di Gioacchino Toni
Jacques Le Goff, Nicolas Truong, Il corpo nel Medioevo, Editori Laterza, 2007, pp. XIV-188, € 8.50
Salvo rare eccezioni il corpo è stato a lungo tralasciato dalla storia e dagli storici, tanto che per molto tempo la storia può essere detta “disincarnata”. Tra le eccezioni, Jacques Le Goff e Nicolas Truong ricordano il lavoro di metà Ottocento di Jules Michelet sulla strega nel Medioevo, gli studi, risalenti alla prima metà del XX secolo, del sociologo Marcel Mauss relativi al modificarsi diacronico delle “tecniche del corpo”, le ricerche del tedesco Norbert Elias che, nei primi decenni del Novecento, affronta le funzioni corporee come vero e proprio oggetto storico e sociologico. È però al tentativo di giungere a una storia globale portato avanti dalla scuola delle Annales, e in particolare agli studi di Marc Bloch, che si deve una vera e propria programmazione della ricerca volta a restituire un corpo alla storia e dare una storia al corpo. L’importanza del corpo nella storia occidentale viene ribadita anche dalla Scuola di Francoforte e, successivamente, da Michel Foucault. Il filosofo francese indaga il modo in cui il corpo è immerso nel dominio della politica e i suoi studi mostrano come nella storia europea si arrivi ad una diffusa “tecnologia politica del corpo”. È però soprattutto del lavoro di Marc Bloch che Le Goff e Truong si dimostrano debitori nella loro analisi del corpo nel Medioevo.
Nonostante Le Goff prediliga l’idea di un “lungo Medioevo”, prolungato fino alla Rivoluzione francese e alla Rivoluzione industriale, considerando l’epopea rinascimentale dei secoli XV e XVI come Rinascimento medievale, in questo saggio il periodo preso in esame si concentra, più tradizionalmente, tra il V e XV secolo. Il testo evidenzia come in ambito medievale il corpo è sì disprezzato (la salvezza passa attraverso la penitenza corporale, il monaco mortifica la propria carne e astinenza e continenza appaiono tra le principali virtù) ma anche glorificato (basti pensare al valore assegnato all’incarnazione del Cristo, alla resurrezione dei corpi con annesso appagamento dei sensi). Se da una parte nel corso del Medioevo scompaiono le terme, dall’altra nei carnevali il corpo umano ha la possibilità di scatenarsi in prossimità della Quaresima. Lo stesso san Francesco d’Assisi (XII-XIII sec.) da una parte si presenta come asceta che mortifica il corpo, dall’altra è però anche il “giullare di Dio” che venera “frate corpo”. In ambito medievale anche i corpi dei defunti oscillano tra l’essere considerati materia putrida, per certi versi frutto del peccato originale, e materia da onorare, come nel caso delle reliquie dei santi. Nel XIII secolo non mancano nemmeno teologi che danno valenza positiva al corpo nel mondo terreno. Una forte influenza sulla storia del corpo è stata sicuramente esercitata anche dalla dietetica monastica, dalla tremenda apparizione della peste nera attorno alla metà del XIV secolo e dalla rivoluzione agricola dei secoli X-XII, con il suo introdurre nuove colture e nuovi metodi di coltivazione, con relativa ricaduta sugli stessi gusti culinari.
Le Goff e Truong sottolineano come in maniera un po’ troppo sbrigativa si tenda sovente ad affermare che è soltanto con l’istituzionalizzazione della religione cristiana che prende il via la “rinuncia della carne” celebrata, invece, dal paganesimo. In realtà, come evidenziato in maniera pionieristica da Foucault (Histoire de la sexualité, 1976) e da Paul Veyne (“La famille et l’amour sous le haut Empire romain”, in Annales E.S.C., 1978), il mutamento sembrerebbe avvenire già sul finire del II secolo d.C. durante il regno di Marco Aurelio. Veyne sostiene addirittura che la metamorfosi nei rapporti sessuali e coniugali sia avvenuta tra l’epoca di Cicerone e quella degli Antonini e che, pertanto, la morale sessuale pagana risulti a un certo punto del tutto identica alla futura morale cristiana del matrimonio. Resta il fatto, sostengono gli autori, che spetta al Medioevo il ruolo di conferire a tale svilimento del corpo e della sessualità un’impronta decisamente più marcata e diffusa. È pertanto a partire dal XII secolo che il sistema di controllo del corpo e della sessualità pare entrare pienamente in azione.
Con il cristianesimo non scompare certo all’improvviso l’intero mondo pagano e non sono poche le manifestazioni popolari che continuano a celebrare la vitalità del corpo. Le Goff e Truong ricordano l’utopia medievale del “paese di cuccagna” che, comparsa a metà del XIII secolo, narra di un paese immaginario ove non si lavora, con settimane composte di soli giorni festivi e con la natura che provvede spontaneamente a sfamare gli esseri umani.
Dovendo riassumere attraverso un’immagine come nella vita quotidiana del Medioevo il corpo oscilli tra esaltazione e rimozione, tra appagamento e penitenza, è possibile far riferimento al celebre dipinto di Pieter Brugel, Il combattimento tra il Carnevale e la Quaresima (1559). Bagordi vs. digiuno. Soddisfacimento del corpo vs. penitenza. Costruito su tali opposizioni, il dipinto rende bene l’idea di come la storia che conduce alla metà del XVI secolo, epoca in cui opera il pittore fiammingo, sia costellata da una concezione del corpo oscillante tra umiliazione e celebrazione. Nel dipinto citato Carnevale è incarnato, è proprio il caso di dire, da un personaggio grasso, a cavallo di una botte, con un pasticcio sulla testa ed uno spiedo brandito quasi fosse la sua spada. Nella parte opposta dell’opera appare uno scheletrico Quaresima, recante in testa l’arnia (rimando al miele dei periodi di digiuno e, forse, anche alla laboriosità), che impugna una pala con due misere aringhe. Il seguito dei due personaggi rimanda poi alla baldoria carnevalesca da una parte e alla morigeratezza quaresimale dall’altra.
Il corpo cristiano nel Medioevo oscilla pertanto tra rimozione ed esaltazione, umiliazione e celebrazione. Se il peccato originale nella Genesi viene presentato come peccato d’orgoglio, di sfida umana a Dio, nel Medioevo diviene un peccato della carne, un peccato sessuale. Quanto argomentano i due studiosi è del resto ben visibile nelle lastre di Wiligelmo (XII sec) poste sulla facciata del Duomo di Modena: Adamo ed Eva risultano privi degli attributi sessuali fino all’istante del peccato: è da quel momento che nei due compaiano gli attributi sessuali, dunque la vergogna e la necessità di coprire le nudità. Nelle lastre modenesi è ben visibile anche come la punizione divina sia intesa principalmente come punizione concernente i corpi: i due progenitori, successivamente alla cacciata, vengono mostrati come umili contadini (medievali) costretti a guadagnarsi il pane col sudore del lavoro nei campi. Nell’immaginario medievale la liberazione del corpo può pertanto significare anche liberazione, oltre che dalle privazioni sessuali ed alimentari, dalla fatica del lavoro. Nella stessa Genesi il lavoro al di fuori dall’Eden è presentato con le caratteristiche della condanna: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (III, 19). La condanna riguarda il corpo tanto nella fatica a cui è costretto nel lavoro, quanto nel dolore fisico nel dover partorire (il travaglio del parto).
Nell’ambito medievale il lavoro materiale viene alternativamente disprezzato e valorizzato. Nel corso dell’alto Medioevo il lavoro è inteso come penitenza (condanna in seguito al peccato originale) ed è evidente il retaggio del mondo greco-romano nella differenziazione netta tra schiavi lavoratori e padroni dediti all’ozio. Lo stesso lavoro manuale nei monasteri benedettini, secondo la Regola, è da intendersi come penitenza e, in generale, all’interno degli stessi ordini monastici si ha una sorta di scissione tra “monaci superiori” dediti alla vita spirituale e “religiosi di rango inferiore” che si occupano del sostentamento dell’ordine attraverso l’umile lavoro manuale. Attorno al XII secolo, sull’onda di una concezione dell’uomo che si sottolinea essere stato creato a immagine di Dio, si assiste a una certa rivalutazione del lavoro essendo questo letto come contributo alla creazione divina. Lo stesso san Francesco d’Assisi, segnalano gli autori, esita tra lavoro e mendicità prima di optare per quest’ultima come forma di “devozione superiore”.
Se i ricchi possidenti intendono continuare a distinguersi da quanti vengono costretti a sottoporsi alle occupazioni servili, una risposta a tale condanna «si trova, ancora una volta, nell’immaginario medievale che, dal paese di cuccagna al Roman de la rose, risusciterà l’età dell’oro e l’ideale dell’indolenza. Immaginario, ma anche tendenze rivoluzionarie, quando un predicatore fautore della rivolta dei contadini nell’Inghilterra del Trecento dichiarerà: “quando Adamo vangava ed Eva filava, dov’era il gentiluomo?”. Un modo per rifiutare la gerarchia sociale, e dedurne che la condizione umana si basa sul lavoro, cui la nobiltà si è sottratta. A proprio enorme profitto».