Illustrazione di Liza Schiavi - Clicca per ingrandiredi Enzo Fileno Carabba
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14. Il bagno della donnola

Ricordo quando c’erano meno regole ma la gente che andava per mare era più rispettosa e aveva più occhio. Erano in grado di individuare una testa tra le onde a duecento metri di distanza. Sapevano anche che la testa di solito è attaccata a un bagnante e non va staccata. Una volta, da ragazzo, nuotando, mi ero allontanato troppo dalla riva. Mi si avvicinò una barchetta di legno e il personaggio a bordo – un omino piccolo, sicuramente un gigante del mare, in quanto a sapienza – con poche parole affettuose mi fece capire che ero un cretino. Ne presi atto e tornai indietro.

A quel tempo non avevo paura quando mi si avvicinava una barca in mezzo al mare, anzi mi sentivo rassicurato, perché alla guida c’era sempre qualcuno che sapeva il fatto suo.
La prima volta che sono stato a Ponza doveva essere fuori stagione perché c’era la neve. Quindici anni fa, anche di più. Immagino che la neve a Ponza non sia una cosa frequente, ma ho una fotografia che può testimoniarlo: ci sono io che indosso la salopette della muta subacquea e la neve che sgocciola da una paretina rocciosa sullo sfondo.
In generale, ho ricordi frammentari ma vividi.
Ricordo che appena arrivati trovammo qualcuno – un agente immobiliare, mi sembra – che vedendo la mia attrezzatura subacquea mi parlò di una cernia imprendibile che lui insidiava da anni. Ora si preparava a soffiargli aria ad alta pressione nella tana, direttamente dalla rubinetteria di una bombola, così la cernia usciva e lui sparava col fucile. L’idea mi sembrò bizzarra. Poi ho imparato che praticamente in ogni isola c’è qualcuno che tenta di catturare una cernia imprendibile soffiandogli aria ad alta pressione nella tana. Non mi risulta che la cosa sia mai riuscita.
Lui comunque insisteva che la cosa era legale. Perché è vero che è vietata la pesca con le bombole, ma questo significa che uno non deve respirare dalla bombola, mentre lui intendeva scendere in apnea portandosi dietro la bombola solo per stanare la cernia.
La pesca subacquea mi è sempre piaciuta moltissimo, me la sogno anche la notte. Devo dire però che l’integrità dell’ecosistema marino è garantita dalla vaghezza della mia mira. La mia tecnica di pesca è questa: sparo a un pesce e ne prendo un altro, di cui neanche sospettavo l’esistenza. E’ una tecnica eccentrica, che consente di sognare incontri incredibili e coglie di sorpresa la preda, ma naturalmente è raro che alla fine ci sia una preda. Di solito la tecnica produce pesci in fuga, bellissimi da vedere, molto più belli di un pesce infiocinato. Comunque, a Ponza presi una grossa seppia con questa tecnica.
Quella volta eravamo io e la mia ragazza. Volevamo noleggiare una barca. Il signore che avrebbe dovuto noleggiarla diceva che quel giorno non era possibile ma il giorno dopo magari sì. Non capivamo perché. La cosa durò diversi giorni. Noi intanto giravamo l’isola in autobus, e io mi trascinavo dietro in autobus tutta l’attrezzatura. La cosa positiva è che non ero mai stato su un autobus con muta pesi e fucile. E’ un’esperienza, dato che in verità sono oggetti concepiti per stare in mare.
Ogni giorno chiedevo la barca all’affittabarche, ma il giorno buono non arrivava mai. Era sempre domani. Mi sentivo un po’ preso in giro. Si vede che gli stavamo antipatici. Alla fine, a causa credo delle infiltrazioni d’acqua, un muro crollò sulle barche del signore che ci prometteva invano la barca e le seppellì tutte. Certo una punizione divina.

Ho sempre frequentato persone che ritenevano la pesca subacquea una attività disdicevole e la mia ragazza in questo non faceva eccezione. A Ponza presi una murena che sgusciava dentro un relitto in pochi metri d’acqua. A riva la murena sputò un polpo, intero, ma ormai bianco, perché la pelle era stata già digerita. A mio vanto posso dire che avevo mirato proprio la murena, non un altro pesce, comunque lo spettacolo della murena che sputa il polpo – anche se naturalisticamente interessante – fu la goccia che fece traboccare il vaso.
La mia fidanzata mi disse: basta, o me o la murena. Io scelsi lei, anche se bisogna dire che la murena era una gran bella murena.

Passarono molti anni senza pesca subacquea. In compenso ho fatto quattro figli. E arriviamo così all’anno scorso. Durante un corso di scrittura creativa ho conosciuto un grande pescatore subacqueo. Su una rivista specializzata è uscito un servizio dove c’è lui con un grosso dentice, e il dentice è dedicato a me. Penso di essere una delle poche persone al mondo a cui è stato dedicato un dentice. A parte questo, il mio amico mi ha spiegato un po’ di cose sulle pesca all’aspetto che mi hanno fatto tornare una voglia irresistibile di pesca subacquea. Ha anche assemblato un fucile apposta per me, con una serie di accorgimenti che solo io riesco a vanificare.
Sono convinto che la pesca all’aspetto sia stata inventata proprio da quelli contrari alla pesca subacquea. Perché per aspettare aspetto ma poi è impossibile prendere qualcosa, soprattutto con la mia tecnica di sparare a un pesce prendendone un altro (Per chi volesse provare: questa tecnica funziona soprattutto in tana o tra le posidonie). Ma a parte questo, i trucchi che mi aveva spiegato il mio amico avevano un tale fascino che ero ansioso di provarli, indipendentemente dalla banale cattura di un pesce. Per me erano l’incarnazione della speranza.
Insomma l’anno scorso mi trovavo in una località toscana che mio figlio chiama Il Bagno delle donnole.
Mi stavo allontanando dalla riva per poi pescare. Mentre indossavo la muta e mostravo l’attrezzatura a mio figlio erano passati almeno tre motoscafi vicinissimi alla costa. Pinneggiavo sperando che arrivasse la guardia costiera e infligesse a quei potenziali assassini una punizione esemplare. Ma non avevo fatto i conti con l’originalità dei miei conterranei. In effetti, se ci pensi, multare i motoscafi o i gommoni che passano veloci vicino alla costa sarebbe di una banalità desolante, un po’come multare quelli che in autostrada ti arrivano a un centimetro e ti lampeggiano.
Fa molto più colpo multare un tipo che ha preso cinque telline, o un bagnino che prende un caffè.
Ero abbastanza lontano e cominciai i preparativi. Misi giù la testa per far uscire l’aria dal cappuccio. Sentii un motore in avvicinamento. Sollevando la testa vidi un gommone bianco piombare a tutta birra verso di me. E’ finita, pensai, non ha visto il pallone, o è uno di quelli che quando vedono una boa segnasub ci vanno sopra per capire di cosa si tratta, magari una nuova specie di pesce venuta dal Mar Rosso. Invece quello con una manovra spettacolare e inutile mi si mise di fianco.
Sopra c’erano due tipi vestiti di bianco, inizialmente pensai a due camierieri ubriachi esibizionisti. Invece era la Guardia Costiera.
Mi fecero salire bruscamente, come se fossero in presenza di un pericoloso criminale. Sembrava avessero catturato Diabolik. Uno, quello più giovane, non parlò mai, sembrava assorto in pensieri lontani. L’altro era il capo: sui cinquant’anni, leggermente sovrappeso, coi baffi, diceva cose non pertinenti, ma le diceva con durezza.
Non riuscivo a capire cosa succedeva. Per caso quella era una zona protetta dove non si poteva pescare?
Non rispondevano.
Volevano i miei documenti. Gli feci presente che i documenti erano a riva, e indicai la direzione. Pensavo che mi riportassero agli scogli a prendere i documenti ma se ne guardarono bene. Probabilmente sarebbe stato troppo banale, anche quello. Senza dir nulla mi portarono via, oltre la punta, dall’altra parte del promontorio. Una specie di rapimento, con mio figlio che da lontano guardava atterrito senza capire.
Gli chiesi ancora: ma ero in una zona protetta?
Quelli non rispondevano.
Insomma mi portarono in un ufficietto e alla fine mi venne comminata una multa da 1038 euro perché – secondo loro – stavo pescando vicino alla riva, tra i bagnanti. Cercai di dirgli che non era vero, che ero lontano dalla riva, peraltro una scogliera a picco, e che non c’erano bagnanti, a parte mio figlio su uno scoglio, e io non sparo mai a mio figlio.
Ma quelli restarono dei muri impenetrabili. Forse anche sordi oltre che impenetrabili: perché nel verbale scrissero che dicevo di non essermi accorto di essere così vicino. Mentre avevo detto esattamente il contrario. Che erano loro a non essersi accorti che ero così lontano.
E’ come se uno accusato di omicidio si professa innocente e nel verbale scrivono: afferma di non essersi accorto che stava uccidendo la vittima a martellate.
Mi dicevo che loro lo sapevano che non stavo pescando, lo sapevano che mi stavo allontanando per poi pescare, dovevano saperlo, la sagola del pallone era ancora tutta legata. Ma mi sembrò che la cosa non gli interessasse. Loro procedevano per la loro strada.
Il baffo si limitò a dire che il pallone segnasub lo tenevo comunque staccato dal corpo e questo non andava bene.
La prossima volta nuoterò col pallone in equilibrio sulla testa.
La cosa era talmente insensata che a un certo punto pensai a uno scherzo. Magari erano emissari del mio otorino. Lui mi dice sempre che l’uomo non è fatto per andare sott’acqua.
Se quella era un terapia predisposta dal mio otorino ero impressionato dal prezzo.

Nei mesi successivi andai a protestare alla Capitaneria di Porto di Livorno, con tanto di memoria difensiva. All’Ufficio Contenziosi, un ragazzo gentile dietro una scrivania mi assicurò che avevo perfettamente ragione e anzi mi fece capire che quelli del Bagno delle donnole avevano le loro peculiarità. Salvo poi mandarmi il mese dopo una lettera in cui con frasi misteriose (tipo “si rappresenta che…” ) mi si diceva che la sanzione rimaneva invariata.
Non si erano neppure degnati di convocare i testimoni. Avrei potuto rivolgermi al giudice di pace ma lasciai perdere. Mi sembrava gente ben organizzata.
Ripensavo alla faccia gentile del ragazzo dell’Ufficio Contenziosi, che sembrava d’accordo con me. Poi si dice che c’è poco lavoro per gli attori. Con tutti gli Uffici Contenziosi che ci saranno in giro!
Quell’episodio ha lasciato in me e anche in mio figlio – quello che ha assistito alla scena – un senso di ingiustizia. Tra l’altro, proprio prima di scendere in acqua l’avevo ammonito severamente circa i pericoli del caricamento a riva, visto che due ragazzi quella mattina avevano caricato il fucile a riva senza peraltro essere rapiti dai cattivi uomini bianchi.
L’episodio dimostrava che il giusto comportamento viene punito. Non mi avevano neanche accompagnato a riva per prendere i documenti, costringendomi a un giro a piedi in salita con la muta in piena estate. Attività che certamente costituisce un ottimo allenamento, lo riconosco, ma in quel momento mi era parsa una sorta di umiliazione.
Ho smesso di mandare maledizioni a quel tipo coi baffi solo pensandolo come un rapinatore.
Tutto ciò ha prodotto tre pericolosi avversari delle forze dell’ordine: i miei figli. I figli sono quattro, il quarto non ha aderito per via dell’età. Ma può darsi che crescendo, e ascoltando i racconti di quel mattino, si unisca alla banda.

Quest’anno sono tornato a Ponza con la stessa fidanzata che mi aveva detto “o me o lei” riferendosi alla murena e che per comodità chiamerò mia moglie, anche se non siamo sposati. E naturalmente col resto della banda.
Via via che mi avvicinavo all’isola riaffioravano i ricordi. Mi succede sempre così. Mi riaffiorano i ricordi senza bisogno di essere sul posto, semplicemente avvicinandomi. E’ una magia. Ora ricordavo un giro col mare un po’ mosso a largo di un faro, col fondale profondo, invisibile, e delle grosse ombre che scorrevano sotto di me. A quel tempo mi piaceva lasciarmi andare a mezz’acqua sui fondali profondi. Il senso di inquietudine e di piacere. Oggi preferisco i fondali bassi, dove si avverte meglio la contiguità tra il mondo emerso e quello immerso
Ricordavo anche delle rocce bianche a strapiombo e un’aragostina, dalle parti di un posto che si chiamava Cala Gaetano, quella è l’unica aragosta che io abbia visto andando in apnea.
E soprattutto ricordavo la murena sputatrice. Dopo la scena in cui mia moglie aveva detto “o me o lei“, in realtà avevamo trovato una signora che ce l’aveva cucinata a rotellone fritte, buonissime. Il figlio della signora aveva chiesto “l’hai sparata?”
Ricordavo un cane dal pelo lungo e chiaro, una specie di spinone, che mi aveva fatto compagnia mentre scrivevo seduto al tavolino di un bar. Da qualche parte ho una foto di me col cane: ha un’aria entusiasta e sembra che sia lui a dettarmi le parole.
Mentre sbarcavamo pensai alla neve. A volte le prime impressioni marchiano la mente di un uomo. E per me Ponza – la vera Ponza – rimarrà sempre spennellata di neve. Per cui trovavo un po’ strano vedere l’isola col caldo e senza la neve e piena di gente.

Ci sedemmo a un bar nei pressi del porto. Guardavo qua e là, un po’ ansioso, sperando che i tre figli più grandi non rivelassero troppo presto la loro natura di distruttori di tavolini e tovaglie, e il minore non sfoderasse le sue doti di urlatore, quando lo vidi.
Anche lui mi guardò, con quel suo sguardo soddisfatto di se stesso. Anzi oserei dire che mi guardò coi baffi, forse per questo non mi riconobbe. Dato che era senza divisa immaginai che fosse in vacanza, però era solo. Strano: come minimo la vacanza era una copertura per qualcosa di losco.
Eccolo lì, l’iniquo che aveva generato nei miei figli quella diffidenza verso le forze dell’ordine che dopo aver distrutto anni di educazione alla legalità li avrebbe condotti sulla via del banditismo.
Sarebbe stato giusto che la donnola baffuta ricevesse una punizione. Ma solo una mano innocente può punire. Così come era stato innocente, ma giusto, il muro che molti anni prima aveva seppellito le barche dell’uomo che ci prendeva in giro.
Valutai le probabilità che un muro cadesse sulla donnola per via della neve. Non ci potevo contare.

Di tutte le meraviglia di Ponza, la cosa che mi era rimasta più impressa è il piccolo relitto dove avevo trovato la murena sputapolpo, forse perché ho due foto subacquee con mia moglie che indossando una muta fucsia nuota costeggiando la fiancata del relitto. Sembra a cento metri di profondità, anche se saranno tre metri. Ho poi appreso che mia moglie odia andare sott’acqua, quindi quelle due foto testimoniano una estrema delicatezza da parte sua nei miei confronti e io non sono insensibile a queste cose.
Alla fine andando in giro per l’isola col figlio maschio, quello che era presente al mio rapimento presso il Bagno delle donnole, ho trovato la scalinata scavata nella roccia che porta agli scogli di fronte al relitto.
Era sera. Scendendo vidi che sugli scogli c’era un uomo solo.
LUI.
Quell’individuo mi perseguitava. Per fortuna mio figlio non lo riconobbe, era ancora lontano, né l’aveva riconosciuto al bar.
Quando arrivammo giù la donnola era in acqua, e faceva dei goffi tentativi di immersione con pinne e maschera.
In quei giorni mio figlio stava affinando l’arte di tirare i sassi sull’acqua. Io mi chinai e raccolto un sasso magnifico,anche se un po’ grosso, gli dissi: vedi un po’ se ti riesce con questo. Stava per tirare a destra ma gli fermai la mano e dissi: no prova un po’ di là, che era la direzione in cui avevo visto immergersi la donnola.
La mano di mio figlio lanciò. Il sasso rimbalzava potente e leggero. Vidi la testa della donnola emergere, proprio sulla traiettoria.
Una incredibile sfortuna, in tutta quella immensità. Avevo detto al bambino di lanciare il sasso così per gioco, non avrei mai pensato che il sasso potesse colpire davvero la testa della donnola.
Mi era già successo da ragazzo, di colpire un sub con un sasso. La cosa non poteva ripetersi.
E infatti non si ripetè. Trattenni il fiato. Vidi il sasso schizzare accanto alla testa e proseguire in gran fretta verso l’orizzonte, come se fosse in ritardo .
Meglio così, pensai. In fondo quell’uomo non l’avevo visto mica bene: forse non era neppure chi pensavo che fosse. O forse era proprio lui. Ma senza divisa e senza gommone faceva pena, così, da solo, in vacanza. Anche la maschera e le pinne mi sembrarono tristi.
E’ stato un bel lancio, dissi a mio figlio, diventi sempre più bravo.
Lui sorrise appena. Un sorriso lieve, pieno di tenerezza.
Era un ragazzo che prometteva bene.