di Tito Pulsinelli
Ingrid Betancourt ha potuto finalmente parlare da cittadina libera al mondo, e l’ha fatto con un discorso che aveva il tono di una futura candidata presidenziale. Nel gruppo degli ex prigionieri, gli undici sottufficiali militari e poliziotti vestivano abiti civili, Betancourt era l’unica civile e indossava una uniforme militare.
Nel corso della lunga conversazione televisiva, accompagnati dal Presidente Uribe e dai generali dello stato maggiore delle forze armate, sono emersi vari dettagli di un puzzle che — passato l’effetto ipnotico dell’entusiasmo del primo impatto – presenta elementi che non collimano con la versione ufficiale.
L’aspetto fisico degli ostaggi liberati (rilassati, ben rasati e pettinati) indica che non hanno recuperato la libertà ieri, ma alcuni giorni fa. Quanti? Quando sono scesi sulla pista dell’areoporto militare di Tolemaida, i tre mercenari statunitensi non facevano parte del gruppo, e accanto al comprensibile trionfalismo del ministro della difesa Santos, le dichiarazioni dei liberati erano sorprendentemente coerenti.
Tutte convergenti nel mettere in risalto la débâcle della FARC, però nessuno forniva dettagli che rischiarassero la dinamica reale dell’operazione militare appena terminata.
La versione ufficiale parla di due guerriglieri che vigilavano il gruppo dei quindici a bordo dell’elicottero, neutralizzati dai quattro componenti dell’equipaggio.
Ingrid Betancourt è stata l’unica a parlare in maniera più specifica e dettagliata dei fatti. Ad una delle domande ha detto del suo stupore quando si è trovata a bordo dell’elicottero bianco e senza insegne, e della paura che si trattasse di una ennesima disillusione. In particolare, ha temuto il peggio perché alcune magliette con l’effige di Che Guevara, indossate dagli uomini a bordo, non corrispondevano all’apparenza di quella che doveva essere una “commissione internazionale”. Questo è il punto principale.
Alcuni giorni fa, in effetti, era stato annunciato ufficialmente l’arrivo in Colombia di un gruppo di negoziatori inviati dalla Francia e dalla Svizzera. Inoltre, un mese fa, Sarkozy aveva inutilmente inviato un aereo militare, ripartito poi senza la Betancourt.
Non c’è dubbio che la FARC non avrebbe vigilato il gruppo più importante dei suoi ostaggi — vale a dire quello con il potenziale di maggiore valore di scambio – con solo due suoi uomini armati. C’era una trattativa in corso, ed erano convinti che si trattasse di una “commissione internazionale” arrivata a prelevare i prigionieri per trasferirli in altra località. O per riunirli con altri ostaggi che facevano parte dello scambio, oppure per un’altra liberazione unilaterale. Simile alle precedenti, avvenute con la mediazione del Venezuela.
Questa affermazione non è unicamente deduttiva: collima con altri frammenti del puzzle emersi dalle versioni del ministro Santos, dei generali e della stessa Betancourt.
Non è stato necessario usare le armi da fuoco perché la guerriglia era erroneamente convinta di avere a che fare con negoziatori neutrali.
L’elicottero bianco si è levato in volo e sono rimasti a terra il resto dei guerriglieri (una sessantina), risparmiati per non mettere a repentaglio il successo dell’operazione e — soprattutto – l’incolumità della Betancourt e dei tre mercenari nordamericani.
L’iniziativa vincente dei servizi segreti militari della Colombia e degli Stati Uniti si è inserita nei margini di manovra di una trattativa. Ha poi agito come un cuneo sulla struttura guerrigliera, sofferente per i ripetuti cambi forzati avvenuti in una linea gerarchica finora ossificata.
Non si tratta solo del superiore potere della tecnologia elettronica, ma di un ribaltamento sorprendente: gli ostaggi si trasformano in una palla al piede. Non danno nessun potere contrattuale, si sono trasformati in un moltiplicatore di vulnerabilità. Acutizzato da una incessante iniziativa di pressione diversificata, che combina elementi differenti, come il pugno di ferro e la dubbia disponibilità alla trattativa, contrapposta a una logica statica, reiterativa e ristagnante.
La liberazione della Betancourt non ha fruttato nessun vantaggio politico ai guerriglieri e – come in precedenza quando i negoziati li dirigeva Raúl Reyes – la disponibilità a trattare li ha paradossalmente trasformati in bersaglio relativamente facile. In Ecuador con bombe e tecnologia militare che l’esercito colombiano non possiede, in questo caso con un colpo di mano beffardo e cocente.
Il gruppo dei 15 non è stato liberato ieri, proprio perché si è trattato di una operazione minuziosamente pianificata, che riporta alla memoria l’intervento dei commandos israeliani all’aeroporto di Entebbe. Qui, invece, c’è un intervento che ha stornato l’iniziativa di una “commissione internazionale” finalizzata a uno scambio umanitario (o liberazione unilaterale) per trasformarla in un indubbio successo militare di Bogotà, basato sulla “non-violenza”.
La sua pianificazione ha consentito la presenza in Colombia del candidato repubblicano McCain e la riscossione di un dividendo prezioso per la corsa presidenziale negli Stati Uniti. Ha incassato in moneta forte Uribe, debilitato dallo scandalo della narcopolitica che vede in carcere il 25% dei deputati, e dallo scontro aperto con il potere giudiziario. Ha messo vento alle vele di Sarkozy che può esibire un successo spendibile sul fronte interno, ma presto dovrà fornire qualche dettaglio in più sulla missione umanitaria che patrocinava congiuntamente alla Svizzera.
Prende alta quota Ingrid Betancourt, e con le sue dichiarazioni patriottiche e di aperto sostegno alle forze armate e alle operazioni di riscatto anche a mano armata, si proietta più che mai come una candidata che può competere per la presidenza e complicare la rielezione di Uribe. Oggi è quotata con un 25% di intenzioni di voto.
Mentre si ignora se la “commissione internazionale” della Svizzera e della Francia sia ancora in territorio colombiano, i tre “contrattisti” statunitensi hanno anticipato che sono in vendita i diritti per la trasposizione allo schermo della loro prigionia nella selva.