di Danilo Arona
Come ricorda Colin Wilson in un suo celebre titolo del ’72 La filosofia degli assassini, la parola “assassino” deriva dalla corruzione del termine orientale hasciscin che significa “consumatore di hascish”. In tale ambito il vocabolo fa riferimento ai componenti di una setta religiosa musulmana che, a partire dall’anno Mille, uccidevano per fede, quasi sempre sotto l’effetto della droga e agli ordini non discutibili di un capo carismatico e profetico.
Nel 1273, attraversando la valle di Almut tra Persia e Afghanistan, Marco Polo ebbe occasione di visitare il castello del Vecchio della Montagna, capo della Setta degli Assassini. E così ne descrisse l’esperienza e la vicenda annessa ne Il Milione, dettandola a Rustichello da Pisa:
“Il Veglio aveva fatto erigere in una valle fra due montagne il più bello e il più grande giardino del mondo. Qui vi erano tutti frutti e i più bei palazzi del mondo, tutti dipinti a oro e istoriati di figure di animali e di uccelli; qui v’erano fontane da cui scorrevano acqua, miele e vino; qui v’erano ragazzi e ragazze, i più belli del mondo, che sapevano suonare e ballare. Tutto questo il Veglio lo aveva fatto per far credere a costoro che quel luogo fosse il paradiso. E lo fece perché Maometto disse che chi fosse andato in paradiso vi avrebbe trovato belle donne a piacere e fiumi di latte, di vino e di miele. Per questo costruì il giardino in tutto simile a quello che aveva descritto Maometto; e i saraceni di quella contrada credevano veramente che quel giardino fosse il paradiso…. Ogni tanto il Veglio, dopo averli fatti addormentare con bevaggi soporiferi, mandava a prendere uno di quei giovani e li faceva portare nel suo palazzo. Quando questi si svegliavano, si stupivano di trovarsi lì ed erano molto tristi per essere stati portati via dal giardino. Andavano allora subito al cospetto del Veglio e, scambiandolo per un grande profeta, vi s’inginocchiavano davanti. E quando egli domandava loro da dove provenissero, rispondevano: ‘dal paradiso’, e raccontandogli tutto quello che vi avevano trovato, dicevano quanto era grande la loro voglia di tornarvi… E’ così che quando il Veglio vuole uccidere qualcuno, si fa portare quello che sia più forte e lo manda a compiere un assassinio. E quelli lo fanno volentieri, per ritornare al ‘paradiso’; se scampano, ritornano al loro signore; se vengono catturati, non hanno paura di morire, poiché credono di ritornare in paradiso.”
Per quanto sembri una leggenda, Wilson scrive che il racconto si fonde su fatti reali: dietro i ruderi del castello, tuttora esistenti, c’è infatti una verdeggiante valletta appartata, con una sorgente. Ma quel che più c’interessa qui Wilson lo scrive a pagina 30 (e non dimenticatevi che sono considerazioni di quasi quarant’anni fa):
“… sguinzagliando i suoi fanatici a trucidare in modo indiscriminato, il Vecchio suscitava sentimenti di profonda insicurezza. E’ come se ad esempio una organizzazione terroristica dei nostri giorni ricattasse la società minacciando di bombardare gli asili-nido. Gli Assassini suscitavano un vivo sdegno in quanto autori di ‘cose che non si fanno’. A noi, membri di una società relativamente stabile e rispettosa delle leggi, riesce piuttosto difficile comprendere i sentimenti che gli Assassini ispiravano a un consorzio umano in cui la stabilità era stata appena raggiunta. Essi sembravano minacciare un ritorno al caos e alla violenza. Erano creature d’incubo.”
Qualcosa che appare famigliare? Una casuale profezia di uno scrittore noto anche per sue certe frequentazioni ultraterrene?
No, o meglio non soltanto. Con evidenza c’è qualcosa di più. E sin troppe analogie. Al Qaeda (parola che significa “la tana”, “il nido”) dovrebbe avere la sua base operativa primaria più o meno dalle parti del “paradiso” degli Assassini. Il Vecchio della Montagna, tanto per tecnica di manipolazione che per presunti attributi profetici, si presenta tal quale un archetipo leggendario pre-Bin Laden. Gli Assassini partono in missione alterati nella mente (oppio afghano o droga dei popoli, l’effetto non cambia) e, mentre stanno per farsi esplodere, pensano gioiosi alla “destinazione paradiso”. Per non dire del modello d’azione, sottolineato anche da Wilson: servendosi dell’arma della suggestione terroristica (diffusione su vasta scala della paura), il Vecchio aumentava il suo potere, influenzava equilibri politici dell’epoca e destabilizzava le società circostanti. Dire che il famoso signore con turbante e barba (cangiante di colore e di foggia a seconda delle occasioni) che ogni tanto compare nei circuiti mediatici internazionali a proclamare anatemi contro l’Occidente sia una trasposizione moderna del Vecchio della Montagna, potrebbe suonare come un’ovvietà, se ci limitassimo a curiosare sulla superficie degli eventi in nome della legge dei corsi e dei ricorsi storici.
In verità analogie tanto profonde dovrebbero spingerci verso altre considerazioni. Ad esempio, constatare quanto le raffinate e coalizzate menti che si nascondono al riparo dell’icona Osama Bin Laden siano in grado di ‘agganciarsi’ alla parte in Ombra dell’inconscio occidentale, laddove giacciono le irrisolte paure nei confronti del Mito e gestire tale rapporto in una perenne condizione di “aspettativa” del disastro. All’indomani dell’11 settembre, più di un opinionista non allineato si chiedeva come si potesse credere che un arabo di mezza età dall’interno di una caverna in Afghanistan avesse potuto organizzare tutto quel che sappiamo. Se la domanda in questione resta oggi ancora aperta dividendo artificiosamente il mondo fra “complottisti” e tutti gli altri che non lo sono, è indubitabile però che un arabo dentro una grotta (o un Vecchio sulla Montagna) si è dimostrato in grado di determinare e di condizionare pesantemente i comportamenti della gente d’Occidente, sia di colui che ha da prendere soltanto un aereo per andare da Roma a Torino tanto di quelli su cui gravano le responsabilità delle cosiddette “guerre anti-terrorismo”, con tutto il loro mostruoso carico di morti (attorno alle quali si è smarrito persino il conteggio).
In questa “luce oscura”, Bin Laden è un perfetto “anticipatore dell’Apocalisse”. Come il Vecchio sulla Montagna che giocava prima con le menti, le anime e le vite dei suoi adepti rimbambiti per spostare successivamente il tiro del gioco con gli spiriti terrorizzati di ogni potenziale vittima, così Bin Laden – rimbalzando da Al Jazeera su Internet con destinazione finale CNN – assolve del tutto alla funzione mitica di spauracchio dell’umanità, in grado perfettamente di far leva sulle paure più inconfessate degli infedeli d’Europa e d’America. Come Hassan Bin Sabbah, capo dell’ordine degli Assassini di Alamut, Osama è una “creatura d’incubo”, nel profondo quasi non ritenuta vera in quanto pencolante sul paradossale confine tra Luce e Ombra, tra leggenda e brutale cronaca quotidiana.
Resta da vedere se tale sofisticata forma di terrorismo dell’immagine non sia in realtà che un’ulteriore, ennesima manipolazione di mano altrui. Che il grande burattinaio non sia lui stesso il burattino di qualcun altro. Qualche idea in merito ce l’avremmo.