di Dziga Cacace
51-La morte e la fanciulla di Roman Polanski, USA/Francia/Gran Bretagna 1994
Trasponendo un plot dal forte impianto teatrale, Polanski finalmente convince, dopo le scialbe prove recenti. Recitato superbamente, il film è una sottile riflessione sulla violenza e sulle sue scaturigini (evvai!) in una Argentina postdittatura fredda e piovosa. Semplice ma non banale come direzione registica, il film conosce un lento e sapiente crescendo fino a un liberatorio finale. Proprio bello. (Vhs)
52-Una vita al massimo di Tony Scott, USA 1993
Inizio stentato poi una crescita lenta ma inesorabile fino a un finale che è Tarantino al 100%. Divertente e con qualche momento veramente alto: il dialogo tra Walken e Hopper o la sparatoria conclusiva. Gli si perdona l’ultima imbarazzante scena. (Vhs)
53-Seven di Un Asino, USA 1995
Falso e ipocrita. Ha qualche buono spunto visivo e di montaggio ma è assolutamente derivativo: aderisce in pieno a tutti i vecchi e nuovi cliché del genere e sembra il fratello scemo de Il silenzio degli innocenti. Nonostante la trama assolutamente incongruente e la demenziale risoluzione del giallo, molti spettatori e critici hanno apprezzato, lasciandomi sinceramente sconcertato. Visto la notte di Natale, così imparo. (Cinema Palazzo; 24/12/95)
54-Tutte le mattine del mondo di Alain Corneau, Francia 1991
Beh, bello. Non è proprio il mio ideale di cinema, ma come non riconoscerne le qualità? Al di là dell’intrigante vicenda narrata (e ottimamente recitata), ho trovato molto interessante la fotografia: morbida e pittorica. Chiaramente, molto bella anche la musica. (Vhs)
55-Smoke di Wayne Wang, USA 1995
Mah! Osannato in maniera imbarazzante. Proprio non capisco. Cioè, vabbeh… tenero, intimo, quello che vogliamo, però, boh, un po’ poco. Ho apprezzato fino alla commozione il monologo finale di Keitel (con uno zoom lentissimo e implacabile che fa andata e ritorno sulle sue labbra) e i seguenti intensi titoli che, muti, ci fanno vedere cosa c’è stato appena raccontato. Ecco un’idea. O la fotografia ogni mattina dallo stesso angolo di strada, ma il resto… Abbaglio generale di tutta la critica mondiale. (Questo è carattere). (Cinema Ritz)
56/57-Underground di Emir Kusturica, Comunità Europea 1995
Incontinente, esagerato, incontrollato, decisamente larger than life; troppa carne al fuoco, troppi temi, troppo… eppure è, con Strange Days, altro magnifico incompiuto, il miglior film in assoluto della stagione. Musica straripante, attori eccezionali, citazioni a profusione (Fellini, Vigo…) etc. Chi ne ha dato una certa lettura politica ha poco sale in zucca. Non si capisce l’accusa di nostalgie filoserbe per una grande Jugoslavia; l’incriminato iniziale e finale “C’era una volta un paese…” ha ben altri significati e non capirlo è la più grande prova di partigianeria. Extraordinaire nel senso più pieno del termine. (Cinema President di Milano 26/12/95 e Cineclub Lumière)
58-Excalibur di John Boorman, USA 1981
Visto la prima volta 16 anni fa. Rivisto poi a più riprese (anche al parrocchiale, mondato di tutte le situazioni scabrose) riesce ancora a non scocciarmi. Purtroppo l’ho visto iniziato e ho perso l’amplesso con l’armatura (nel senso di capo d’abbigliamento, non partner) che, all’epoca, mi aveva confuso un po’ le idee sulle questioni d’alcova. Inventivi i costumi e le ambientazioni. (Diretta TV; 30/12/95)
59-Un pesce di nome Wanda di Charles Crichton, Gran Bretagna 1988
Certo, non mi rotolo come la prima volta ma, alla quinta visione, mi diverto ancora. Sceneggiatura e tempi perfetti per una grande commedia thrilling. E poi John Cleese… Spassoso. (Diretta TV; 7/1/96)
60-Una giornata particolare di Ettore Scola, Italia/Canada 1977
E chi l’avrebbe mai detto che Sofia non solo è capace, ma fin brava? Insieme a Mastroianni, convince in un film bello e struggente che si basa quasi unicamente sulle loro capacità attoriali nel reggere un copione intenso e ben scritto. Ambientato nelle interessanti case Federici di De Renzi a Roma. Ottimo. (Vhs)
61-Philadelphia di Jonathan Demme, USA 1993
Non mi emoziona ma non mi irrita neanche: asciutto, essenziale… sostanzialmente civile. Per Barbara è tremendo, falso, ricattatorio, retorico, strappalacrime e ipocrita: amichevole giudizio che m’instilla qualche dubbio. Boh, la prima risposta è quella che conta: forse ci son cascato, non so. (Vhs)
62-Tetsuo di Shinya Tsukamoto, Giappone 1989
Notte da capodanno da completo delirio: ho visto questo cult della moderna fantascienza in preda alla ciucca mortale più pesante degli ultimi cinque anni, per cui non ho capito pressoché un cacchio e il film, di suo, aiutava decisamente poco. Gli altri spettatori erano sconcertati (come uccidere una serata). Per dare un giudizio serio dovrei rivederlo. Tra i fumi dell’alcol ricordo una fotografia sporca e cattiva e un soggetto delirante. Massì: anche se per altri motivi, culto. (Per la cronaca Tetsuo m’aveva già turbato quando RaiTre l’aveva trasmesso per la prima volta: solo Max Pozzolini l’aveva visto e gli aveva attribuito il fuorviante titolo Piattaforma di trivellazione, assolutamente inventato. Ho vissuto per sei anni credendo che questo fosse il nome del capolavoro e stupendomi perché non lo conosceva nessuno. Bah!) (Vhs; 31/12/95)
63-2013 – La fortezza di Un Cane, Australia/USA 1993
Film antiabortista che ti fa venire strane voglie da Erode Antipa. La produzione e la regia hanno dalla loro autentici colpi di genio, come il carcere privo di sbarre ma dotato di barriere invisibili (scenografia tipo autopark) e che è, oltre a tutto, interrato, per cui non lo si vede mai dall’esterno. La regia è pacchiana, gli attori cani e le scene d’azione risibili. Porcata: giusta fine per quel bambolotto di Lambert (la Parietti doveva ancora arrivare). (Diretta TV; 16/10/95)
64-America oggi di Robert Altman, USA 1993
Galleria di ritratti nell’America d’oggi; professioni improbabili e situazioni assurde, ma assolutamente credibili, sullo sfondo di una Los Angeles che attende il Big One e convive con più leggeri sommovimenti tellurici. Il film dura tre ore e rotti ma la intelligentissima concatenazione a intreccio degli episodi, apparentemente indipendenti l’uno dall’altro, non le fa minimamente pesare. Ottimo. (Vhs)
65-L’ultima seduzione di John Dahl, USA 1993
Porcata incoerente. E non ti fa vedere neanche ciò che ti promette (intendo carne). Postilla dell’ottobre ’96: il film viene trasmesso dalla Rai in prima serata: scoppia uno scandalo perché nei dialoghi è contenuta la frase “Devo farti un pompino per avere un caffè?”. Frotte di intellettuali indignati, i cattolici sconvolti e quell’ignorante di Siciliano contrito (per la frase, non per il film: VERGOGNA!). (Vhs)
66-Matinée di John Landis, USA 1993
Film apprezzato dalla critica… capisco, ma non mi adeguo. L’idea di partenza è decisamente carina ma lo svolgimento diventa, dopo poco, palloso. Mi ha scocciato, ma forse è colpa della mia caratterialità. Chissà. (Vhs)
67-Il principe delle maree di Barbra Streisand, USA 1991
Alla Streisand, per i miei gusti, non mancano soltanto troppe “a” dal nome, ma anche qualche rotella, perché il suo delirio produttivo raggiunge ormai vette incomparabili: il kitsch all’ennesima potenza tanto da raggiungere un valore proprio. Hilda ne è rimasta sconvolta (la ragazza frequenta troppo poco la feccia cinematografica) ma non ha capito che il livello di banalità e cattivo gusto è talmente inaudito da far assurgere l’opera a capolavoro. È perfetto, talmente trash da risultare godibile: e brava Barbra! Brv! Prp brv! (Diretta TV; 3/1/96)
68-Inserzione pericolosa di Barbet Schroeder, USA 1992
Porcatina con qualche idea, ma anche con tanto mestiere (buttato via). Vedibile se si è in cerca di qualche sussulto thrilling a buon mercato, se no meglio lasciar perdere. (Vhs)
69-Amateur di Hal Hartley, USA/Francia 1994
Non proprio il genere che mi esalta. Più di una trovata è divertente o intelligente, ma è l’opera complessiva che non mi convince (e comunque anche gli amanti del regista sono rimasti delusi). De gustibus. (Vhs)
70/71-Il circolo della fortuna e della felicità e Mangia una tazza di te di Wayne Wang, USA 1993 e 1989
Carini e leggeri; un buon argomento per sostenere che Wang non è minimalista: talvolta è proprio inconsistente. Qui basa tutto su sontuose ambientazione, una fotografia scintillante e un certo respiro narrativo. Direte: alla faccia! Sí, va bene, però… non so, non ti lascia nulla. (Cineclub Lumière; 19/1/96 e 23/1/96)
72-Europa 51 di Roberto Rossellini, Italia 1952
Non proprio soddisfacente in pieno, ma… Insomma: bello, ecco, non fraintendiamo; però puzza un po’ di sagrestia… tutta questa ascesi penitenziale. Diciamo incisivo, perché mi torna su. (Cineclub Lumière; 17/1/96)
73-Al di là delle nuvole di Michelangelo Antonioni e Wim Wenders, Italia/Francia/Germania 1995
Imbarazzante. Se Io ballo da sola è stato un bel trip negativo questo cos’è? Incredibilmente ha sbancato il botteghino. Boh. Azzardo un’ipotesi: questo film, come l’ultimo Bertolucci, dà al burino l’impressione di sentirsi un po’ cinefilo, di elevarsi… Il cafone pensa: “Non capisco, ma è l’opera di un Maestro…” (per inciso, Pier è uno dei pochi burini, cinematograficamente parlando, che non abbia timore alcuno a proclamare la stronzaggine dei film che non digerisce, anche quando siano capolavori riconosciuti: ignorante ma onesto, il mio piccolo genio). Perché Al di là delle nuvole fa incassi che Antonioni non ha mai raggiunto neanche con tutti i film degli anni Sessanta messi assieme? Forse le tante nudità… chessò, gli attori, il belloccio Rossi Stuart… che cazzo devo dire? Certo, c’è qualche idea, come l’ultimo dignitoso episodio, o la fotografia inusuale di Portofino (ma sarebbe veramente uno sfacelo se Michelangelo ci facesse vedere Portofino in modo banale) o ancora qualche bel movimento di camera, ma purtroppo i dialoghi sono da pelle d’oca, le situazioni non credibili e le recitazioni angoscianti. Mah, tragico. (Cineclub Lumière; 21/1/96)
74-Il gattopardo di Luchino Visconti, Italia/Francia 1963
Se non fosse che Visconti non è capace di dirigere le scene di massa (lo sbarco dei Mille e i combattimenti per la strada sono girati coi piedi), sarebbe perfetto. Ma è comunque bellissimo. (Vhs)
75-Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, Svezia 1956
Qualcosa devo pur dirla. Oppure no, dài. Chiaro, è bellissimo e, grazie a Dio, l’ho finalmente visto, ma ho preferito Il posto delle fragole. Embeh? (Vhs)
76-Pat Garrett and Billy the Kid di Sam Peckinpah, USA 1973
Epico e, contemporaneamente, antiretorico inno al vecchio west che scompare (o forse un epitaffio a un genere che, inizio anni Settanta, stava tirando le cuoia). Che mi venga un colpo se non è un capolavoro dolce e commovente. E poi Dylan… Un “Bellissimo” (sul serio, mica come quelli di Retequattro). (Vhs)
77-Point Break di Kathryn Bigelow, USA 1991
Muscolare e frenetico. Qualche caduta nei dialoghi e nella generica filosofia a metà tra buddismo e vitalismo nietschiano, ma visivamente il film è una bomba. Incredibile l’inseguimento tra i villini, le riprese aeree e quelle subacquee. (Vhs)
78-Trust – Fidati di Hal Hartley, USA 1990
Stavolta Hartley m’è piaciuto. Scettico fino a metà, poi conquistato. Certo, il finale lascia un po’ a desiderare, però, nel suo complesso, il film è intrigante. Bella la ricerca sui colori e assolutamente condivisibile il disgusto del personaggio principale per gli scadenti prodotti informatici. (Vhs)
79-Le nozze di Muriel di P.J. Hogan, Australia 1994
A tratti cattivo e disperato, a tratti corrosivo e divertente. Non so, incertezza poco risolta e risultato discreto: m’aspettavo di più e sono rimasto un po’ deluso. Però si fa vedere. (Cineclub Lumière; 3/1/96)
80-Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini, Italia 1959
Dal romanzo di Montanelli, l’edificante storia del truffatore che, in un sussulto d’orgoglio, si fa uccidere per la causa antinazista. Non eccezionale, ma a ogni modo intenso e ben recitato: cinema morale (à la Bernardo). (Cineclub Lumière)
81-Mean Streets di Martin Scorsese, USA 1972
Opera culto che vede due attori di grande avvenire. Keitel, qui protagonista principale e maggior indiziato per una carriera divistica, arriverà al successo solo vent’anni dopo. Il film è interessante e amaro e possiede alcuni brani di cinema di notevole potenza (il festino con stordimento per droga e alcool). Bello. (Vhs)
82/83-La luna di Bernardo Bertolucci, Italia 1979
Fin dalle prime scene veniamo proiettati in un mondo onirico: un’atmosfera sospesa in cui il caldo e la solarità sono palpabili. La cinepresa non esita ad andare in sovraesposizione nelle sequenze di ballo che vedono Caterina (Jill Clayburgh) danzare con un personaggio non meglio identificato. Ma prima di questa sequenza (che già presenta una marcata riconoscibilità bertolucciana: il movimento della camera che segue i due danzatori) vediamo Caterina che gioca con il figlio (per inciso: oggi i film denunciano che nella lavorazione non si sono maltrattati animali; qui siamo al semi soffocamento del fantolino); nella penombra della casa, irriconoscibile, Alida Valli suona il pianoforte (prima di essere sopraffatta da un twist di Peppiniello Di Capri). Il bambino viene abbandonato al suo pianto quando arriva quello che poi scopriremo essere suo padre: così, con poche scene, Bertolucci ci ha già anticipato il melodramma. Al tenero momento in cui Caterina dà del miele al piccolo Joe, passandoglielo con un dito, si sostituisce il pianto di quest’ultimo per essere stato abbandonato. Trattenuto dai fili di una matassa (a simboleggiare l’intrico edipico che legherà i due protagonisti principali, madre e figlio) Joe va a rifugiarsi dalla nonna, prefigurando la continua ricerca di una figura che sostituisca i genitori. Bertolucci non si nasconde dietro metafore ardite: tutto il film (ed è il difetto maggiore; o il merito, secondo la mia inaspettata inversione del gusto) seguirà le indicazioni delle prime scene: niente è mediato o lasciato all’interpretazione dello spettatore, i simbolismi sono evidenti e leggibili, in un crescendo inarrestabile. Bertolucci gira ebbro di gioia, non ha paura del melò che si insinua con insistenza nella sua storia e ci si abbandona, si lascia sopraffare con voluttà. Chiaro che il film, per questi motivi, si sia attirato critiche feroci. Si tratta di stare al gioco, di godere delle immagini, dell’emozione per i movimenti di camera, degli allestimenti, delle luci e in buona sostanza del melodramma. Bertolucci cerca la scena madre, la vertigine stilistica e la partecipazione a questo suo percorso autoanalitico (il viaggio a Parma, temporalmente poco credibile ma ricco di significati metaforici) e, inutile dirlo, trova in me uno spettatore ben disposto, tanto da tollerare con suprema indifferenza le molte banalità narrative. Il rapporto tra madre e figlio è costruito in maniera un po’ semplicistica: ipersensibile lui, superficiale lei (p. es. come organizzano il reciproco compleanno). Anche la ricerca del padre, tema altrove affrontato con più finezza narrativa, è molto insistita, denunciata, anche attraverso le sostituzioni che Joe opera. La droga (e quindi la poetica e poco credibile figura dello spacciatore) copre il vuoto paterno, tanto che Joe, quando capisce che Milian è suo padre, può annunciare che “il figlio drogato è morto”. A Bertolucci non sembra importi la realtà delle situazioni; vuole il teatro, il melodramma verdiano vero e proprio, l’emozione, anche il kitsch: il rapporto edipico è esplicitato in maniera cruda e diretta, in un imbarazzante crescendo che non ci risparmia neanche la sega vestita (il piacere carnale in sostituzione di quello sintetico, equivoco in cui Bertolucci fa cadere lo spettatore quando Joe va al cinema con l’amica o in cui cade Caterina quando va affettuosamente a spiarli). È un film personale, intriso di ricordi, memorie, sensazioni: B.B. non esita a citarsi (l’emozione del carrello laterale all’interno delle Piacentine, il Rigoletto “forse ispirato a un gobbo contadino della bassa”, la scena del norcino presa pari pari da La strategia del ragno) né a far compiere a Caterina un percorso à rebour nella memoria, portandola fisicamente nei luoghi natali del regista (le belle camera-car a Parma, che ricalcano i percorsi di Gina in Prima della rivoluzione). Anche a Sabaudia, del resto, si gira letteralmente in casa Bertolucci. Evidente poi il richiamo alla memoria cinematografica. Stavolta le citazioni sono ancora più dirette che in passato; sono omaggiati gli attori (la Valli, Salvatori – cui Caterina dice che le ricorda un pugile citando Rocco e i suoi fratelli – , Citti – che adesca Joe e danza pasolinianamente al suono di un juke-box) e i film (Niagara, Fantasmi a Roma, Germania anno zero, Il commissario Monnezza, noo, scherzo!). Elemento molto interessante del film è poi la vivace fotografia: New York ha colori autunnali molto intensi. Diversa invece la scelta per Roma; una luce calda, dove prevalgono i rossi: i fondali sono le mura storiche e le rovine romane in muratura o gli intonaci cadenti, gialli e arancioni; anche gli interni della casa di Caterina (luogo circolare, chiuso, materno, utero non dissimulato) vivono di queste tonalità. Mi rendo conto che non riesco minimamente a essere costruttivo e salto di palo in frasca… concludiamo: ho apprezzato molto, ben conscio dei tanti, presunti difetti. Ma il cinema è emozione, al cuor non si comanda, nessuno mi può giudicare, cacchio volete? Ciao, bella gioia. (Vhs)
84-Il posto delle fragole di Ingmar Bergman, Svezia 1957
Bellissimo, lo so. Sfondo una porta aperta e dovrei vergognarmi di non averlo ancora visto ma…. chi di voi ha visto 18 volte Altrimenti ci arrabbiamo? Nessuno? E allora non potete parlare neanche voi. Bellissimo, dicevo: il bilancio di una vita è raccontato con delicatezza, mescolando nostalgia, rimpianti e soddisfazioni. Mentre il rapporto tra l’anziano professore (Sjöstrom) che ricorda e la nuora è costruito in modo magistrale, delude invece la poco credibile descrizione dei giovani (le due beline che litigano sull’esistenza di Dio). Ma non importa, l’ho notato tanto pe’ ffa’ un po’ de casino. (Vhs)
85-Misterioso omicidio a Manhattan di Woody Allen, USA 1993
Forse uno tra i più divertenti Allen degli ultimi anni. Un po’ di tristezza a vedere quanto sono invecchiati Woody e la Keaton, vent’anni dopo Io e Annie. (Vhs)
86-Woyzeck di Jànos Szàsz, Ungheria 1993
Curiosa opera di uno sconosciuto ungherese che riprende la storia dello sfigato Woyzeck. Le ambientazioni sono molto ricercate e stilizzate e la fotografia è eccezionale (un b/n che sembra virato, tanto è intenso). Insomma, estetizzante senza irritare. (Cineclub Lumière; 21/2/96)
87-Io e Annie di Woody Allen, USA 1977
Adoro questo film. (Vhs)
88-Mediterraneo di Gabriele Salvatores, Italia 1991
Un commentino lo devo scrivere, ché non vorrei mai che si equivocasse (certi capolavori non hanno bisogno di commenti, vedi sopra). Insomma: un film discreto, ben costruito, giustamente recitato etc. L’Oscar se l’è comprato Cecchi Gori ma di questo, Salvatores, cui il successo non aveva ancora dato alla testa, non ha colpa. (Diretta TV; 22/2/96)
89-La vita futura di William Cameron Menzies, Gran Bretagna 1936
‘Anvedi che porcata! Se la prima parte risulta assolutamente risibile, la seconda sfodera un apparato scenografico d’illustri natali: dopo i rifiuti di Mallet Stevens e di Le Corbusier fu contattato Moholy Nagy, il cui lavoro venne però respinto perché ritenuto troppo moderno (!). In realtà gli arredi, gli spazi e le composizioni plastiche portano il suo indistinguibile marchio di fabbrica. Purtroppo non basta per rendere interessante Things to Come (titolo originale): la trama è sconclusionata e il finale semplicemente non esiste. Al confronto Aelita è un vero e proprio capolavoro. (Vhs)
90-Jurassic Park di Steven Spielberg, USA 1993
Spielberg come Baudo: un professionista…. con un bel toupet al posto del cervello e un borsellino al posto del cuore. Se non fosse per il minimo interesse che suscitano gli effetti speciali non avrebbe veramente alcun motivo d’interesse. Mah! (Diretta TV)
(CONTINUA)