di Franco Ricciardiello
La semplificazione non è una scorciatoia per rappresentare un’idea in maniera sintetica: è un processo di riduzione che elimina tutte le sfumature, per arrivare a un contrasto bianco/nero, uno/zero, inutile per una vera comprensione. La semplificazione riduce la capacità di pensiero. Per tentare una comprensione del mondo, la complessità è indispensabile: abbiamo bisogno di una mappa efficace per descrivere un territorio di complicazione tale da risultare irriducibile. La semplificazione imbarbarisce il senso estetico, la percezione della complessità invece ne favorisce lo sviluppo.
Fatta questa premessa, se dovessi scegliere un modello per rappresentare l’italiano di oggi — con la debita prevenzione intellettuale per la semplificazione — la prima figura che mi verrebbe in mente è Superciuk, l’anti-patico anti-eroe del fumetto di Max Bunker, Alan Ford/Gruppo TNT, il Robin Hood alla rovescia che ruba ai poveri per donare ai ricchi. Anzi, persino questa è una semplificazione: Superciuk trafuga, per esempio, elettrodomestici acquistati a rate pluriennali da famiglie proletarie per regalarli a capitani d’industria che li sistemeranno nella villa al mare, dove magari soggiornano una volta all’anno per pochi giorni.
Nella migliore tradizione del fumetto d’avventure, Superciuk è un eroe mascherato: il suo vero nome pare sia Ezechiele Bluff, di mestiere operatore ecologico, un povero alcolizzato talmente indispettito dalla mancanza di civiltà degli abitanti delle degradate periferie, che insudiciano le strade procurandogli continuamente lavoro, da consacrare la propria vita a una rivincita indiscriminata contro i poveri. Compie le proprie imprese (o malefatte) con un travestimento straccione, coperto da un mantello scalcagnato e armato solo di un fiasco di vino ignobile. Come ogni supereroe che si rispetti, infatti, Superciuk ha un’arma segreta: la sua stomachevole superfiatata alcolica.
Dunque, nessuna scelta di campo dettata dalla coscienza di classe: anzi Superciuk è straccione tra gli straccioni. La sua rivolta ha un senso estetico: i poveri sono brutti, mentre quello dei ricchi è un mondo elegante, piacevole, il luogo del bello. Vi ricorda qualcosa?
Uno dei più lucidi osservatori della coscienza del nostro paese, lo scrittore e sceneggiatore cinematografico Ennio Flaiano (1910-1972), sintetizzò in un aforisma cinico e bellissimo un’amara verità morale: “Gli italiani corrono sempre in aiuto al vincitore.” Ecco la vera essenza di Superciuk: una rivolta contro il brutto, la povertà e il fallimento, a favore dell’eleganza, della ricchezza e del successo.
Sempre Flaiano scrisse che “Fra trent’anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la TV.” Eccoci qui finalmente nella nostra meravigliosa Terra dei Cachi, a vivere non solo al di sopra delle nostre possibilità, ma anche sopra le possibilità dei nostri vicini e dei nostri figli.
Eccoci finalmente nell’era di Superciuk. Le sue velleità sovversive non sono politiche, ma estetiche: Superciuk si è lasciato alle spalle gli anni Settanta, l’odore sudato della classe operaia in catena di montaggio, l’immagine cafona dell’emigrazione interna, l’atmosfera triste degli anni di piombo.
Non vorrei che queste considerazioni sembrassero ispirate dall’amarezza per un panorama politico sempre più deprimente. In fondo, ci troviamo soltanto a uno stadio di un lungo percorso di trasformazione, che in Italia ha avuto inizio con il boom economico degli anni Cinquanta. Siamo uno dei pochi paesi al mondo in cui l’unità nazionale, politica e culturale, non è stata raggiunta al termine di un processo di rivoluzione sociale, ma grazie a una lingua comune semplificata per trasmettere sentimenti e concetti estremamente facili. Il paradiso ideale del Grande Fratello (quello di Orwell, non quello dei tangheri di Mediaset).
L’unità culturale in Italia è il frutto illusorio del livellamento linguistico ottenuto dalla televisione nazionale dagli esordi e fino agli anni Settanta, e dall’omologazione a modelli culturali americani dagli anni Ottanta in poi. L’inconscio di Superciuk è violentemente colonizzato dal piccolo schermo.
E adesso un fantasma si aggira per l’Italia; non è facile catturarne un fotogramma, però si può riconoscere perché ha il profilo sfumato dalla super fiatata alcolica.
Servile con i potenti e tracotante con i deboli, Superciuk è sempre pronto a baciare le mani ai boss. Già da piccolo, quando va ancora a scuola, Superciuk è rapido a schierarsi con i bulletti e a prendersela con i compagni meno “corazzati”: i timidi, i portatori di handicap, quelli che dimostrano una sensibilità particolare.
Mentre cresce, Superciuk impara a discriminare chi è diverso, specialmente se in condizioni di inferiorità: gli immigrati stranieri, i tossicomani, chiunque non dimostri un comportamento sessuale ortodosso. Al contrario, è un fervente ammiratore dei “furbi”: evasori fiscali, imboscati, mafiosi.
Superciuk accoglie con favore l’abolizione della tassa di successione, anche se quelli come lui non l’hanno mai pagata, mentre chi ha votato in Parlamento risparmia parecchie migliaia di euro. Festeggia l’abolizione dell’ICI, un notevole spostamento di risorse dai poveri ai ricchi dato che attualmente è pagata solo da 6 italiani su 10, i più abbienti. Va in visibilio per l’abolizione della tassa di circolazione sulle automobili, così risparmierà il bollo della sua scalcagnata utilitaria, mentre i suoi idoli ne risparmiano migliaia sulle numerose autovetture di famiglia.
Per reagire alle minacce contro la propria identità, causate dal crescente divario di reddito tra la minoranza privilegiata e la maggioranza in fase di impoverimento, Superciuk partecipa o applaude al terrore contro le fasce meno tutelate della nostra società, il sottoproletariato extracomunitario e i nomadi: in questo modo gli ultimi arrivati saranno sempre più sfruttati e meno garantiti, e continueranno a comprimere gli spazi dei diritti per la totalità dei lavoratori.
Povero Superciuk, questo è un mondo di complessità incomprensibile per lui. Ogni sua azione si ritorce contro i suoi interessi, e nemmeno se ne accorge. Grazie al boom degli anni Cinquanta e Sessanta finalmente poteva mettere da parte le preoccupazioni economiche fondamentali, e invece ecco che gli si prospettano sempre nuove necessità: la seconda automobile, il televisore al plasma, il cellulare di nuova generazione, le ferie nei santuari del turismo di consumo. Stretto tra il martello — una classe agiata di buona cultura, enormemente favorita da un’elusione e un’evasione fiscale record, — e l’incudine — una minoranza svantaggiata di disoccupati, immigrati clandestini e regolari, Superciuk è senza via d’uscita; il suo immaginario è colonizzato da Hollywood e da Mediaset, il suo status sociale definito dal livello dei suoi consumi. Non legge altro che giornali sportivi, non apre un libro in vita sua, spesso nemmeno durante gli anni di scuola. Vive nel culto di un mondo inesistente che i mezzi di comunicazione di massa hanno creato per lui: il calciatore strapagato & la velina, le trasmissioni televisive autoreferenziali che invece di occuparsi della società non parlano che di televisione, i giornalisti servili con i potenti, una fetta del mondo dello spettacolo trapiantata in Palamento, i reality televisivi che trasformano la mediocrità in standard di comportamento. Il qualunquismo, eterna trappola della democrazia, diventato programma di governo.
Povero Superciuk, Robin-Hood-alla-rovescia, credendo di interpretare un super-eroe individualista è diventato la massa di manovra dei poteri extranazionali nella rete del mercato globale.