di Alberto Prunetti
Segnalo su Alias di sabato 22 marzo una pagina dedicata a Luca Prodan curata da Luca Gricinella. Chi è Prodan? Un italiano che a Buenos Aires è un mito, e che qui nessuno conosce. Rissoso, sudato, pelato, disgustato dalla società borghese, Luca vive su quasi ogni muro di Buenos Aires, nelle scritte e nelle magliette che ricordano ogni giorno la sua rivolta permanente.
Figlio di un italiano e di una scozzese, Luca nasce a Roma nel 1953. Cresce negli ambienti dell’alta borghesia, finisce suo malgrado in un collegio in Inghilterra (lo stesso che frequentò il principe Carlo), conosce la Londra degli anni del punk, inizia a farsi di eroina e alle pressioni dell’ambiente circostante risponde con la fuga. Irreperibile per i parenti che lo cercano con l’Interpool, Luca torna a Roma: lavora nei mercati e dorme dove può, anche per strada.
Rintracciato, lo mandano in un collegio italiano. Quando arriva la cartolina militare non si presenta: lo dichiarano disertore e lo arrestano per tre mesi. Poi lo inviano a un reggimento. Lui scappa di nuovo e se ne ritorna a Londra. Dopo tre anni è di nuovo in Italia. Lo mandano al distretto militare: al colloquio con lo psicologo dichiara di fare uso di cocaina, eroina, lsd, hashish e alcool. Lo riformano, ma lo dichiarano malato mentale. A Londra il fegato si arrende e lui entra in coma. Esce dal coma e riceve una cartolina da un amico argentino. Lascia tutto e se ne parte per Buenos Aires. Qui diventa il cantante più importante della scena rock-reggae-punk argentina degli anni successivi alla dittatura, la voce dei Sumo, il gruppo del “tano” Luca, caratterizzato dalla sua ironia feroce e surreale, della sua voce tossica. Ultimo di un “flusso” interminabile di emigrati italiani, Luca ha saputo esprimere in chiave post-punk il fascino di Baires, l’atmosfera decadente del quartiere dell’Abasto, il disgusto, el asco, per una società borghese che odiava e per la quale, in segno di disprezzo, si rasò a zero i capelli.
A me piace ricordarlo quando si presentò sul palco negli ultimi anni della dittatura, all’epoca della guerra delle Malvinas, con uno scolapasta in capo, a mo’ di elmetto. A chi protestava perché cantava in inglese (l’idioma del nemico), Luca rispose nel suo cocoliche: “Sì, canto in inglese ma sono italiano, men… e volete che ve lo dica? Le Malvinas sono italiane. Sapete perché mi sono messo uno scolapasta in testa? Perché gli italiani stanno per bombardare. Con gli spaghetti.”
Lontano da ogni forma di patriottismo, non canta mai nella lingua di Dante. Muore di cirrosi nel 1987 a 34 anni, a Baires è un dio, famoso quasi quanto Gardel. Forse un giorno il suo nome dirà qualcosa anche ai tanti italioti che pensano che a Buenos Aires la gente ascolti solo il tango.