di Chiara Cretella
[Dopo la prefazione alla Teoria dell’insurrezione di Emilio Lussu, che Carmilla ha pubblicato pochi mesi fa, Chiara Cretella ci manda questo ricordo della moglie di Emilio, Joyce, antifascista altrettanto impavida, intellettuale brillante ed eccezionale figura di rivoluzionaria.] (V.E.)
E’ bello sentire parlare di Emilio Lussu, oggi che probabilmente le ultime generazioni non conoscono neanche più il suo nome. Ma ancor più bello sarebbe sentir parlare di sua moglie, Joyce Lussu, partigiana definita “leggendaria”, guerrigliera, traduttrice, letterata, storica, ecologista e molto altro.
Joyce Lussu Salvadori, nata da genitori marchigiani progressisti — il padre era stato il primo allievo di Spencer —, ha studiato filosofia ad Heidelberg fino all’avvento del nazismo. Ha continuato gli studi anche in clandestinità, a Parigi e Lisbona. Testimone eccezionale dei maggiori avvenimenti del Novecento, spinta da Croce a scrivere poesie, la Lussu non si lascia indirizzare nelle categorie di una poesia d’evasione, ma dedica l’intera sua vita alla lotta, unendo con rara maestria un’instancabile lavoro d’azione ad una raffinata ricerca teorica e politica. Nella vita fa veramente di tutto: l’operaia in Africa, la donna di servizio, l’istitutrice a Bengasi, il servizio militare in Inghilterra, la clandestina in Francia, l’insegnante e la guerrigliera; attraversa fronti e frontiere e si specializza in evasioni e documenti falsi. Percorre luoghi lontanissimi, stringendo rapporti con Mao, Ho Chi Min, Castro, Cabral, Mandela e molti altri. Porta per prima in Italia le poesie di Hikmet — nonché quelle di Ho Chi Min e delle Black Panthers, inoltre traduce poeti guerriglieri dei popoli e delle minoranze vessate dal colonialismo. Organizza la rocambolesca evasione della moglie e del figlio di Hikmet agli arresti in Turchia. In vecchiaia non cessa di scrivere e si ritira nella sua tenuta marchigiana — una sorta di comune della pace — insegnando un nuovo metodo di didattica della storia nelle scuole. Talmente vasta è la sua esperienza esistenziale che essa è divenuta paradigmatica di tutta la sua opera, ampiamente autobiografica.
Attivissima nel movimento pacifista, la Lussu si è attenuta alla massima dell’amato Hikmet, che per prima ha reso celebre: “Non vivere su questa terra / come un inquilino / oppure in villeggiatura / nella natura / vivi in questo mondo / come se fosse la casa di tuo padre / credi al grano al mare alla terra / ma soprattutto all’uomo”. Per questo il suo impegno è sempre stato locale e globale insieme (dall’ipotesi di un ripristino delle antiche comunanze picene fino al sostengo alle lotte anticoloniali e alle battaglie per l’acqua; dalla sua Storia del Fermano alla sua Storia dell’Angola).
In questi ultimi anni, dopo la morte di Joyce (1998), alcuni piccoli gruppi di donne stanno cercando di non disperdere il suo impegno civile e umano, approfondendo i molti testi che ci ha lasciato e studiando la sua straordinaria biografia. Joyce Lussu è stata sicuramente una delle donne più importanti del nostro Novecento, ma paga lo scotto della sua femminilità e forse anche di un marito eccellente: per questo una pesante rimozione l’ha praticamente cancellata sia dai libri di storia che da quelli di storia della letteratura. Come se non bastasse i suoi testi meravigliosi e attualissimi non vengono ristampati e sono ormai introvabili. Grazie all’impegno di Vittoria Ravagli, si è recentemente svolto un convegno dal titolo: Joyce Lussu, Sibilla del Novecento che si è tenuto presso il Borgo di Colle Ameno a Sasso Marconi il 17 novembre 2007. Ora escono gli atti di quella esperienza, per riaccendere l’interesse sulla su figura propongo un breve estratto del mio intervento, incentrato sull’attività politica di Joyce.
«LA CULTURA E LA COSCIENZA POLITICA SONO LA STESSA COSA».
JOYCE LUSSU POLITICA E FEMMINISTA
di Chiara Cretella
«Essere donna l’ho sempre considerato un fatto positivo, una sfida gioiosa e aggressiva. Qualcuno dice che le donne sono inferiori agli uomini, che non possono fare questo e quello. […]; Che cosa c’è da invidiare agli uomini? Tutto quello che fanno, lo posso fare anch’io. E in più, so fare anche un figlio».
Joyce Lussu, Padre, Padrone, Padreterno. Breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, proletarie e padrone, Mazzotta, Milano, 1976.
(….) Nella vasta opera memoriale e autobiografica della Lussu, la storia è intesa a tre livelli: la storia della sua vita, la ricostruzione della sua storia familiare, infine la storia dell’umanità, che è sempre “storia come lotta di classe” (marxianamente, ma anche storia come terreno della lotta di classe, ovvero come recupero della memoria negata degli oppressi): «oggi — invece — si potrebbe scrivere una storia della società attraverso la storia delle crudeltà» (1).
All’interno dell’individuo, del nucleo familiare e di quello umano, la Lussu ricerca un taglio preciso, quello di una storia mai raccontata: quella di genere.
Questa scelta precisa è la stessa che la spinge a difendere le minoranze vessate, e che anima il suo impegno ambientalista: un pensiero quasi olistico, in cui la differenza di genere diviene una ricchezza da preservare, capace di essere superata in funzione di interessi di classe considerati più “urgenti”. Un rapporto con la politica completamente diverso, se vogliamo, dal percorso delle femministe degli anni Settanta, ma non per questo non intersecabile con esso. La sua visione della politica delle donne è una visione complessa, che usa le prerogative del genere per raggiungere obbiettivi comuni; laddove però ella sente lo scarto di una politica maschilista, insorge ad esprimere una forza — nel senso primo della parola latina vis=uomo — che ella rivendica come matrice comune di entrambi i sessi.
Se la storia è stata fatta da entrambi i sessi ma è stata scritta solo dagli uomini, il primo impegno da assolvere per Joyce è riappropriarsi di un passato, per ritrovare l’identità perduta. Solo questa consapevolezza di avere alle spalle delle eroine, delle streghe, delle combattenti, delle suffragette, permetterà alle donne di non aver paura di irrompere nella grande storia, accontentandosi di ritagliarsi in essa solo dei ruoli secondari, assistenziali o di sfondo.
Penelope si è messa in viaggio sembra dirci la sua ricerca, ha lasciato le mura domestiche per scoprire che muoversi è conoscenza, e che combattere il rigido immobilismo di un busto, di una parola che non si può pronunciare, di un amore che non si può esperire, è già una guerra intestina che ognuna deve vincere: gli exempla delle vite straordinarie di coloro che hanno scelto la libertà continuano a essere omesse dalla storia degli uomini, perché intaccano pericolosamente l’assolvimento del lavoro di cura non retribuito di cui da sempre essi hanno goduto e che gli ha permesso di dedicarsi agli “avvenimenti”, mentre alle donne spettava il “quotidiano”.
Questa modalità storica che Joyce indica non è una ferrea opposizione delle donne all’altro da sé, ma semmai una geniale — poiché lieve — virata critica capace di includere la piacevolezza e la semplicità nel discorso specialistico, quel linguaggio del potere che con la sua astrazione alienante ha da sempre tenuto lontane le donne e i deboli. Questa levità non è una scoperta ma la nuova consapevolezza di una virtù atavica; per la Lussu il modo nuovo di fare storia — e di scrivere un’autobiografia, poiché le due cose arrivano a coincidere — è semplice ma fondamentale: tornare all’oralità.
Un dialogo esperito ininterrottamente, quasi un’ossessione, a giudicare dai molti testi composti sbobinando le sue conversazioni tra donne, le ultime delle quali — quasi un testamento —, raccolte dalla nipote Silvia Ballestra. Sulle antiche tracce della maieutica, la Lussu si contorna di interlocutrici, cercando nella vivacità del confronto femminile una tensione analitica sempre rigorosa.
Se per la Lussu il poeta è il motore della storia — prima ancora di un testimone —, anche la sua visione della donna è intrinsecamente “materialista”: una militanza interiore, il dettato atavico di non lasciar cadere nell’oblio le sorelle senza voce, le cassandre non credute, le streghe mandate al rogo.
Estratto da: AA.VV., Joyce Lussu. Sibilla del Novecento, a cura di Vittoria Ravagli, Edizioni Le Voci della Luna, Milano, 2008, pp. 31-37
(1) Joyce Lussu, in Silvia Ballestra, Joyce L. Una vita contro. Diciannove conversazioni incise su nastro, Baldini & Castoldi, Milano, 1996, p. 51.