di Saverio Fattori
Tutti i capitoli di “Cattedrale”
In mensa oggi nessuno ascolta le mie storie. Racconto che hanno trovato i resti di un paio di part-time in un ripostiglio destinato a scope e altro materiale usato dall’impresa di pulizie esterna. Una stanza rimasta chiusa per anni. Il part-time come soluzione contrattuale è stato abbandonato dalle strategie di tutte le aziende. Tenere in regola un dipendente e usufruirne solo per quattro ore è fuori dalle leggi del mercato.
I due cadaveri, quello che ne è rimasto, due straccetti impolverati addosso a delle ossa, sono stati rimossi e portati al compattatore. Alla cerimonia non hanno presenziato nemmeno i parenti più stretti, nessuno ha mai denunciato la loro scomparsa. Le persone sedute al tavolo non prestano attenzione alle mie parole. La notizia del giorno è il guasto alla stazione di collaudo delle Ferrari-Maserati. Un fermo-linea di un’ora e mezza. È stato contattato anche il fornitore dell’hardware, un nostro tecnico ha comunicato al telefono in viva voce, il sudore a rigargli il viso e la maschera del display bloccata. Poi il nuovo mulettista, pare abbia avvicinato il gruppo del Manifacturing in adorazione davanti al totem muto. La divinità bizzosa ha deciso di obbedire al volere dei piccoli uomini solo dopo alcuni armeggi del Frank nella parte posteriore della macchina. Gli ho messo un dito in culo, pare abbia dichiarato ai primi ammiratori increduli. Nessuno ha capito il trucco? Possibile? L’ottusità del popolo è davvero disgustosa. Una massa di pecore non merita nulla, nemmeno questa prigione maledetta. Nessuno ha compreso che è stato lui a sabotare il pc? Sono un sopravvissuto in un cimitero di cervelli. Sono l’unico salvo o il più folle di tutti. Tra me e il genio è corsa un’occhiata d’intesa. Lui sa che io so. Ha tenuto a farmelo sapere con un sorriso da psicopatico. Il suo ingresso nella sala della mensa è trionfale. Negli anni Settanta un operaio che avesse rimesso in funzione una catena di montaggio sarebbe stato insultato. Tutti alzano gli occhi dal piatto, parlano a bocca piena, lui con il vicino di fila parla d’altro, argomenti futili, niente eroismi. Un ragazzo davvero modesto. Decido un colpo a sorpresa perché a Rigoletto è concesso di essere sgradevole e invidioso. Applaudo, colpi forti e cadenzati rimbombano nell’ambiente e zittiscono il mormorio degli idioti che adesso mi incollano gli occhi addosso. Sento distintamente due parole. Compatiscilo e trombato. Poi una terza. Pazzo.
Mi alzo e appoggio il cabaret senza aver finito il secondo e mangiato la frutta. La porta è troppo stretta per noi due, sguscio con una gomitata e una bestemmia. Seduto all’angolo estremo della sala scorgo Marani, il responsabile della produzione, non me n’ero accorto. Le alte gerarchie, in genere, salgono a pranzo verso le tredici. Sto percorrendo il corridoio senza ritorno del tanto peggio tanto meglio e poi giù verso le scale per gli inferi. Nei secoli ho visto tante persone cadere in disgrazia in Cattedrale. Mi sono sempre chiesto perché non facessero qualcosa per fermare lo smottamento e non iniziassero a risalire. Perché non chiedessero una mano alla dirigenza o al Sindacato Centrale proclamandosi pentiti e recuperati. In questo momento ho piena coscienza che è impossibile invertire la rotta e scansare il muro. Guardo il muro, la morte in faccia, la rassegnazione dell’attimo prima dello schianto. Troppo pesante il carico di umiliazioni, rende impossibile ogni manovra, troppo lontana la luce alla fine del tunnel. Tutto è tenebra. Tutto è pace.