di Saverio Fattori
Tutti i capitoli di “Cattedrale”
Frank è davvero in forma. Già dal pomeriggio l’hanno messo a fare un’operazione complicata, ispira fiducia a pelle anche tra i capi. Il fatto che sia figlio di un notabile del paese potrebbe avere un suo peso. La nostra è una multinazionale provinciale. Mediante il controllo del Sindacato Centrale si è sviluppata una curiosa osmosi tra i poteri forti della Cittadella esterna e la Cattedrale. Il sindacato-partito non segue alcuna direttiva nazionale e tiene la CGIL fuori dalle mura. Gestisce le assunzioni del personale per le mansioni più umili e asseconda la dirigenza in un sano rapporto di concertazione. Non ha mai giocato alla lotta dura e pura.
Un movimento sindacale che gestisce da sempre la Lotta di Classe come un’enorme bufala. Il tempo pare dare ragione a questa cinica visione. Lo scontro duro sarebbe inutile, farebbe solo danni. Un generico buon senso regola e seda rivendicazioni fuori dal tempo. Gli operai sono cuccioli nati ciechi. Non sono l’Avanguardia della Lotta. Non ascoltano nessun Cattivo Maestro. Gli anni che si coagulano attorno al ’68 e al ’77 sono implosi e non hanno lasciato tracce. Non è nemmeno Restaurazione. Il periodo delle contestazioni è stato asportato, un cut-off, un taglia dalla Storia e incolla da qualche parte nell’universo, fuori dai coglioni.
Ogni giorno che passa la capacità di analisi e la soglia critica si impoverisce. Le persone attorno a me pensano che Studio Aperto sia un telegiornale e non riescono ad interpretare fatti e mutazioni della Cattedrale. Qualcuno deve prendersi cura di loro, interagire con la direzione e mediare la schiavitù. Perché potrebbe andare pure peggio. È la paura la Cattiva Maestra di questi anni tragici.
La Cittadella è una cellula anomala, ha una storia particolare, vive un’esclusione che diventa vitalità identitaria. La Grande Storia ha archiviato le forze di derivazione comunista, la sua socialdemocrazia ha avuto ragione. La Cittadella rivendica un’autonomia fastidiosa. È un’isola rosa nel mare rosso P.C.I. Nel 1949 diventa il nucleo della scissione socialdemocratica che a livello nazionale è interpretata da Saragat. È un pericoloso paese laboratorio che rischia di assurgere a modello per diffondersi nelle regioni del nord Italia. Mai con i fascisti, mai con i comunisti. Una formuletta sintetizza la bolla storica che avvolge la Cittadella e che verrà infranta solo dopo il crollo del Pentapartito. Verso destra. Ancora una volta, lungimiranza. Ragione sbagliata. Ma il modello non si fa franchising, il virus non si diffonde, si arrocca in un isolamento dorato. Impudica fiorisce. Ha uno sviluppo industriale invidiato dagli altri comuni. Nel 1972 viene inaugurata la Cattedrale alla presenza di un sindaco che regna alcuni decenni e arriva al Senato della Repubblica. La Cittadella vive un’autarchia virtuosa, centellina certificati di residenza, interpreta le esigenze della gente comune con una sensibilità che solo molti decenni dopo la Lega Nord avrebbe imitato. Sviluppa un movimento cooperativo perfetto, delegazioni da tutta Europa vengono a rendere omaggio. Ha nuclei di aggregazione, fabbriche, piccoli negozi che resistono ai Centri Commerciali, arrivati con grande ritardo, come i Self Service di benzina. Sono non-luoghi poco graditi, attirano sbandati, soggetti extracomunali fuori controllo. La Cittadella esibisce le qualità e i tic nervosi della provincia economicamente e socialmente evoluta. Mia nonna e mio padre hanno creduto nel modello politico della Cittadella. Sono esseri dolcissimi e positivi. Pulizia morale in purezza. Hanno sbagliato. E hanno avuto ragione. Si possono sbagliare le analisi e muoversi nel giusto. Ma hanno generato me, qualcosa ha inquinato il processo riproduttivo. È nata una scoria che sa odiare un paradiso come questo. Solo uno scarto umano, un inguaribile asociale potrebbe trovare nauseante e opprimente l’aria della Cittadella Dorata. Sono nato storto, caricato a energia negativa. Il mio organismo non tollera la normalità, non sviluppa anticorpi provinciali. Se mi capita di entrare in un bar di piazza sono scosso da conati di vomito, rumori dal basso ventre anticipano scariche diarroiche. Detesto le pasticcerie, il pulviscolo di sana umanità che si ritrova la domenica mattina. I paesi di provincia la domenica mattina sono agghiaccianti. Alle dieci esatte tutte le forze del Maligno convergono nel rito del caffé e del cornetto meritati dopo un’intensa settimana lavorativa. Tutti muovono la bocca, non sanno stare zitti, parlano e non dicono nulla. Vorrei saper usare un’arma da fuoco. Vorrei possederne una.
Il Frank non sa nulla di tutto questo. La sua ignoranza non lo danneggia, detiene un’asocialità biodegradabile e seduttiva. È una posa, non una condizione. La mia è condanna stampata nel DNA. Suo padre è nel direttivo del partito e decide se possono continuare a costruire condomini e villette a ritmi infernali.
Nel 1949 un’agitazione bracciantile si era protratta quaranta giorni, una delle astensioni più lunghe nella storia della nazione. L’anno era iniziato con una bomba in un teatro dove si teneva una riunione sindacale. Al Frank non interessa un cazzo, non interessa nulla delle lettere di rimprovero di Togliatti per le derive politiche della Cittadella. Ha sollevato le pale del carrello al massimo dell’estensione per un trasloco dell’ufficio che domina l’officina. È un luogo che in tempi passati era stato teatro di febbrile attività, oggi abitato da fantasmi infastiditi da scrivanie e scaffali gonfi di materiale cartaceo. Il Frank sta seguendo le indicazioni di un tipo dei Servizi Generali.
– Sei già l’uomo di fiducia? Sei il nuovo arredatore?
Ha sporto la testa dal finestrino a scorrimento orizzontale e mi ha buttato una cicca accesa sul petto.
– Cazzo fai?
– Mi hanno detto che non si può fumare.
– Non so chi ti paracula, ma ti stacco la testa.
– Hai il cervello bruciato male. Sei pazzo, ma non pericoloso, tu non stacchi un cazzo. Adesso tira il carretto che rimani indietro.