di Carlo Loiodice
Avrei voluto intervenire subito dopo gli eventi, ma in casi come questi, scattano meccanismi terribili di imperdonabile cautela o d’inconscia autocensura. Credo che a solidarizzare con i manifestanti contro Ferrara siano stati tanti di più rispetto alle voci che si sono sentite. Ma il pensiero unico e la supponenza strategica induceva comportamenti contrari. Bisognava “accreditarsi”; ed è quello che han fatto Mafai, Bertinotti, Giordano, Cofferati e gli altri “marrani”. La parola tra virgolette non è dispregiativa ma storica. Si riferisce a quegli ebrei che, per sfuggire al bando di espuulsione emanato da Isabella e Ferdinando nella Spagna del 1492, si convertirono al cattolicesimo, così come tanti oggi si sono convertiti dal leninismo e dallo stalinismo al liberalismo.
Il problema del “marrano” (il convertito) è che gli altri non sono disposti a crederti fino in fondo. Da qui prove ricorrenti per costringerti ad ulteriori professioni di fede, accettate volentieri dall’avversario ma mai come prova definitiva. Anche Giuliano Ferrara s’inscrive nel modello del “marrano”, il “vil marrano” che dalle gesta dei cavalieri è passato al luogo comune. Comunista perché figlio di comunista, egli “uccide il padre” facendosi assoldare dalla CIA. E si badi: è più importante che lui se ne sia vantato, che il fatto sia o non sia realmente accaduto. Si converte a Craxi quando sembra che in Italia il re sia lui; e passa a Berlusconi per la stessa ragione. Ma del marrano non ci si può fidare: non ci si deve fidare (questo è il gioco tragico). Per cui ecco che il potere occulto chiede al ciccione una abiura ulteriore: quella della sin qui mantenuta laicità. Ed eccolo scendere in campo a sostegno del referendum di Ruini contro la legge 40 sulla procreazione assistita.
“Sono stato bravo, eminenza?” “Certo, figliolo. Ma di’ un po’: che ne pensi delle donne che abortiscono?” “Eminenza, ma me lo chiede? Come potrebbe dubitare di me? Le darò una tangibile dimostrazione della mia devozione incondizionata…” Ed eccolo scendere in campo in una delle operazioni più assurde della storia politica italiana: affrontare una battaglia elettorale mettendo in conto un risultato quasi nullo, pur di produrre un rumore, molto rumore, a beneficio altrui.
Se Ferrara fosse l’unico “marrano” non ci sarebbe storia e potremmo ridurlo a folclore, alla stregua di quel tal Damiano Orelli che negli anni ’80 tenne un comizio in piazza Maggiore per l’Unione valdostana, insolentito e dileggiato per tutto il tempo e poi persino portato in trionfo dai compagni, quelli che lo avevano fischiato e schernito, al grido di “Aosta capitale!”
Invece qui i marrani sono in tanti: tutti coloro che dopo l”89 si sono fatti in quattro per dimostrare all’universo mondo che loro non erano comunisti, non lo erano più o addirittura non lo erano mai stati… E se ancora lo erano, non erano più marxisti. E se lo erano ancora, non erano più violenti. E se erano stati atei, erano disposti ad ammettere che qualcosa… da qualche parte…
E così abbiamo sotto gli occhi la situazione alla quale siamo giunti. In una intera storia umana in cui ha sempre vinto o chi ha forzato le regole o chi ne ha dato una lettura “creativa”, la sinistra italiana, praticamente in tutti i suoi esponenti, giudica e manda secondo legalità, ossia secondo quelle regole che oggi governano l’ingiustizia.
Più sopra ho definito “assurda” l’operazione politica di Ferrara. In effetti tale sembra in quanto appare senza sbocco. Eppure, a ben rifletterci, l’assurdità è solo apparente. Si tratta di una forzatura delle regole al fine di sovvertirle. In vista di quale obiettivo, possiamo supporlo anche se allo stato non mi sento di affermare qualcosa di esplicito. Ma proprio se di forzatura si tratta, ecco legittimata la forzatura simmetrica: quella di chi è andato in piazza a mettere sull’altro piatto della bilancia un peso equivalente e quindi neutralizzante. Beppe Grillo ha indirizzato una lettera al capo della polizia Antonio Manganelli, nella quale discute il comportamento delle forze dell’ordine nella circostanza: “Vede, ho una strana sensazione, che la Polizia di Stato stia assumendo agli occhi dell’opinione pubblica un ruolo che, sono sicuro, non vuole avere e non deve avere. Quello di protettrice degli interessi dei partiti, delle loro malefatte, dei loro numerosi pregiudicati e prescritti.
Questa sensazione la leggo negli occhi delle ragazzine prese a manganellate a Bologna durante la manifestazione di dissenso nei confronti di Giuliano Ferrara. La loro unica colpa è stata di avere contestato con un lancio di pomodori un signore che vuole cancellare un referendum e che dal suo comodo studio televisivo sponsorizza ogni guerra, purché americana. Quando è possibile per i nostri ragazzi dissentire, anche urlando, se non in piazza? […]”
Già, quando e dove è possibile? Rispondano quei leader di partito e quei sindaci che a parole propugnano una libertà di manifestazione del pensiero che nella realtà ha un ben misero riscontro.
Ripensi Cofferati, lui che frequenta il mondo della lirica, a quei loggionisti del teatro Regio di Parma, terrore di cantanti e direttori d’orchestra, che non risparmiavano con robuste bordate di fischi quando dissentivano dall’interpretazione. Non è mai accaduto che qualcuno dal palco si sia rivolto loro accusandoli di inciviltà o d’incompetenza. Poiché quelli civili erano, come dimostrava il fatto che spendevano i loro pochi soldi per acquistare un biglietto all’opera in loggione; e competenti anche, visto che non se ne perdevano una. Così, da queste manifestazioni – che oggi il fairplay e il politicamente corrretto snobbisticamente rifiuta – la lirica nel suo complesso ci ha guadagnato, finché è stato un genere vivo; e chi superava Parma poteva andare tranquillamente negli altri teatri.
Analogamente la democrazia italiana nell’ultimo mezzo secolo è cresciuta anche grazie a certi scontri di piazza che ancora orgogliosamente includiamo nella nostra memoria (Almirante in piazza Maggiore, 1970). Se il MSI a Fiuggi trascolorò in AN, non fu in seguito ad una civile e pacata discussione con gli antifascisti; bensì per l’insostenibilità di una irrimediabile emarginazione dei fascisti voluta dal popolo e in qualche modo garantita dall’alleanza del cosiddetto “arco costituzionale”. E quando dico “in qualche modo” mi riferisco a momenti di scontro duro come quelli dell’estate 1960 a Genova e a Reggio-Emilia.
I “marrani” convinti che in Italia la democrazia abbia irrimediabilmente vinto commettono un miope e unilaterale errore di prospettiva. L’attacco alle istituzioni democratiche oramai non arriverà più nelle forme classiche che chiamiamo fascismo, ma in forme nuove e sicuramente più striscianti e meno leggibili nella loro immediatezza. E del resto anche nel 1922 molti democratici liberali – Gobetti escluso – non ebbero chiara la visione del pericolo reale e commisero l’errore dell’accondiscendenza o della neutralità.
Per conto mio, trovo positivo che qualcuno – soprattutto ragazzi – senta il bisogno di opporsi a certe derive, come facevano i loggionisti di Parma. Ma il fatto che Ferrara, dopo essere stato fischiato a Bologna, vada a farsi fischiare anche altrove, dimostra due cose: che un disegno da quella parte c’è, e che l’interprete è pessimo.
“Cortigiani, vil razza dannata…”
(Verdi, “Rigoletto”)