di Danilo Arona
Cristiano Mussi è un chitarrista eccezionale, alessandrino, su cui ho scritto più volte in passato. Non è del suo talento che vi voglio informare, per il quale rimando al sito ufficiale. Racconto invece di un suo incontro, casuale e tenero a suo modo, per un verso borderline tra un mondo reale e uno invisibile, fuori dal tempo, e per un altro situato ai confini della sincronicità. Se mi è lecito poi spingermi anche al di qua del mio indistinto reame narrativo, non è impossibile percepirvi anche un inconfondibile profumo “di Melissa”, anche se poi alla fine trionfa la cronaca, quella cruda si farebbe volentieri a meno.
Un paio di anni fa, alle soglie dell’estate, Cristiano viaggiava sulla A 26 a bordo di un pulmino con alcuni componenti dei Disco Inferno, in direzione della riviera ligure. Un giorno del week-end, al pomeriggio, e prospettiva una serata danzante sulla spiaggia sino all’esaurimento psicofisico dei musicisti e dei notturni gaudenti che intendevano fare l’alba.
All’autogrill Stura Ovest, più o meno dalle parti di Masone, la band si fermò per i consueti rituali autostradali: caffé, panino, toilette, cazzeggio. C’era tutto il tempo per prendersela con calma.
All’uscita Cristiano scorse con la coda dell’occhio, un po’ defilata verso l’uscita della stazione di servizio, una ragazza minuta, capelli raccolti che sembrava fare l’autostop. Jeans, maglietta e zainetto. Capigliatura sul castano chiaro.
Quando il camioncino le transitò davanti, Cristiano rallentò e si fermò. La guardò e le chiese con dolce cortesia (chi conosce l’uomo sa che non potrebbe essere altrimenti) dove intendeva recarsi. Lei rispose a Finale, dove l’aspettavano degli amici. Cristiano la fece salire perché Finale stava proprio sulla strada dei Disco Inferno. E lei si accomodò in mezzo a quei musicisti, tutti dall’aria molto per bene.
Le battute tipo di situazioni del genere non tardarono. Cristiano che guidava faceva un po’ da portavoce. E poi la ragazza era interessante: non bella nel senso classico, ma certamente bella a suo modo, con uno sguardo profondo e una luce intensa negli occhi. Di avanzo per un artista autentico che dall’umanità e dintorni trae le sue ispirazioni.
“Come mai te ne vai in giro in autostop?”
“Uso sempre l’autostop e non solo in Italia.”
“Ma non hai paura? C’è in giro di tutto.”
“Sì, lo so.”
“E non lo trovi imprudente?”
“Guarda, quel che pensi tu mi può succedere sotto casa a Milano.”
“Sì, ma così è un po’ come cercarsela.”
“Non me la cerco. Su certe macchine, se è il caso, non salgo.”
“Questione di fortuna.”
“Quella ci vuole sempre. E voi che fate di bello?”
In questo modo l’argomento cambiò. Cristiano raccontò di com’è dura suonare in esclusiva la propria musica, così difficile che poi bisogna infilarsi in un gruppo di dance anni ’70 per sbarcare qualche lunario, e anche lei accennò a una sua attività artistica non meglio precisata, misteriose performance di manipolazioni su materia grezza, fotografie, esibizioni pubbliche con vestiti particolari. Parlò di un suo celebre zio, artista pure lui. Poi gli altri dei Disco Inferno s’infilarono nella comunicazione a due e, come spesso capita, parla uno e parla l’altro e le parole si trasformarono in sintagmi con poco senso e senza dubbio provvisori. In prossimità dell’uscita per Finale, Cristiano fece scendere l’autostoppista: ma prima, da artista ad artista, lui e lei si scambiarono gli indirizzi e-mail.
Da quel giorno Cristiano e la tipa si scrissero. Non così di frequente, perchè gli avatar per quanto di tendenza non ce la fanno proprio a sostituire i tempi della vita reale. Ma quel tanto che poteva bastare perché l’uno potesse spiare l’attività poliedrica (qualche volta incomprensibile agli occhi di un musicista) dell’altra: le mostre – collettive e personali -, i ritratti, i “messaggi selvaggi” e le “mutazioni chirurgiche”. Quando si mandavano le mail, lui ogni tanto le rimproverava, come un vecchio amicone, quel suo vezzo quasi maniacale per l’autostop. Lei gli rispondeva che con il dito alzato ci girava il mondo e, anzi, ci stava preparando un progetto artistico. Un messaggio di pace e di arte on the road. Brides on Tour. Perché le spose? Vedrai, rispose lei.
Infine, agli inizi di marzo di quest’anno, Cristiano la vide sui giornali. La vide per l’ultima volta, consacrazione finale di vita d’artista. Voleva attraversare mezza Europa, le zone più sensibili del vecchio continente, vestita da sposa. Tutta in bianco dalla testa ai piedi con il pollice alzato, quasi fosse fuggita dalla scena finale de Il laureato. Cristiano, se l’avesse saputo per tempo, avrebbe scrollato la testa e le avrebbe detto:
“Ma dove cazzo vai? Non è prudente. Non lo sai che esistono i mostri? E qualcuno tra loro si traveste da gentile automobilista che si ferma a caricare le artiste autostoppiste!”
E, come in un dialogo scritto per il film di James Cameron Aliens – Scontro finale, Cristiano avrebbe udito la risposta:
“Mia mamma diceva sempre che i mostri non ci sono.”
“I mostri ci sono. Esistono, per la Madonna!”
“Allora perché ci dicono di no?”
“E che ne so? Ma sono BALLE!”
Un dialogo, creato dai tasti o parlato, che stagnava soltano nella sua mente. Perché la sua amica, l’autostoppista di Milano, la Pippa, aveva incontrato un mostro in Turchia. E il mostro ne aveva fatto scempio.
“Se avessi insistito… Se avessi insisito con forza, con prepotenza, tutto questo le sarebbe accaduto? Ma chi ero io per insistere? Uno dei centomila che le aveva offerto un passaggio. Oh, sì, mi rispondeva tutte le volte. Ma credo rispondesse a tutti. Perché gli artisti come lei sono così. Dialogano col mondo e parlano con tutti. Anche con chi, forse, non si dovrebbe. ”
Ma Pippa, ci ha poi ripensato Cristiano, forse non era così ingenua. Lo sapeva che esistono i mostri. Gli artisti sono i primi ad averne esperienza e a riportarne conoscenza. Se oggi fosse viva, esprimerebbe la stessa opinione sull’argomento ribadita all’indomani della scoperta del corpo scempiato da Silvia Moro, compagna di percorso di Pippa nel progetto Brides on Tour:
“Questa cosa terribile ovviamente dimostra quanto possa essere ancora pericoloso e difficile cercare di mettere in pratica relazioni pacifiche e costruttive nel nome delle diversità, ma non bisogna arrendersi. Ora più che mai, non dobbiamo avere paura del prossimo, dobbiamo andare avanti, continuare a superare barriere politiche e culturali cercando di entrare in contatto con le persone, condividendo per quanto possibile la loro vita, le loro abitudini e la loro cultura. In questo momento in me c’è il rifiuto che questo viaggio, che parla di matrimonio fra le genti, sia stato interrotto da un mostro. Ma i mostri non hanno nessun passaporto né nazionalità. Sono una milionesima minoranza che non deve assolutamente impedirci di andare avanti a ribadire l’importanza dell’incontro in nome delle diversità, della loro comprensione e della loro accettazione. Dobbiamo usare qualsiasi mezzo possibile a nostra disposizione per parlare di pace e rifiutare qualsiasi forma di guerra e di violenza sulla terra. Pippa ci ha lasciato qui ora con molti quesiti, in questo indiscutibile dolore, sorprendendoci per come, suo malgrado, stia assolvendo al ruolo di artista, che, destabilizzando le nostre certezze, ci spinge violentemente a chiederci che cosa sia arte, che cosa sia vita e che cosa sia pace. E ci lascia il compito di non arrenderci alle forti contraddizioni che il vivere stesso ci presenta.”
A Cristiano, adesso, non resta che scriverne. Magari una ballade dal titolo Brides on Tour. O The Phantom Hitch-Hiker. Un pensiero, un ricordo, per dimenticare in pochi minuti che i mostri esistono.