento e grattacieli, la maggior parte degli alberghi non hanno mai subito interventi di ristrutturazione, ammodernamento, messa in sicurezza nonostante cadano a pezzi, come quello di poche settimane fa a Rivazzurra, l’Hotel Venere. Ciò è avvenuto con il silenzio quasi totale degli amministratori e senza assumere alcun rilievo sulla stampa nazionale, per un fatto che, di certo, avrebbe potuto avere conseguenze tragiche, sia per i turisti che per i lavoratori dell’albergo, ma che non avrebbe fatto pubblicità alla riviera e alla sua stereotipata immagine di lustrini e divertimento.
La situazione drammatica, che tutti conoscono ma che nessuno vuol vedere e di cui nessuno vuole parlare, è quella dello sfruttamento del lavoro stagionale. Il turismo nella riviera romagnola si regge sulle spalle di migliaia di lavoratori e lavoratrici “invisibili”, perlopiù romeni, che ogni anno vengono assunti parzialmente in regola, con contratti “grigi” part time, per lavorare, in realtà, dalle dieci alle quattordici ore giornaliere, senza neanche un giorno di riposo, con uno stipendio mensile di 1000/1200 euro, ovviamente senza alcun diritto o tutela sindacale e con la minaccia e la paura costante del licenziamento.
Lo scenario che oggi si profila e che abbiamo ricostruito anche grazie ad una mini inchiesta che sarà approfondita nei prossimi mesi dal nostro collettivo politico, è ancora più tetro e agghiacciante: una filiera di rapporti, di reti, che coinvolgono direttamente albergatori, associazioni di categoria e mediatori assoldati a tale ruolo, che creano canali per una vera e propria tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento stagionale all’interno del mercato turistico della riviera romagnola, da Cesenatico a Cattolica. Sono state costruite ed implementate, e non sono nemmeno troppo occultate, catene schiavistiche transnazionali per “l’importazione di manodopera addestrata” dai paesi comunitari (principalmente della Romania), manodopera addestrata per avere sempre la certezza di personale sempre più ricattabile, a basso costo e senza alcuna tutela. Gli stessi cittadini comunitari romeni che hanno occupato le cronache degli ultimi mesi e sono stati etichettati con tutti i possibili e svariati aggettivi spregiativi e denigratori, i delinquenti numero uno da espellere contro il degrado delle città italiane, in realtà l’anello debole dell’Europa fortezza, il capro espiatorio delle false paure immessi poi nel mercato dello sfruttamento.
Questa è la vera insicurezza, questa è la vera piaga dell’estate romagnola.
Siamo stanchi delle menzogne e delle logiche che producono false paure e nascondono le vere illegalità, come lo sfruttamento stagionale dei lavoratori comunitari, e ci rivolgiamo a quei cittadini in movimento, coloro che si adoperano oggi in tanti settori e realtà del volontariato, dell’associazionismo, delle vertenzialità dal basso, convinti che al di fuori dei palazzi, che rappresentano quel potere sempre più efferato, sia possibile costruire vertenze e coscienze per risollevare le sorti di questa città insieme a chi subisce l’altra faccia del turismo e del vero abusivismo, questo si, commerciale.
Bisogna avere il coraggio di indignarci e di dire basta a un’economia e a un processo di accumulazione capitalistica che fonda il suo benessere e il suo nutrimento sullo sfruttamento delle persone, dei lavoratori e delle lavoratrici comunitari che ogni estate producono la ricchezza di questo territorio.