di Saverio Fattori
Tutti i capitoli di “Cattedrale”
Non è successo oggi, perché oggi non esiste, tutto è cristallizzato in una goccia d’ambra che pare troppo scura per essere ambra. Visto mai fosse merda.
Beh, in quest’oggi sospeso, un manager di una multinazionale, si fa l’ultimo giro di saluti, un tour di commiato tra cameratismi e cortesie, strette di mano e sottotitoli ipocriti.
La sua facciona era apparsa all’interno delle bacheche poste in luoghi strategici, i non-luoghi attigui alle macchinette del caffé e ai cessi.
LA DIREZIONE RINGRAZIA E FA I MIGLIORI AUGURI PER I PROSSIMI IMPEGNI…
Era subentrato in un tempo remoto (pochi mesi per la verità, ma il mio metabolismo matto ci scherza con il calendario) a un vecchio ingegnere dai modi nobili e dorotei alla guida del mio ente. Un’ascesa veloce e spregiudicata che aveva gettato lo scompiglio tra le nostre fila. Controllo Qualità. Middle class aziendale in deriva fantozziana. Razza ibrida, senza identità. Ipotetici privilegi, nessun potere, persone fragili, intimorite, materiale buono per analisti senza scrupolo. Le cattive sensazioni si erano fatte carne e molte teste avevano preso a rotolare dentro il cesto dell’Ufficio Risorse Umane. Una dopo l’altra. Il giovane manager era un killer con la mission di potare l’albero dell’organigramma.
Il 28 giugno il suo diretto sottoposto mi isola nei pressi di una linea produttiva. È nervoso, è uno sporco lavoro ma qualcuno… mi informa del fatto che da settembre per me c’è la catena di montaggio. O il mondo fuori dai cancelli. Che è grande e pieno di possibilità. Il giovane manager non si è preso la seccatura di comunicarmelo direttamente. Ha rispettato l’ordine delle competenze e delle gerarchie.
Adesso arriva. A minuti. Sta completando il giro in officina, sta salutando alcuni addetti alla manutenzione. Dovrà dirmi qualcosa. Io non starò al gioco squallido di un servilismo che ormai non ha ragione alcuna. Posso dirgli in faccia cosa penso di quelli come lui. Posso dirgli che tutto sommato c’è da rimpiangere gli anni Settanta. Alcuni aspetti. Capi reparti incatenati ai cancelli. Per esempio. Posso dirgli che non sono il solito operaio di questi anni disperati drogato di telefonia mobile, formula uno e calcio. Non lavo la macchina il sabato mattina. Io le conosco le mascherine come lui. Ho letto saggi, romanzi. So cosa si intende per Fordismo, Postfordismo. Al di là delle sovrastrutture culturali so riconoscere uno stronzo. Quando mi sta davanti. È più alto, più giovane, ma impacciato, ha il ventre già flaccido e il fattore sorpresa ha sempre il suo peso. Ha la postura di un attrezzo arrugginito appoggiato in cantina. L’aspetto di un asciugamano da culo steso su un termosifone. Potrei staccargli l’orecchio con un morso. Potrei incularmi la vita per un calcio nelle palle da stroncargli la genia. Potrei entrare nel penale per una piccola soddisfazione. Potrei almeno non considerarlo. Liquidarlo con uno sguardo gelido. Il gesto della lama alla gola. Potrei dirgli che magari un giorno verrò a cercarlo. Magari con un referto istologico in tasca che parla di cellule impazzite. Quando non avrò più nulla da perdere. Lo cercherò. Lo troverò.
L’ombra mi arriva alle spalle. È qui.
– Domani stesso vado in Feltrinelli, compro i tuoi libri e mi prendo il tempo di leggerli! Scrivimi su questo foglietto i titoli!
Le teste di cazzo come queste sanno sempre come salvare il culo, hanno uno spirito di conservazione innato. Sarebbe sopravvissuto a un campo di concentramento. O lo avrebbe diretto.