di Enzo Fileno Carabba
[Illustrazione di Liza Schiavi – cliccare per ingrandire]
Tutte le puntate di Discese estreme
12. Le donne nude
Parlerò delle donne nude.
Fino a quando mi è dato di ricordare, la mia mente è stata visitata da donne nude. La dimora della mia infanzia era piena di libri: parte della biblioteca del bisnonno (una volta ho trovato una dedica autografa di D’Annunzio) e del nonno, e tutti i libri di mio padre. Volumi antichi e nuovi che spaziavano in ogni direzione, nel senso che riguardavano ogni argomento, ma anche nel senso che uscivano dalle librerie, si riproducevano e arrivavano fin quasi in cucina e in bagno.
Accanto a tali tomi venerabili potevo trovare, senza cesure o barriere, una marea sterminata di fumetti, anche questi di ogni razza e tempo: dagli incubi architettonici di Little Nemo fino ai mondi di Segrelles, che mille volte ho copiato nei pensieri più intimi. In regioni speciali e magiche della casa, dentro sgabuzzini che erano caverne delle meraviglie, nascosti solo per chi non volesse trovarli, c’erano i fumetti erotici. Queste regioni speciali esercitavano una certa attrattiva, su di me e su un gruppo selezionato di amici, non ho difficoltà a confessarlo. Ci chiamavano nella penombra.
Per lunghi anni ho ritenuto degne di attenzione solo le donne di carta, in particolare quelle in bianco e nero. Le donne a colori erano troppo grevi. Invece le voluttuose, morbide, rotonde, sognanti donne in bianco e nero erano ben altro: erano linee e candore. Le contemplavo con desiderio dentro le tavole di autori famosi, raramente; molto più spesso mi eccitavano con delizia astratta quelle dei giornaletti anonimi: perché capivo di essere di fronte a una valore assoluto, autentico, indipendente dalla personalità di un creatore. Le donnine in amore degli artisti rinomati restavano schiacciate dalla fantasia degli autori, questo aumentava la loro originalità ma ne minava la forza, divenivano contingenti, effimere emanazioni della mente maschile. Io pretendevo vere, eterne Donne Nude.
Durante questi viaggi nei regni fantastici dell’erotismo, la molla non era quella grossolana dell’identificazione. C’era qualcosa di più sottile in quella confusione dei sensi e della fantasia che – avrei appurato – non aveva molto a che vedere con l’effettiva pratica sessuale. Si fosse trattato di semplice identificazione, piuttosto che di nostalgia per un paradiso vertiginoso, avrei dovuto esaltarmi a vedere un uomo che faceva l’amore con una donna. Invece una situazione di questo tipo mi pareva irrilevante; mentre due donne che giacessero insieme erano per me il massimo dell’interesse, forse perché sospettavo che non avrei mai potuto essere una di quelle due.
Col passare degli anni e delle donne nude, però, aumentano gli interrogativi, i pesi gravi sull’anima incerta, ci si credeva forti e si scopre di essere deboli, o comunque non inattaccabili, e così, per reazione, si insegue goffamente la consapevolezza. Nel fatto di preferire le donne a fumetti a quelle fotografiche ci parve si nascondesse un qualche difetto, una crepa della personalità, o addirittura una colpa. (Quelle tridimensionali in giro per il mondo erano fuori questione, perché non le vedevamo mai nude, e comunque non mentre facevano l’amore). Inseguendo la morale comune, di cui riuscivamo a catturare solo vaghi brandelli che ci lasciavano completamente disorientati, ci sentimmo obbligati a cambiare gusti. Abbandonammo i fumetti e stabilimmo che preferivamo le immagini vere. Nessuno osò confessare che le immagini false erano insuperabili, che raggiungevano le sue zone segrete, gli sgabuzzini dell’anima, per non passare da poppante immaturo. Così ci buttammo su riviste e fotoromanzi porno, allontanandoci irreversibilmente dal mondo di magia sensibile e curve bianche che ci aveva cullato mentre imparavamo a leggere e scrivere.
Forse fu la delusione sotterranea di fronte alle donne in fotografia che ci spinse, tempo dopo, a cercare chiarimenti in quelle in carne e ossa. O forse, che è poi lo stesso, fu il ricordo del paradiso perduto (e l’idea inconsapevole che un paradiso può perdersi nel futuro), il richiamo confuso ma potente delle morbide sirene delle nostre pagine mentali, a spingerci a ricercarle nelle donne tridimensionali, che, avrei scoperto con gratitudine, hanno mille meraviglie, anche se, inutile negarlo, sono quasi sempre a colori.
Le donne fotografiche – e sorvoliamo sulle fotografie in bianco e nero – le studiavamo in cerca del segreto che ci sfuggiva. Qualcuno di noi, vero i 14 anni, trovò perfino qualche ragazza più grande disposta a spiegarglielo, ma non ci fu niente da fare, il mondo delle fotografie rimaneva sconosciuto, un mondo che neppure il miracolo del contatto col sesso femminile riusciva a decifrare. Ora so che sono universi di natura differente, e tali che l’uno non getta mai luce sull’altro.
Verso gli undici anni prendemmo un’inizativa di studio che non ho mai reso pubblica, per paura di essere frainteso. Ritagliammo tutte le foto di pubi femminili che riuscimmo a trovare e le riponemmo in una scatola, che fingevamo di ritenere preziosa mentre in effetti, ce lo siamo confessati più tardi, non diceva niente a nessuno. Quei pubi sparsi erano davvero ermetici, un inno triangolare all’assenza di significato. Inoltre potevano rivelarsi pericolosi. A quel tempo c’era in circolazione un maniaco che asportava il pube alle donne vere e proprie: non oso pensare cosa sarebbe accaduto se la nostra collezione privata fosse stata scoperta. Con tutti gli psicologi che ci sono in giro.
Anche se a vedermi non si direbbe, penso spesso all’eternità. A volte, nella vastità del chiarore stellare (perché cercare altre parole, sarebbe arroganza) insomma guardando la vastità del chiarore stellare mi viene da pensare che, negli anni in cui osservavo tutti i giorni le donne nude a fumetti, ero anche certissimo che, da grande, avrei assistito, se non partecipato, alla colonizzazione dello spazio interstellare e all’incontro con stimolanti civiltà extraterrestri. Oggi mi rendo conto che questo non avverrà. Non vedrò mai quello che già, quasi, mi sembrava di conoscere.
“Tutte le notti guarderai nel buio, per paura che io ci sia. E, una notte, io ci sarò” dice uno minacciando un altro, in un film. E io guardo nel buio. Il cielo notturno in bianco e nero mi sembra tappezzato con le foto pubiche che collezionavamo da bambini, e quelle immagini oscure, quei misteri triangolari, sono quasi sul punto di schiudere il loro significato. Immagino che le ragazze che posarono per quelle fotografie perdute oggi abbiano una certa età, e riderebbero all’idea che per me quelli sono indizi, o tasselli cosmici.
Non importa.
Ma tutte le notti guardo nel buio, e non provo paura: cerco di comprendere i tasselli. Un giorno, una notte, presto o tardi, riuscirò a soprendere, nello sfolgorìo mormorante della via lattea, la Donna Nuda a fumetti.