di Enzo Fileno Carabba
8. LA ZATTERA MATRIMONIALE E IL CORTIGIANO DEGLI ABISSI
Quando — adolescente — cominciai a entrare in relazione con vere e proprie ragazze, i miei dimostrarono grande liberalità. In camera mia il letto singolo fu sostituito da un letto matrimoniale.
E’ vero che l’iniziativa fu mia, e che il manufatto era una realizzazione artigianale più simile alla zattera di un naufrago maldestro, piena di fenditure, gobbe e avvallamenti, che a un letto tradizionale. Ma non ci fu una vera opposizione, a parte un po’ di tira e molla quando portai i materassi.
Certo, dato che non disponevo di un materasso unico, bisognava stare un po’ attenti a non cadere nelle incredibili buche che si spalancavano all’improvviso.
Ma non era questo che preoccupava le mie fidanzate, all’inizio. Anche se oggi non escludo che qualcuna mi abbia lasciato proprio in seguito a qualche brusca caduta, o perché non è mai più riemersa da una delle misteriose voragini del letto. O perché è rimasta impigliata in qualche ansa secondaria.
Per lo più le ragazze trovavano orribile che camera mia fosse una specie di museo di scienza e storia naturale, con animali, minerali, fossili, conchiglie, microscopi, telescopi, vetrini, alambicchi, essiccatoi e così via. In particolare, a riscuotere pochissimo successo erano i pesci in formalina sugli scaffali proprio accanto e sopra al letto. C’era anche un pesce istrice seccato, con gli aculei bene in mostra, sempre pronto a rotolare sulla nostra faccia, alla minima scossa. E neppure gli scorpioni piacevano. Dunque buttai via un sacco di cose. Così, senza pensarci. Come nulla. Mi pareva normale che a una ragazza non piacesse essere guardata dall’occhio sbarrato di uno scorfano. Più tardi me ne sono pentito. Ma in quel periodo ero così preso dalla scoperta dell’amore che non capivo più niente.
Pensavo di averlo scoperto io.
Che poi a essere preciso l’amore in senso lato lo conoscevo già: fin dall’asilo sono stato molto appassionato e sentimentale. Ma la cosa non trapelava. Inoltre il mio era un anelito d’amore molto legato all’immaginazione e per nulla all’azione. Per esempio ero certo che la mia fidanzata avrebbe amato i lombrichi, le larve e le scolopendre. Non concepivo di condividere il mio tempo con una bambina che non amasse le scolopendre. Fantasticavo su romantiche scene in cui io e lei scavavamo a mani nude nella terra e ne estraevamo, ebbri di felicità, delle larve grosse e bianche che si muovevano appena, con quel tentennamento tanto amabile del capino nero; oppure (secondo i miei sogni) inseguivamo, danzanti, i moscondori tra le rose e le ciliegie; o ancora ci tenevamo per mano ammirando estasiati il movimento calmo di una vipera nella pietraia.
Invece poi la realtà — con uno di quei guizzi che l’hanno resa celebre – mi ha colto di sorpresa e mi sono ritrovato a gettare una parte dei miei tesori senza neanche accorgermene. Non mi ricordo neanche il momento in cui l’ho fatto, ricordo solo il giorno successivo. Sul momento ero posseduto da una forza superiore, aliena, che mi portò al sacrilegio: anni di lavoro e passione buttati nel cassonetto.
Non posso neanche sostenere che fu la voce a dirmi di farlo. Perché la voce è sempre molto precisa e nitida, e i suoi interventi — come quello sullo yogurt – me li ricordo a distanza di anni, mentre nel caso dello smantellamento del Museo il mio ricordo è confuso. La voce su questo punto e su altre questioni relative alle ragazze non ritenne di dovermi anticipare niente.
Mi chiedo se nel caso di un bambino come Danny, il protagonista di Shining, un soggetto indubbiamente più dotato di me, la voce non gli abbia anticipato suggerimenti preziosi sull’argomento, qualche anno dopo il disagevole soggiorno presso l’Overloock Hotel. Ma secondo me no. Altrimenti quel ragazzo sarebbe diventato un autentico playboy.
Comunque lo smantellamento del Museo di Scienze e Storia Naturale di Camera Mia fu solo parziale. Buttai via solo i reperti che risultavano più controproducenti, compreso il vaso che conteneva un magnifico viluppo con centinaia di lumache di fogge, sfumature cromatiche e dimensioni diverse. Con tutto il lavoro che mi era costato estrarle intatte dai gusci!
Volendo vedere il lato buono diciamo che non fu un sacrilegio, si trattò piuttosto di un sacrificio animale.
Un sacrificio che mi consentì di rendere reali le donne.
Da bambino se una bambina mi invitava a ballare, a una festa, io non mi scollavo dal divano, anzi: mi ci inabissavo sempre di più, incollato dalla forza centrifuga del deretano. Anche perché ero appesantito da quei litri di Fanta che pensavo fosse obbligatorio scolarsi, per essere un bambino contemporaneo, anche se mi faceva vomitare. Magari avrei voluto ballare con la bambina che mi invitava, a volte proprio tirandomi per la mano. Ma il mio sedere di pietra era più forte di me. Nei giorni successivi (disintossicatomi dalla Fanta) ci ripensavo e ballavo infinitamente con lei, nella fantasia, ma sul piano della realtà non muovevo un dito. E insomma con questo sacrificio supremo dei reperti ho inferto un duro colpo al progresso della Scienza ma sono finalmente riuscito ad alzarmi dal divano. Anche se di ballare non se ne parla.
Allo stesso modo, le passeggiate con mia nonna diminuirono drasticamente. Mi sembrava normale che fosse così. Era normale. Diciamo anzi che era obbligatorio. Probabilmente è comprensibile che un ragazzino preferisca andare a un appuntamento con una coetanea che da sua nonna. Però ora ricordo meglio mia nonna che alcune di quelle ragazze, senza nulla togliere.
Più ci ripenso e più mi convinco che è stato un errore smantellare il Museo di Scienza e Storia Naturale Di Camera Mia. E che la mia prima intuizione, quella di privilegiare ragazze sensibili alle scolopendre, era quella giusta. Ogni tanto su qualche rivista leggo un’intervista a qualche star sexy. A volte la domanda è del tipo: qual è il posto più strano dove l’hai fatto? Al che la poveretta è costretta a tirar fuori cose tipo: sul dorso di una tartaruga gigante.
Ora, questa del dorso della tartaruga gigante l’ho letta almeno tre volte. C’è qualcosa che non quadra. Le tartarughe giganti non sono così comuni. Oppure vengono organizzati apposta dei viaggi di gruppo alle Galapagos? Perché non sono stato avvisato? E come funziona: ci sono i turni e la tartaruga è sempre la stessa? Oppure ad ogni coppia viene assegnata una specifica tartaruga, contrassegnata da un numero? Siamo sicuri che le tartaruga sia contenta? E se parte a razzo?
Comunque, a parte ciò, queste star (be’, di solito mini star) che sono costrette a dire il posto più strano in cui l’hanno fatto e si fanno evaporare il cervello nello sforzo, perché evidentemente se non l’hai fatto in un posto strano non sei una star, queste star hanno perso una grossa occasione, in passato. Fossero venute da me al momento giusto ora potrebbero dichiarare trionfanti: l’ho fatto sotto dodici triglie che mi guardavano da un vaso di vetro pieno di un liquido tossico.
Nel periodo in cui veniva smantellato il Museo e davo l’addio a tanti pesci amati nacque mio fratello. Per ragioni che non sono tenuto a rivelare al primo che passa, mio fratello e io siamo cresciuti in due città diverse. Sempre per le stesse ragioni, la sua nascita fu tenuta segreta a mia nonna Nadia, già molto vecchia, pensando che purtroppo le restava poco da vivere, e quindi tanto valeva mantenere questa nascita segreta, dato che si era verificata al di fuori della famiglia tradizionale. Ho apprezzato molto lo scherzo di mia nonna, che invece è vissuta un’altra ventina d’anni, costringendo la famiglia a incredibili acrobazie in occasioni delle feste.
Comunque l’imminente nascita di mio fratello mi venne annunciata su una spiaggia della Versilia, da mio padre.
Molto colpito, dopo l’annuncio feci una passeggiata lungo il mare. Un po’ pensavo al mio fratello futuro e un po’ divagavo, come faccio sempre nei momenti cruciali della mia vita, e in verità anche negli altri momenti.
Insomma ero lì che camminavo, un po’ in acqua un po’ fuori. Tutto si può dire del mare della Versilia, fuorché dia l’idea di un ecosistema traboccante di vita.
Che cesso, mi dicevo.
Ma ecco che nel bassofondo ci fu un ribollio e un’esplosione di schizzi. In mezzo agli schizzi riconobbi la sagoma di un pesce, che si era ribaltato da quanto era grosso.
Non può essere, mi dissi, un pesce così non può esistere, meno che mai in Versilia. Tra l’altro il pesce era coloratissimo.
Scandagliai il mio cervello ma capii subito che non stavo sognando. Deve essere il pesce meccanico di un bambino miliardario, conclusi. Tecnico come sempre.
Raggiunsi il pesce, cercai l’interruttore per spegnerlo e, non trovandolo, realizzai che invece era vero, vivo. Allora spalancai le braccia e lo afferrai, una mano sul dorso e una sulla pancia, e nuotai con lui spingendo coi piedi sul fondo, finché non raggiungemmo l’acqua alta.
Lo guardai sparire verso il largo.
Tornai indietro e rimasi qualche minuto in piedi nell’acqua bassa, imbambolato, incredulo, a riprendere fiato.
Vicino a me ora sguazzavano un signore con un bambino.
Scappa! scappa! cominciò a urlare il signore al bambino, e intanto lo spingeva verso riva.
Era il mio pescione colorato, che stava tornando chissà perché verso la costa. Come la balena (che poi è un pescecane) che cerca di mangiare Pinocchio, ma leggermente più piccolo. Di nuovo si arenò, si ribaltò, ribollì e si esibì nel numero della fontana di zampilli.
Mentre la prima volta l’avevo visto solo io, questa volta si materializzò una piccola folla attorno al pesce zampillante. E’ interessante notare che queste piccole folle contengono sempre almeno un esperto che dice la sua con assoluta sicurezza, e ottiene credito dagli altri, senza che in realtà sappia un tubo di niente. Di solito è un tipo segaligno, sempre lo stesso che gira di piccola folla in piccola folla. E’ questo correre da una folla all’altra che gli consente di mantenere il peso forma. L’esperto segaligno disse che nessuno doveva toccare quel pesce, perché le sue pinne erano taglienti come rasoi. E avreste dovuto vedere lo sguardo con cui lo disse: un movimento dei bulbi oculari impercettibile, che però fece grande impressione.
Gli altri ascoltavano attenti, colpiti dalla sapienza di quell’individuo, certo forgiata in anni di navigazione nei mari tropicali. Giacché, se c’era una cosa fuori discussione, era che quello era un pesce tropicale: esibiva una forma e dei colori incredibili, che infatti non perdo tempo a cercar di descrivere. Diciamo che era una gran bella bestia, con una boccuccia minuta, rispetto al corpo.
C’era chi se lo voleva mangiare. Quelli con più appetito sembravano essere degli omoni pallidi istigati dalle loro donnine abbronzate, ingioiellate e fameliche. L’unica cosa che li tratteneva dal mangiarlo crudo direttamente lì era il timore per le pinne taglienti.
Io però lo sapevo per esperienza che le pinne non tagliano. Insieme a un bagnino stranamente saggio caricammo il pesce su un patino e lasciammo con un palmo di naso la piccola folla e perfino l’esperto segaligno, che comunque non si lasciò smontare dall’evidenza dei fatti. Scrollò le spalle come a dire: contenti voi. Poi probabilmente corse verso una nuova consulenza.
Il pesce lo scaricammo oltre le boe, e lo guardai nuovamente sparire sperando che stavolta non tornasse mai più.
Nei mesi successivi, nonostante le mie ricerche, non trovai che poche notizie circa quell’animale. Si chiamava Lampris regius, o cortigiano degli abissi, “così detto per lo splendore cangiante della sua livrea”. E fin qua tutto bene. Ma per il resto i dati si complicavano. Chi diceva che si trovava solo nel mari del Giappone – e infatti i giapponesi lo pescano perché è delizioso – chi che si poteva trovare ovunque. Di sicuro era di abitudini misteriose. Nuotatore lento, con la bocca piccola, che razza di vita conduceva? Secondo un altro autore quel pesce “passa la sua vita nuotando ad alta profondità, anche se lo si trova sempre vicino alla superficie”.
Quest’ultima notizia, così palesemente assurda, mi convinse a sospendere le ricerche. Non era un libro di biologia che poteva aiutarmi. Il cortigiano era certamente una creatura mandatami da mio fratello — che non essendo ancora nato aveva di questi poteri — per consolarmi dello smantellamento del Museo di Camera Mia.