[Da Christian Frascella ho ricevuto un manoscritto inedito, Fuochi di Sant’Elmo: l’ho letto e l’ho trovato esilarante, commovente, cinico, sarcastico, pop, aggressivo, tenero nell’intensità della tenerezza che si dà nell’aggressività. E’ una storia che potrebbe essere un romanzo di formazione ed è invece un romanzo di deformazione. Non è peregrino quanto Frascella mi ha scritto: che guarda, cioè, a Fante e Bukowski – si rintracciano elementi assai qualificanti del mix, in questo realismo eccessivo, che spacca il muro del suono. Il repertorio mnemonico di più di una generazione è sbalestrato da una scrittura che stilisticamente è libera. Christian Frascella, di cui invito a dare un’occhiata al blog (leggetevi ciò che scrive di Parrella e capirete), è in effetti una persona libera. Merce rara al giorno d’oggi. Può permettersi tutto: è colto, è acuto, è piena linea Bachtin. Anche questa scorribanda che non è per niente giovanilistica, anche se il protagonista è giovane, è un atto di deliberazione assoluta, sfiora la crudeltà carnacialesca. Fossi un editore non mi lascerei scappare un romanzo simile. E’ la prova che la narrativa italiana si muove, in direzioni diverse, inaspettate e potenti. Pubblico un estratto dal secondo capitolo: il Capo è il padre del protagonista, la foca monaca ne è la sorella. gg]
Il Capo
Più o meno otto mesi dopo il mio ritiro da scuola, il Capo prese ad avere un atteggiamento inconsueto. Girellava per casa con uno strano brillìo negli occhi, e un comportamento assai più distratto del normale. Beveva di meno e lavorava parecchio. Le sue soste all’amaca si erano ridotte in maniera drastica.
E – soprattutto – sorrideva di continuo. Era luglio inoltrato. Magari l’estate gli stava dando alla testa. Magari era sul punto di impazzire. Forse la mia vita e quella della foca monaca erano in pericolo. Nei telegiornali, le faccende di sangue familiari erano all’ordine del giorno. Madri e/o padri che ammazzavano i figli, colti da un raptus di follia, riempivano i servizi dei telegiornali. Questi genitori snaturati venivano definiti da amici e vicini come ‘persone normalissime’. Normalissime il cazzo, pensavo io. Soprattutto la foto di un massacratore di figli marchigiano mi mise in allarme. Perché, in quell’immagine, mostrava un ghigno molto simile a quello che il Capo portava in faccia in quei maledetti giorni.
Una sera che lui non c’era ed io e la foca monaca stavamo cenando davanti alla tv, sentenziai: “Cara mia, mi sa che noialtri due siamo bell’e spacciati!”
Francesca mi guardò, mordicchiando un panino come avrebbe fatto un topo campagnolo. Vestita di nero, coi capelli spettinati, lei inarcò un sopracciglio e domandò cosa intendessi.
“Cosa intendo?” feci. “Non ti sei accorta di niente?”
“No.” Si guardò intorno, un tantino inquieta, come se qualcosa di maligno potesse sbucare da un angolo della stanza. “Accorta di cosa?”
“Eh, cara mia” continuai. “Abbiamo i giorni contati, io e te. Credimi.”
“Perché?”
“Ricordati solo che io t’avevo avvertita. Solo questo ti dico.”
Lei riprese a mordicchiare il panino. “E’ un’altra delle tue cretinate?” volle sapere.
Io m’accesi una sigaretta, misterioso.
Subito quella: “Pa’ non vuole che si fumi in casa.” E tentò, arcuandosi in avanti sul tavolo, di strapparmi la sigaretta dalla bocca.
“Tien giù le mani, vecchia foca. O te le spezzo. Giuro!” Mi alzai. Da buon fratello, dovevo o non dovevo avvertire quella disgraziata che la morte ci camminava in casa, sotto le spoglie di un muratore scaricacassete ex quasi alcolista mollato dalla moglie? “Ti dico solo una cosa”, mi decisi alla fine. “Presta attenzione al Capo. Guardalo bene e poi dimmi.”
“Perché? Che ha?” disse lei, leggermente preoccupata.
“Guardalo bene, poi dimmi. E fammi un favore: impara a dare un cazzo di morso decente al pane, prima di crepare!”
Lei scosse il Capo infastidita, riprendendo a smordicchiare.
Niente da fare. Non capiva un cazzo. Ma è il destino dei fessi. Non s’accorgono di niente e vivono la loro vita con una serenità ebete da maiali nel recinto, fino al sanguinoso momento in cui uno sparo di fucile o un colpo spaccacranio di accetta non li fa ricredere. Quando poi stanno per morire, nel frangente ultimo del loro idiota bighellonare nel mondo, si ricordano degli ammonimenti ormai inutili dei lungimiranti. E associano il tutto, ma ormai è troppo tardi. Amen.
Un giorno eravamo in casa sia io che il Capo. La foca era in chiesa, forse a chiedere perdono per essere diventata così lercia. Presi a sorvegliarlo ben bene. Stava fermo seduto sul divano bucherellato dalla brace di sigaretta. Io stavo fermo seduto sulla poltrona bucherellata dalla brace di sigaretta. Eravamo pari. Solo che io non ero un potenziale pazzoide omicida. La tv era accesa e stava ferma pure lei, con quattro stronzi di politici che ci si accapigliavano dentro a proposito del muro di Berlino.
Gli chiesi, tanto per sondare la situazione: “Tu cosa ne pensi di ‘sta roba del muro che è venuto giù?”
Lui parve ridestarsi proprio allora. “Non so che pensarne” rispose, la voce meno roca del solito. Era distratto. Okay, lo era sempre, ma in quel momento più che mai.
Indicai la tv. “Che ci guadagniamo, noi, Capo? Come individui del mondo occidentale, voglio dire. Eh? Che significa?”
“Può significare un sacco di cose” fece. “Proprio come può anche non significare niente.”
“E che cazzo di risposta sarebbe, questa?”
Mi mollò un’occhiata trapano delle sue. O era diversa? Non avrei saputo dirlo. Mica lo capivo più, quell’uomo. Be’, probabile che non l’avessi mai capito. O magari ogni tanto. Ma le cose peggioravano.
Dissi: “Sei tu che mi devi istruire, Capo. Dal momento che ho abbandonato gli amati studi per causa tua. A scuola, avrebbero saputo dirmelo. I professori son gente colta, che ti credi? Mica rubano lo stipendio, quelli. Sanno tutte le date delle disgrazie e te le insegnano a memoria. Così, poi, se succede una faccenda tipo questa del muro, uno può dire che una cosa del genere è già capitata nel 1793, o nel 1858, o giù di lì, e sai già com’era e come non era andata la faccenda. E’ tutto – come si dice? – è tutto un ricorso storico. No?”
Lui alzò le spalle. “Probabile” disse. Guardò l’orologio, poi il telefono. Non pareva particolarmente colpito dalla mia sparata a favore dell’istituzione scolastica. Era totalmente preso da qualcos’altro. In tutta franchezza, dubitai che volesse uccidermi. Ero un moscerino che pateticamente gli ronzava attorno. Di quelli che preferisci scansare senza sopprimere. No, non mi avrebbe ammazzato. Sarei rimasto nella schiera degli esistenti. Nessuno mi avrebbe tolto di mezzo. Questo mi deluse profondamente. Perché nessuno voleva ammazzarmi? Anche solo un poco, mica tutt’intero. Possibile che non fossi fastidioso? Che nessuno mi odiasse? Che infinita tristezza. Rischiare di morire di morte naturale. Vecchio, scemo e bavoso, in un ospizio, alla veneranda età di ottantaquattro anni, a guardare il culo delle suore senza che l’uccello mi si rizzasse più. La visita dei parenti, una domenica ogni otto mesi. Come stai, nonnino? Uene, gazzie. Com’è la vita, qua dentro? Ella, gazzie. Oh, che sconforto vederti qui, nonnino: se solo t’avessero ammazzato, in tenera età, ora non saresti qui! È uero, ettimi il pede ul tubo dell’ossigeno, ti urego.
Mentre ero preso da quei pensieri orripilanti, squillò il telefono. Il Capo saltò su dal divano come una ranocchia muscolosa. Disse: “Lévati di torno.”
“Perché?”
“Muoviti! E spegni la tv!”
Lo guardai basito per un paio di squilli. Poi mi alzai, obbedendo. Infilai la giacca molto lentamente, mentre i suoi occhi mi trapanavano come mai gli avevo veduto/sentito fare, aprii la porta di casa, domandai: “Ma chi cavolo è?”, mi arrivò addosso un posacenere di plastica e un’urlata: “TOGLITI DAI COGLIONI!”, quindi uscii.
Be’, ma che cazzo stava succedendo? Dunque quell’uomo aveva segreti. Nulla da eccepire. Tutti dobbiamo averne almeno un paio. Anch’io avevo dei segreti. Quali e quanti fossero, in quel momento non avrei saputo dirlo. Ma dovevo pur averne. Appoggiai l’orecchio alla porta. Mi concentrai come James Bond quando fa finta di non ascoltare e invece ascolta. Non si sentiva niente. James Bond era un minchione. Però scopava parecchio. In ogni film, se ne sbatteva almeno due. Così – pensando alle donne di Bond – capii di che si trattava: il mio Capo aveva una relazione. Quell’aria confusionale che io avevo preso per paranoia omicida in realtà testimoniava una smania da innamoramento. Il Capo aveva una donna. O sperava di averla. Comunque, pareva sulla strada buona. C’era una femmina che era pronta a farsi scopare dal mio vecchio. Ma che tipo di donna? Mi accesi una sigaretta, avviandomi in direzione della chiesa. Forse la foca monaca poteva ragguagliarmi. Magari era al corrente di tutto, e adesso se ne stava in chiesa a pregare Dio che aiutasse il Capo nei suoi propositi scoperecci…